Per quanto di dimensioni simili a quelle ormai di un lenzuolo, tanti sono i candidati in corsa con e persino senza i rispettivi partiti, tra voti congiunti e disgiunti, nessuno è risultato inciampare nella scheda consegnatagli dal presidente del seggio, dopo la verifica dei documenti. Nessuno vi è inciampato almeno con i piedi. Se poi vi è inciampato nella cabina con le mani, o con le dita, sbagliando la croce o la preferenza in tanta confusione, nessun fotografo ha potuto certamente riprenderlo. E forse non se n’è accorto neppure lui, l’interessato e sfortunato elettore.


Immagino lo stupore paradossale, a Roma, del presidente del Consiglio Mario Draghi nel ricevere la sua scheda e pensare, compiaciuto, quanto gli stia riuscendo bene di governare da febbraio in uno scenario politico così vasto e pasticciato, affollato di partiti e correnti quasi tutti nella sua maggioranza di emergenza eppure così divisi fra di loro e al loro interno. Eppure c’è chi vorrebbe interrompere il lavoro di “SuperMario”, magari illudendosi che possa proseguire in altro modo e in altro posto, al Quirinale, collocando a Palazzo Chigi il competentissimo e fedelissimo Daniele Franco. Che lo affianca ora come ministro dell’Economia e si è visto oggi designato, candidato o solo immaginato alla successione semplicemente da un giornale pur diffuso come Repubblica, abituato tuttavia a queste incursioni dal suo vecchio fondatore Eugenio Scalfari.
Quest’ultimo adesso è distratto da altri problemi e scadenze più personali, come ci ha appena raccontato lui stesso alla bellissima età di 97 anni: quasi 100, ha avuto il vezzo di aggiungere facendosi da solo gli auguri. Ai quali mi associo assai volentieri pur avendo avuto tante occasioni professionali e personali di dissentire dai consigli che diffondeva e delle mani che metaforicamente riusciva a mettere qualche volta anche nelle corse al Quirinale e nelle liste dei ministri, quando molti politici bussavano alla sua porta, o al suo telefono. Bei tempi, anche se non sempre felici: belli, perché pur sempre migliori dei nostri, ai quali davvero allora non pensavo proprio che si potesse arrivare.

Nella sfilata delle celebrità al seggio, chiamiamola così, mi ha colpito, oltre al silenzioso Draghi, il sempre imprevedibile Silvio Berlusconi. Che a Milano, a due passi dal Cenacolo, come hanno riferito le cronache, ha voluto a suo modo mettere la mani avanti ai prevedibili risultati a dir poco deludenti della sua creatura politica -di cui ora scrive col trattino per distanziare il centro dalle destre di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni- lamentandosi di come siano stati scelti i candidati. E auspicando altri criteri di selezione, magari da definire se e quando egli riuscirà a realizzare il sogno -a questo punto-di federare gli alleati. Vasto programma, direbbe il mai abbastanza rimpianto Charles De Gaulle.

Di fronte a tanta ammissione o rassegnazione persino di uno come Berlusconi, che del centro-destra si considera un papà quasi come Beppe Grillo del MoVimento 5 Stelle, mi chiedo che bisogno avessero gli avversari nelle ultimissime curve della campagna elettorale di buttare su leghisti e fratelli d’Italia tanto fango: il classico spreco di energie, direi. E’ difficile che da tutta quella melma, impastata da inquirenti finti e veri, con barba e non, potrà uscire un campione paragonabile all’italiano Sonny Cobrelli, che ha appena vinto l’edizione forse più difficile e genuinamente fangosa della storica corsa ciclistica Parigi-Roubaix.
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