E’ una notiziola non di oggi, né di ieri, ma addirittura dell’altro ieri, quarta domenica d’Avvento nella liturgia cristiana: quella in cui si accende l’ultima candela degli angeli impegnati ad annunciarono
la nascita di Gesù. E’ in questo contesto che ha voluto inserirsi con una vignetta a dir poco blasfema Il Fatto Quotidiano di Marco Travaglio. Il quale sostituendosi all’ormai laicissimo Papa Francesco – riverito su Repubblica in quasi tutti gli editoriali dal dichiaratissimo e compiaciuto “amico” Eugenio Scalfari- ha scontato tutte le tappe intermedie, a cominciare da quella iniziale della morte, per conferire la Santità a un ancor vivo e vegeto Mario Draghi.
Non si tratta di un omonimo inconsapevole ma proprio di lui: l’ex presidente della Banca Centrale Europea, ex governatore della Banca d’Italia e tante altre cose ancora Mario Draghi. Che per sua somma sventura è entrato da qualche tempo, a torto o a ragione, nelle cronache politiche, tra retroscena, indiscrezioni, proposte, auspici e simili, come un possibile successore di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. Ciò in caso di crisi naturalmente, non certamente di suicidio del presidente del Consiglio, e di
formazione di un governo, anzi un “governassimo”, capace già col suo stesso nome di fronteggiare tutte le emergenze nate e cresciute fra le mani e i piedi del precedente, sino a risparmiare all’ultimo momento al capo dello Stato la scomodità e l’angoscia delle minacciate elezioni anticipate a metà soltanto della legislatura, o quasi. E con tantissimi dei parlamentari uscenti, anche di quelli a parole smaniosi di un ricorso veloce alle urne, ma in realtà terrorizzati dalla consapevolezza del combinato disposto, diciamo cosi, della riduzione dei seggi imposta dai grillini ai loro alleati di turno, e confermata dall’apposito referendum, e della dieta elettorale procuratasi con la loro azione in questi anni dai loro bizzarri partiti, a cominciare proprio dai grillini.
Per chi non lo gradisce, e lo vive di giorno e di notte come un’ossessione, Draghi ha anche l’inconveniente di poter diventare da presidente del Consiglio un eccellente, quasi naturale candidato al Quirinale per succedere a Sergio Mattarella nelle elezioni presidenziali che si dovranno svolgere in Parlamento a febbraio del 2022. Egli potrebbe proprio dal Colle aiutare il successore a Palazzo Chigi a portare a termine nel residuo anno della legislatura l’azione risanatrice ed emergenziale avviate dal suo governo, sempre senza compromettere il mandato dei deputati e senatori uscenti, specie di quelli a scarsissima possibilità di ricandidatura e rielezione.
Di fronte a simili prospettive, temo avvertite da Travaglio e simili, notoriamente adoranti di Conte come i pastori davanti alla grotta, già spiazzati dalla recente nomina di Draghi alla Pontificia Accademia delle Scienze, l’ex presidente della Banca Centrale Europea è diventato sul Fatto Quotidiano, con tanto di immaginetta adeguata al tipo di venerazione, il Santo protettore dei “masturbatori”.
Direi che si tratta di un preclaro esempio del livello dell’informazione e della formazione dell’opinione pubblica
cui si può arrivare dietro il paravento alquanto ipocrita della satira o ironia, specie quando non si riesce ad agganciarla alla consultazione del casellario giudiziario per liquidare il nemico o mostro di turno. Ma il mondo è bello perché vario, come avverte la vignetta di oggi, sempre del Fatto Quotidiano. Infatti sul Foglio Paolo Mieli oggi stesso ha decantato in una lunga intervista le prospettive di un governo Draghi.
Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it
determinato una maggiore attenzione sul Pd, privo ancora di un suo candidato al Campidoglio e perciò “scosso” -sempre secondo il principale quotidiano romano- dal ritorno in campo della vincitrice grillina delle passate elezioni, nel 2016.
che la Raggi si è troppo rafforzata nel suo Movimento perché qualcuno possa rimuoverla per facilitare un accordo col partito di Nicola Zingaretti. Che, dal canto suo, non può
decentemente contraddire l’opposizione condotta contro l’amministrazione capitolina uscente dopo il clamoroso strappo, se non proprio l’autorete dell’anno scorso costituita dalla conferma di Conte a Palazzo Chigi, rinunciando alla “discontinuità” reclamata all’inizio per subentrare nel governo ai leghisti.
scelte masochistiche, che si riducano le resistenze contro la oggettivamente forte candidatura di Carlo Calenda. Che ha appena annunciato di volere aspettare Zingaretti per qualche settimana ancora, massimo sino a febbraio, salvo un rinvio delle elezioni amministrative dalla primavera all’autunno, pronto diversamente a correre da solo contro una Raggi alla quale ha voluto elegantemente, ma anche furbescamente, fare i complimenti per l’assoluzione, felicissimo di misurarsi con lei nella competizione capitolina.
Bertolaso come candidato, pronto a confrontarsi anche con lui. Ma non dimentichiamo che il centrodestra romano è lo stesso delle elezioni del 2016, solo quattro anni fa, quando non riuscì ad esprimere una candidatura comune davvero condivisa, né con Bertolaso né con Alfio Marchini, e
nel ballottaggio, pur di non votare il candidato del Pd Roberto Giachetti, neppure lui di certo un bolscevico,
oggi non a caso schierato da renziano con Calenda, gli preferì la Raggi con dichiarazioni persino pubbliche di voto di leghisti, forzisti e fratelli d’Italia. Pensate un pò di cosa sono stati e sono capaci anche da quelle parti sulla scivolosa scalinata del Campidoglio, così poco lontana peraltro da Palazzo Chigi.
a Roma hanno confermato l’assoluzione di primo grado per falso, impugnata dalla Procura, per la vicenda della promozione a capo del Dipartimento del Turismo del Comune il vice comandante dei Vigili Urbani e fratello del capo del personale e grande consigliere della sindaca, Raffaele Marra, poi arrestato per altri fatti risalenti alla precedente amministrazione.
la indisponibilità del Pd a sostenerla, Beppe Grillo in persona pubblicamente la invitò- fra il serio e il faceto- a lasciar perdere perché i romani non la meritavano. Poi l’attesa del giudizio d’appello aggravò le tensioni nel Movimento, spingendo alcuni cosiddetti “governisti” a scommettere sostanzialmente sulla condanna per rimuovere dal campo la candidata diventata un impedimento insormontabile per un accordo col Pd.
possono sbagliare, eccome, sino a scrivere nel suo editoriale del “degrado di gran parte della magistratura, che nessuna persona sensata può ridurre al caso Palamara”. Meglio tardi che mai, verrebbe da chiosare.
fatto recuperare rispetto a novembre tre punti di gradimento, nonostante tutti gli spintoni di Matteo Renzi verso la crisi e le ragioni o i pretesti, secondo i gusti, che lo stesso presidente del Consiglio gli ha fornito dando l’impressione di voler fare tutto da solo, e in modo alquanto pasticciato. Piuttosto che con Conte, quasi ad assolverlo
e a incoraggiarlo, come sul Fatto Quotidiano stanno tentando da giorni, a mandare Renzi a quel Paese al Senato, come avvenne con l’allora vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno Matteo Salvini nella seduta del 28 agosto 2019, il pubblico sondato da Pagnoncelli ha preferito prendersela col governo nel suo complesso, retrocesso di tre punti nel gradimento popolare: esattamente quanti ne avrebbe guadagnati il presidente del Consiglio.
del direttore Alessandro Sallusti ha tradotto su tutta la prima pagina, con la verifica della maggioranza ancora da completare, in un “avviso di sfratto a Conte”, per giunta sospettando una preventiva informazione del capo dello Stato e, tutto sommato, un suo consenso, visto che la presidente del Senato ne è la potenziale supplente.
si è svolto in serata, rinviato dalla mattina a causa della missione a Bengasi, un breve, mesto e inutile incontro fra il presidente del Consiglio e la delegazione dell’Italia dei Valori guidata da Matteo Renzi per la verifica della maggioranza, imposta dalle circostanze a un Conte che non ne aveva una grandissima voglia, diciamo così. E, forse imbaldanzito a suo modo dal presunto successo di Bengasi, non ha fatto nulla per nascondere il suo malumore.
sulla Stampa, in prima pagina e senza dover temere smentite o precisazioni, che Renzi “disprezza” Conte, probabilmente ricambiato, per cui si potrebbe pure immaginare il conto alla rovescia che l’uno sta facendo per cercare di rovesciare l’altro- mi chiedo se non ha torto l’ex senatore e vice presidente
del Consiglio Marco Follini a chiedersi a sua volta, come ha appena fatto sul Dubbio, fino a quando riuscirà a trattenersi il sinora “sobrio, lucido, scrupoloso e appropriato” presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Che potrebbe prima o poi sbottare, com’è d’altronde successo a un suo predecessore e collega di partito, Francesco Cossiga, offrendo al Parlamento non una terza edizione del capo di governo in carica, dopo quella gialloverde e quella giallorossa, ma una seconda, ruvida edizione di se stesso. E’ un’attesa, o speranza, alla quale mi associo molto volentieri.
quali e quanti ospiti ricevere, e con quali modalità, se con o senza mascherine, e magari anche qualche camice ospedaliero. Sempre meglio comunque che ritrovarsi nelle condizioni di quegli sventurati ripresi nella foto “copertina” del giornale Domani accanto alla bara del congiunto in un locale di fortuna, rimediato chissà dove.
a disposizione, non so con quanto riguardo verso il presidente della Repubblica e le sue esclusive competenze costituzionali, annuncia e perora in caso di crisi o incidenti le elezioni anticipate. Che sicuramente ridurrebbero forse alle dita di una mano i parlamentari del Pd che l’anno scorso seguirono Renzi nella fondazione di Italia Viva, e i cui voti sono oggi determinanti per la sopravvivenza della maggioranza giallorossa, o giallorosa, come la vedono nel giornale di Vauro.
di restituire il vitalizio al quasi moribondo Ottaviano Del Turco. Sì, ma per un mese, è sembrato che le abbiano praticamente imposto i soliti moralizzatori di turno volendo prima accertarsi di quanto davvero disponga il reprobo condannato per induzione indebita, con qualche probabilità -ahimè- che il poveretto nel frattempo muoia davvero. Che tristezza. O che schifo.
appartiene, è brutto e odioso, per quanto rappresenti ancora il meglio della storia della Repubblica italiana. “Renzi allunga la verifica”, ha scritto il manifesto mentre sul Foglio si racconta di uno sconsolato o preoccupato Nicola Zingaretti che, accompagnato dal suo staff mediatico del Nazareno, va a mangiare in una trattoria deserta del centro di Roma e chiede il parere anche del cameriere sulla mossa dell’ex presidente del Consiglio.
contro gli avversari e altro ancora si rendeva antipatico, pur essendo nel fondo -credetemi- un timido. Che tuttavia Renzi non è, avendo anzi la presunzione di essere il più furbo, e soprattutto di avere per la sua età più tempo di tutti gli altri per scalare tutto ciò che potrebbe capitargli a tiro, fosse pure la segreteria generale della Nato dopo l’elezione alla Casa Bianca del presidente Biden, di cui ha appena diffuso una vecchia foto insieme.
nascere l’anno scorso, sfilandosi subito dopo dal Pd proprio per conservarne le chiavi. Credo alle parole attribuitegli da Maria Teresa Meli oggi sul Corriere della Sera: “Se Conte non molla sulle cose che gli chiediamo apro la crisi. Non ora, ovviamente, che c’è la legge di bilancio da approvare, ma dopo, a gennaio”. E sarebbero guai seri.
indicato alla “Stampubblica” e annessi e connessi come modello “Radio Deejay”, con i suoi cinque milioni di ascoltatori, per “andare incontro all’immaginario collettivo sfidando
ogni conformismo”. E’ un riferimento, in realtà, “vagamente blasfemo”, come ha scritto Valentini vantando “il grande impegno politico, culturale, civile” di testate come Repubblica e l’Espresso.
improvvisamente sfidandone il fondatore a trovarsi un altro editore. E che la buona Sandra Bonsanti, strappandosi pure lei le vesti parlandone col Fatto Quotidiano, ha un po’ troppo generosamente paragonato ad una specie di cattedrale laica del giornalismo italiano. La cui ragione di nascere e di vivere fu negli anni Ottanta una furibonda lotta all’emergente presidente socialista del Consiglio Bettino Craxi, a sostegno invece del Pci di Enrico Berlinguer e successori: qualcosa che Jhon Elkann non ha potuto vivere appieno per ragioni anagrafiche, avendo per fortuna solo 44 anni, ma di cui qualcuno deve avergli lasciato un penoso ricordo.
parlamentare tolto a Ottaviano Del Turco. Delle cui gravi condizioni di salute, attigue alla
morte, Maria Elisabetta Alberti Casellati ha precisato di non essere stata informata quando ha partecipato all’”atto dovuto” contro l’ex senatore, deputato, europarlamentare, ministro, segretario del Partito Socialista, vice segretario della Cgil, perché condannato in via definitiva nel 2015 a 3 anni e 11 mesi di reclusione per “induzione indebita”.
l’iniziativa per sanare un caso di decurtazione di un vitalizio che presentava forti elementi di iniquità”, Maria Elisabetta Casellati ha assicurato che “coerentemente mi impegnerò personalmente per tutelare le ragioni” dell’ex governatore della regione abruzzese. Con altrettanta coerenza, e senso di opportunità, anche se desta qualche perplessità sapere che un organo istituzionale si riunisce e decide su qualcuno senza disporre di tutte le informazioni necessarie o opportune, pur in mancanza di iniziative di parte, Vittorio Feltri ha chiuso la polemica con parole di “commozione” e “ringraziamento per ciò che potrà realizzare” la presidente del Senato. Il cui intervento peraltro -notizia non certo irrilevante sul piano istituzionale e politico- toglie dall’imbarazzo in cui si è trovato il presidente della Repubblica di fronte alla richiesta pervenutagli da più parti di sanare lui la situazione graziando il pur inconsapevole, ormai, Del Turco, affetto anche dal morbo di Alzheimer, oltre che Parkinson e tumore.
di Palazzo Madama, derivava -e deriva- anche dal fatto che è pendente una richiesta difensiva di revisione del processo conclusosi con la condanna definitiva di Del Turco. Essa potrebbe al limite, pur con tutti i dubbi consigliati dai precedenti passaggi della vicenda giudiziaria dell’ex senatore, garantire all’interessato una riabilitazione più piena, diciamo così, di una sia pur apprezzabile grazia presidenziale. Che per sua natura non può incidere sul merito del trattamento giudiziario riservato a Del Turco e colpirne le responsabilità.
conclusione per il loro congiunto. Che non è il mostro uscito dalle aule giudiziarie in una stagione di falsa e rigeneratrice rivoluzione. Non c’era in Italia nessuna Bastiglia da espugnare, nessun Capeto da ghigliottinare.
di tentare, sfidato ormai un giorno sì e l’altro pure da Matteo Renzi. Che da socio parlamentarmente determinante della maggioranza gli ha posto condizioni che -chissà perché- in bocca a lui diventano “ricatti” da scherno. Come se non fosse stato un “ricatto” anche il no opposto l’anno scorso dai grillini alla condizione di una “discontinuità” a Palazzo Chigi posta dal Pd per subentrare ai leghisti nel governo.
sul tappeto di una crisi “virtuale” -come l’ha giustamente definita Stefano Folli su Repubblica- che potrebbe trascinarsi per chissà quant’altro tempo ancora, non certo a vantaggio del Paese e di tutte le sue emergenze.