Il Fatto Quotidiano candida con una lettera Rosy Bindi al Quirinale

            Il cantiere quirinalizio del Fatto Quotidiano ha orario continuato. Si demoliscono e costruiscono statue di candidate femminili alla successione a Sergio Mattarella: le più temute di fronte alla persistente indisponibilità del presidente uscente della Repubblica ad essere rieletto – magari solo per passare la parola al prossimo e più legittimato Parlamento, fortemente ridotto di seggi- e alla consapevolezza che dopo tanti uomini al vertice dello Stato è forse giunta davvero l’ora di una donna.

Titolo di ieri

            Estromessa d’ufficio dalla gara, come vi era entrata, la ministra della Giustizia Marta Cartabia con un titolo sul “Colle più lontano” dopo lo scontro con Giuseppe Conte sulla riforma del processo penale, per quanto conclusosi con un compromesso che lo stesso Conte sta difendendo dalle critiche degli irriducibili del MoVimento 5 Stelle, ingegneri, operai e ispettori del Fatto Quotidiano hanno improvvisato la costruzione di un’altra statua, o candidatura femminile.

            Alla Santa Marta, o sorella Maria del Vangelo secondo Luca, buttata giù dal piedistallo hanno sostituito la pasionaria del Pd appartatasi da un po’ di tempo ma sempre presente nel ricordo e nella devozione di Marco Travaglio e amici. E’ naturalmente Rosy Bindi, ex ministra ed ex presidente della Commissione parlamentare antimafia. Il cui nome per l’elezione a prima presidente donna della Repubblica è stato proposto da un lettore del Fatto protetto con l’anonimato dal direttore. Che si spera non si sia scritta da solo la lettera. A pensare male, come diceva la buonanima di Giulio Andreotti, si fa peccato ma s’indovina. Almeno qualche volta, se non spesso o sempre, secondo il grado di pessimismo del lettore o osservatore di turno.

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Il futuro di Draghi è più europeo che italiano, dopo la missione a Palazzo Chigi

Titolo del Corriere della Sera

            Critici ed avversari di Mario Draghi -vedrete- faranno le pulci al Corriere della Sera per avere in qualche modo gonfiato sulla prima pagina un sondaggio col quale gli europei “votano” come loro leader “prima Merkel, poi Draghi”. Diranno -sempre critici ed avversari del presidente del Consiglio- che il quotidiano italiano più diffuso ha voluto compiacere il suo editore, Urbano Cairo. Il quale ha appena spiegato al Giornale della famiglia Berlusconi perché, pur essendo stato durante l’ultima crisi di governo favorevole ad una riconferma di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi, è oggi soddisfattissimo di Draghi. E guai, praticamente, a chi lo tocca, probabilmente a cominciare dallo stesso Conte se dovesse tornare quello che è apparso nei giorni scorsi, anche all’interno del Movimento 5 Stelle di cui sta per diventare presidente, tentato cioè dall’idea di una crisi, o di uno sganciamento dalla maggioranza, per riaprire i giochi. Ora egli sembra sedato dal compromesso strappato sulla riforma del processo penale.

Urbano Cairo

            “Non sapevo che Draghi fosse disponibile” a fare il governo, ha detto Cairo per spiegare la sua sostanziale adesione, sino a gennaio, alla cosiddetta “linea Conte o morte”, cioè elezioni anticipate. Neppure sapeva, evidentemente, della contrarietà del presidente della Repubblica a mandare gli italiani alle urne durante la pandemia, fermo alle indiscrezioni giornalistiche d’autunno su Mattarella pronto invece a sciogliere anticipatamente le Camere. Una volta saputo, contemporaneamente, di Mattarella contrario al voto e di Draghi disposto a realizzare il governo di emergenza propostogli dal Quirinale, l’editore del Corriere della Sera è diventato così tanto convinto, così contento, così entusiasta del nuovo presidente del Consiglio che il suo giornale gli ha offerto quel bel titolo su “prima Merkel, poi Draghi”  in un “sondaggio in tutti i paesi” dell’Unione. Che non sono poi davvero tutti perché il sondaggio, condotto da vari istituti sotto l’egida di Euroskopia, in realtà si è limitato ai cinque paesi più popolosi -Germania, Italia, Francia, Spagna e Polonia- più l’Austria. E ha riguardato non il leader vero e proprio della comunità europea, ma chi, tra i vari leader, ha meglio fronteggiato l’emergenza della pandemia.

            A conferma della complessità e insieme specificità  del problema, i voti da 1 a 10 non sono risultati alti per nessuno. Sono anzi risultati un po’ bassini per tutti, per cui già una sufficienza è risultata un successo. La cancelliera tedesca è stata l’unica a raggiungerla in patria e fuori, col 6,15 comunitario e 6,41 tedesco. Draghi ha preso  6,45 in Italia e 5,73 fuori casa. Tutti gli altri, dal francese Emmanuel Macron allo spagnolo Pedro Sanchez, dal polacco Mateus Morawecki all’austriaco Sebastian Kruz sono rimasti dappertutto ben sotto la sufficienza, e quel 5,73 di Draghi, come anche la presidente della Commissione Europea.

            Eppure, nonostante questi limiti numerici dei risultati del sondaggio enfaticamente annunciato dal Corriere della Sera, proprio per la gravità del problema su cui i vari leader sono stati pesati, quello di Draghi mi sembra un ottimo piazzamento, nonostante a dargli quasi 7 siano stati solo gli italiani. Visto anche l’annunciato ritiro della Merkel, il livello europeo della leadership di Draghi è confermato, lo rafforza a Palazzo Chigi e lo lancia più verso traguardi comunitari che nazionali. Il suo futuro insomma mi sembra proiettato più sull’Europa del dopo-elezioni del 2024 che sul Quirinale o sull’Italia del dopo-elezioni del 2023, o prima ancora.

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