
Apparentemente marginale, se non addirittura estranea alla valutazione giuridica della sua assoluzione, dopo cinque anni di processo di primo grado e una ventina di mesi di carcere definito cautelare, c’è un passaggio dell’intervista dell’ex senatore forzista Antonio Stefano Caridi al Dubbio che meglio non potrebbe rappresentare l’attuale situazione politica. Che è anomala non solo o non tanto per il semestre bianco appena cominciato – in cui si può giocare alla crisi senza rischiare elezioni anticipate perché il presidente della Repubblica in scadenza di mandato non può sciogliere anticipatamente le Camere, a meno che non si dimetta perché le possa sciogliere il successore o lui stesso se improbabilmente rieletto- quanto per l’ambivalenza, l’equivocità e quant’altro dei rapporti creatisi fra alcuni partiti della maggioranza.

Che cosa ha detto, in particolare, Caridi al Dubbio. Che non si aspetta, dopo la sua assoluzione dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa di genere calabrese, seguita all’accusa originaria di associazione piena, le scuse dei grillini: né di Luigi Di Maio -evocato dalla intervistatrice Simona Mosca per quelle formulate nei mesi scorsi all’ex sindaco di Lodi appena assolto dall’accusa di turbativa d’asta dopo che lo stesso Di Maio, allora capo del MoVimento 5 Stelle ne aveva sollecitato in piazza l’arresto- né di Giuseppe Conte. Il quale grazie alla spigola offerta a Beppe Grillo in un ristorante di Marina di Bibbona è tornato a poter aspirare alla presidenza del MoVimento, graziato dalla bocciatura gridata una ventina di giorni prima in diretta internettiana dal garante e comico genovese.
“L’ex sindaco di Lodi è del Pd”, ha ricordato Caridi. In effetti è del Pd Simone Uggetti, come si chiama l’ex sindaco della città del ministro piddino della Difesa Lorenzo Guerini, che Matteo Renzi chiamava pur affettuosamente Arnaldo, paragonandone stile e altro a Forlani, nonostante il suo amico proveniente dalla Dc avesse militato in realtà nella corrente di Giulio Andreotti.
“La maggioranza oggi è quella e l’interesse di Di Maio sta tutto lì. Si difendono tra loro. Lo hanno fatto sempre e lo faranno sempre”, ha aggiunto e al tempo stesso spiegato Caridi sottolineando il carattere, chiamiamolo così, privilegiato del rapporto creatosi all’interno della maggioranza di governo fra il Pd, appunto, e il Movimento 5 Stelle: tanto privilegiato “da sempre”, nel senso già dai tempi del secondo governo di Giuseppe Conte, dopo la rottura fra leghisti e grillini, che persino Mario Draghi e Marta Cartabia hanno dovuto tenerne conto.

Se infatti i grillini all’esterno del governo non avessero trovato una sponda nel Pd quando hanno contestato le modifiche predisposte dal governo Draghi alla riforma del processo penale ancora ferma nella Commissione Giustizia della Camera, peraltro smentendo i ministri pentastellati che le avevano approvate, il presidente del Consiglio e la ministra della Giustizia Marta Cartabia non le avrebbero cambiate. E neppure accettato forse di trattare, essendo stati i primi emendamenti già un compromesso rispetto alle posizioni di partenza della guardasigilli, come da lei stessa precisato alle prime avvisaglie dell’offensiva aperta da un Conte ringalluzzito dalla spigola di Bibbona.

Grazie alle ulteriori modifiche eufemisticamente preannunciate come “aggiustamenti tecnici”, anzi “piccoli aggiustamenti tecnici” in una intervista al Corriere della Sera rilasciata dal capogruppo del Pd nella Commissione Giustizia di Montecitorio, Alfredo Bazoli, il reato contestato di risulta a Caridi- il concorso esterno in associazione mafiosa dopo l’associazione mafiosa di genere calabrese bocciata dal tribunale del riesame- è di quelli protetti rispetto alla “improcedibilità” liquidata come “schiforma” dal Fatto Quotidiano. Che giustamente, dal suo punto di vista, si è vantato di avere quanto meno ridotto i presunti danni sostenendo la lotta di Conte propedeutica al suo arrivo, finalmente, alla presidenza del MoVimento 5 Stelle. “Rimarranno improcedibili -ha scritto Marco Travaglio nel suo editoriale finalmente sazio dopo tanta dieta- solo i processi d’appello più lunghi rispettivamente di 6 e di 4 anni”, secondo la gravità dei reati, “cioè pochi”. Sono state insomma conquistate le libbre di carne sufficienti ad appagare l’appetito giustizialista.
Fra i reati, diciamo così, a regime protetto dai rischi di improcedibilità, grazie alla genericità di quelli di mafia tanto appagante per i professionisti dell’antimafia già lamentati da Leonardo Sciascia senza prevederne la proliferazione ulteriore, c’è anche quello assai controverso ed evanescente del concorso esterno.
Quanto il Pd abbia elettoralmente da guadagnare dal rapporto sostanzialmente privilegiato con i grillini coltivato dal segretario Nicola Zingaretti ed ereditato dal successore Enrico Letta con tranquillità olimpica -da medaglia d’oro, per attenerci alle immagini provenienti da Tokyo- è difficile valutare. E più facile prevederne piuttosto i danni. E non è affatto detto che l’elezione di Conte fra qualche giorno a presidente del MoVimento 5 Stelle metterà almeno ordine nella gestione del rapporto privilegiato col Pd perché dall’ex presidente del Consiglio continuerà a differenziarsi il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, ora su un versante più governista, o moderato, come altri preferiscono definirlo, ma domani chissà, perché la situazione rimane sotto le cinque stelle fluida, o gassosa. E tale mi sembra destinata a restare almeno fino a quando nuove elezioni non avranno definito esattamente la consistenza dell’ormai ex movimento di maggioranza.
Pubblicato sul Dubbio
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