L’imbarazzo della scelta fra gli assalti e i dileggi al premier antivirale

            C’è solo l’imbarazzo della scelta di fronte alle rappresentazioni giornalistiche, in titoli e immagini, delle proteste esplose un po’ dappertutto, dal Nord al Sud, in piazza e al chiuso dei locali autorizzati a rimanere aperti solo sino alle ore 18, dopo le misure e le raccomandazioni infilate dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte nel suo ultimo, per ora, decreto d’emergenza virale. Si sprecano la “rabbia”, le “rivolte”, gli “scontri”, le “preoccupazioni” del Quirinale e del Viminale, le incitazioni  al “balzoka” e persino le imprecazioni alla Grillo, pur silente stavolta, come quella lanciata da Vittorio Feltri su Libero, in versione originale e non imitata, con un ”andate tutti affancovid”. Che -bisogna ammetterlo- gli è venuta bene e non gli procurerà problemi all’Ordine né regionale né nazionale dei giornalisti, da cui d’altronde mi pare che lui si sia dimesso per protesta contro tutti i processi, o simili, fattigli per altri titoli, invettive e allusioni.

            Il più misurato, e persino elegante, è stato ancora una volta il professionalissimo manifesto con quel “sipario strappato” sovrapposto come titolo all’immagine dell’ultima, sempre per ora, conferenza stampa di Conte nel cortile di Palazzo Chigi, con tutte le distanze di sicurezza rispettate e in assenza del covidato -direbbe Vittorio Feltri- portavoce ufficiale Rocco Casalino, in quarantena da contagio col suo compagno.

            Accorata, pur senza le lacrime ormai famose di Elisa Fornero nella conferenza stampa nella quale le toccò come ministra del Lavoro di Mario Monti di annunciare dolorose misure contro pensionati e pensionabili, è stata la lettera di risposta del presidente del Consiglio sul Corriere della Sera all’ormai divino Maestro Riccardo Muti, tramortito dal divieto degli spettacoli anche musicali.

            L’unico giornale che si è risparmiato titoli, vignette e quant’altro, almeno in prima pagina, sulle reazioni alle misure e raccomandazioni del notoriamente stimatissimo, anzi amatissimo presidente del Consiglio, fortunatamente prestatoci dalla Divina Provvidenza in questi drammatici frangenti, e persino con largo anticipo rispetto all’arrivo della prima e seconda ondata della pandemia virale, è stato naturalmente Il Fatto Quotidiano. Che è già proiettato verso le festività natalizie salvate dal previdente governo Conte, con tanto di “capannuccia” del Presepe “sanificata” con cura dal pennarello, spugna e quant’altro del solerte e spiritoso Vauro Senesi.

Chissà quanti sacrifici sarà costatata nella redazione del Fatto in questi giorni la rinuncia alla tentazione di sfruculiare, tra la vignetta e la ”cattiveria” di giornata, un’ormai consumata vittima del sarcasmo di Marco Travaglio come il senatore, eletto come indipendente nelle liste del Pd, e già presidente della Camera negli anni di permanenza nel centrodestra Pier Ferdinando Casini. Che nei mesi scorsi, quando la prima ondata della pandemia sembrava felicemente affrontata e superata, criticando non ricordo più quale decisione o iniziativa del governo cui pure aveva dato la fiducia, aveva previsto, avvertito e quant’altro il presidente del Consiglio delle difficoltà che gli avrebbero procurato in autunno non solo i pariolini,  fra i quali lo stesso Casini abita a Roma, ma tutti gli italiani armati di “forconi”. Spero che Vauro non ci proponga prima o poi Casini come un nuovo Masaniello, pur di origini bolognesi. 

 

 

 

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La falsa cordialità fra Mattarella e Conte, secondo il retroscena del Fatto….

Comunque si vogliano giudicare i decreti del presidente del Consiglio imposti dalla pandemia virale -undici, come li ha contati la maggior parte dei cronisti, o ventidue, come risultano al giornalista che forse lo segue con più passione di tutti, e di cui non faccio il nome perché mi interessa il peccato, di cui parlerò, più che il peccatore- debbo dire che Giuseppe Conte si deve guardare in questi difficilissimi tempi più dagli amici che dai nemici.

Nel tentativo di giustificare le carenze e quant’altro trovate anche da lui fra i divieti, gli obblighi e le raccomandazioni agli italiani per fare i sacrifici necessari ad arrivare indenni al Natale e al suo indotto, un esimio direttore di giornale ha rappresentato il presidente del Consiglio come una specie di San Sebastiano supertrafitto.

Sentite da quante “mani”, cioè intromissioni, il povero Conte ha dovuto difendere il suo non dico ultimo ma almeno penultimo decreto antivirale, essendo di buon senso prevederne ancora altri: “ministri, vice ministri, sottosegretari, consulenti, Quirinale, leader di partito, Comitato tecnico-scientifico, sindaci metropolitani, presidenti di Regione, sindacati, associazioni di categoria, ovviamente nessuno d’accordo con gli altri”.

Mettere il Quirinale, sia pure con la maiuscola, in questa vasta compagnia di disturbatori della sua quiete, competenza e quant’altro mi sembra francamente un pessimo servizio al presidente del Consiglio.

 

 

 

 

Pubblicato sul Dubbio

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