Le ultime da Tempio Pausania, in attesa della sorte giudiziaria del figlio di Grillo

Grillo senior
Grillo junior

            A più di due anni -ripeto, due anni, equivalenti a più di 24 mesi e 730 giorni- dalla notte brava  in cui Ciro Cirillo e quattro amici, tutti quanto meno “coglioncelli” per definizione di Beppe Grillo, il padre del primo, si comportarono in Sardegna con due ragazze in modo tale da procurarsi una denuncia per stupro; a quasi quattro mesi da quel video nel quale il fondatore, garante, elevato del MoVimento 5 Stelle sfidò i magistrati inquirenti ad arrestarlo al posto del figlio e degli amici colpevoli solo di “coglionaggine”, appunto, forse per difetto di educazione; a tre mesi dall’udienza preliminare fissata per il 5 novembre per stabilire gli sviluppi del procedimento penale, sapete quali sono le ultime dal tribunale di Tempio Pausania? Dove più di due anni, ripeto, di indagini, interrogatori, sfilate di avvocati e carabinieri non sono bastati neppure a sapere se i ragazzi meritano o no di essere rinviati a giudizio.

Titolo del Dubbio
Titolo di Libero

            Le “ultime” sono almeno tre notizie, tutte certe e a mio modestissimo avviso clamorose, per quanto siano approdate sulle prime pagine di soli due giornali nazionali: Libero e Il Dubbio. Sul primo con tanto di interpretazione politica tutta ostile agli indagati e a Grillo senior, chiamiamolo così, con una rappresentazione dei fatti finalizzata all’accusa di un tentativo di “insabbiamento” del processo. Sul Dubbio, in linea col garantismo della testata, in modo neutro, raccontando i fatti e lasciando ai lettori la loro libera interpretazione.

            La prima notizia è il trasferimento, disposto dal Consiglio Superiore della Magitratura, della sostituta procuratrice Laura Bassani, occupatasi delle indagini sul caso Grillo junior col procuratore Giorgio Capasso, da Tempio al tribunale dei minori di Sassari: trasferimento disposto il 19 luglio ed eseguito il 4 agosto.

il Procuratore di Tempio Giorgio Capasso

            La seconda notizia l’ha data lo stesso capo della Procura di Tempio in una lunga intervista all’agenzia Adn Kronos in cui spiega di essere praticamente rimasto solo, e di avere inutilmente chiesto almeno il cosiddetto “posticipato possesso” della nuova destinazione della sua preziosa sostituta. La cui partenza pertanto ha danneggiato un ufficio e un tribunale oberato di procedimenti e di “pressioni mediatiche” immaginabili dopo quell’esplosivo video di Beppe Grillo in difesa del figlio e degli amici, quando si era appena insediata al Ministero della Giustizia la presidente emerita della Corte Costituzionale Marta Cartabia sostituendo il guardasigilli pentastellato Alfonso Bonafede.

La senatrice grillina Evangelista

            La terza notizia proviene, in verità, più dal Senato che da Tempio Pausania, dove però ha già provocato o aumentato il clima di precarietà, a dir poco, in cui tutti lavorano già da tempo, sotto organico e in locali inadeguati, nonostante l’imponenza dell’edificio. Al Senato è accaduto, in particolare, che la vice presidente della Commissione Giustizia Elvira Lucia Evangelista, del MoVimento 5 Stelle, abbia proposto l’assorbimento del tribunale di Tempio da parte di quello di Olbia, e il conseguente declassamento del presidio di Tempio in “ufficio di prossimità”, con tutti gli inconvenienti che di solito capitano ai procedimenti in corso nei traslochi e simili.

            Penso che si possa applicare a tutta questa complessa vicenda il vecchio proverbio popolare ereditato dai latini che dice: “a buon intenditor poche parole”. Veramente poche, quasi nessuna.

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Perché Luca Palamara non meritava di essere radiato dalla casta togata

Il simbolo della candidatura dell’ex magistrato alla Camera

Più leggo interviste, articoli e lettere di Luca Palamara, compresa quella che ha scritto al Dubbio per replicare ad un editoriale critico del direttore Davide Varì, e meno mi convinco non certo della legittimità ma dell’opportunità della sua candidatura, d’altronde personalissima, alle elezioni suppletive del 3 e 4 ottobre nel collegio romano di Primavalle. Che è rimasto privo di rappresentanza con le dimissioni della deputata 5 Stelle Emanuela Del Re.

            Gli elettori dell’ex magistrato, radiato dall’ordine giudiziario e dal sindacato delle toghe, dove pure aveva assunto funzioni apicali, rispettivamente di membro del Consiglio Superiore e di presidente, dovrebbero essere garantisti trasversali, di centrodestra e di centrosinistra, e persino tra i grillini. Che hanno cominciato a mettere mano anche al loro dizionario riconoscendo che certe cose è meglio magari continuare a pensarle ma non più a dirle, e aggiornando conseguentemente  il linguaggio all’opportunismo politico spesso insito nelle alleanze.

            Mi chiedo, fra le tante cose, che credibilità possa avere il garantismo dichiarato da chi per dimostrare inedite aperture aderisce ai referendum promossi da radicali e leghisti escludendo però dal mazzo quello sulla responsabilità civile dei magistrati, che pure non può essere liquidato come secondario. Non a caso, del resto, in questa esclusione, motivata con la paura che i magistrati finiscano paralizzati e intimiditi dai mezzi di cui dispongono i malcapitati di turno decisi a farsi pagare i danni di condanne o restrizioni ingiuste, Palamara si è trovato d’accordo con Goffredo Bettini. Il quale  è un esponente di un partito -il Pd- dove sono confluite dottrina e cultura dei comunisti e della sinistra democristiana, senza il cui aiuto mai -dico mai- i magistrati avrebbero potuto debordare dai confini assegnati loro dalla Costituzione.

            La responsabilità civile dei magistrati, reclamata inutilmente dalla stragrande maggioranza degli elettori già nel 1987 con un referendum tradito in pochi mesi da una legge che l’ha disciplinata in modo tale da strozzarla, è la rappresentazione plastica della magistratura intesa come casta. Che nel giudicarsi da sola si assolve anche dalla responsabilità degli errori, scaricandola sulla collettività. Ogni tentativo di sottrarsi a questa realtà, scandalosa anche in rapporto alla responsabilità che grava su tutte le altre categorie a contatto col pubblico , per quanti sforzi si facciano di motivarlo nel migliore dei modi, mi sembra francamente inutile.

            Nel mantenere intatta la convinzione che il magistrato debba conservare la sua non responsabilità civile -se non la vogliamo chiamare brutalmente irresponsabilità- Palamara dimostra di essere rimasto, direi, col cuore e con la mente nella casta dalla quale è stato radiato. Trovo qualcosa addirittura di masochistico in questa condizione che fa di Palamara un pentito sui generis, come gli contesta in Forza Italia Maurizio Gasparri in dissenso da altri come Antonio Tajani che, pur non arrivando a sostenerne la candidatura come espressiva del centrodestra, ne “comprendono” la ragione. Non dissimile mi sembra peraltro la situazione nella Lega, dove anche Matteo Salvini in persona, oltre al responsabile romano del movimento, è comprensivo verso Palamara, ma non sino al punto da sostenere che il centrodestra debba astenersi dal presentare un suo candidato nel collegio di Primavalle per facilitare la corsa dell’ex magistrato. Salvini, del resto, è quello che con più forza dice, anzi grida che quando sbagliano i magistrati debbono “pagare”.

Titolo del Dubbio

            Mi sembra curiosa anche la pretesa di considerare una concessione al garantismo, o all’umanità della politica, l’adesione ad un istituto come il referendum abrogativo previsto dalla Costituzione. Direi che è, al limite, incostituzionale la posizione di principio assunta dal Pd, e non solo da esso, contro il ricorso al referendum sui temi della giustizia, a disciplinare i quali dovrebbero bastare e avanzare i parlamentari nell’esercizio della loro funzione legislativa, per cui ogni iniziativa o posizione di segno contrario sarebbe quasi eversiva. Mi sono venuti francamente i brividi ad ascoltare in televisione il sindaco piddino di Pesaro motivare il suo rifiuto  “per disciplina di partito” di firmare tutti o in parte i referendum per fortuna già messi al sicuro dall’adesione dei cinque consigli regionali previsti dalla Costituzione. E per i quali, non a caso, continua lo stesso abbondante l’afflusso dei cittadini ai banchetti, e simili, predisposti per la raccolta delle firme.

            Vorrei ricordare ad Enrico Letta che il referendum abrogativo fu adottato dai costituenti fra le perplessità e le resistenze del Pci di Palmiro Togliatti, dubbioso anche della opportunità della Corte Costituzionale, nel timore che potesse risultare indebolita la sovranità del Parlamento. In caso di vittoria il Pci non voleva neppure il fastidio di cambiare Costituzione per mettere nella sicurezza più assoluta le leggi approvate dalla “sua” maggioranza.

Per attuare la disposizione costituzionale del referendum abrogativo, con una legge che lo disciplinasse, la Dc dovette puntare i piedi negli anni Settanta reclamandola come misura compensativa della legge istitutiva del divorzio, nella illusione di rifarsi referendariamente della sconfitta subita in Parlamento. Ma forse pretendo troppo dal segretario del Pd di origini democristiane.

Pubblicato sul Dubbio

Ripreso da http://www.startmag.it il 14 agosto

Blog su WordPress.com.

Su ↑