Spettacolo osceno, e autolesionistico, a Catania contro il leader della Lega

            Due parole, quasi due, sui contorni mediatici e politici, chiamiamoli così, dell’udienza preliminare svoltasi a Catania per il processo proposto dal tribunale dei ministri contro Matteo Salvini. Il quale ordinò da ministro dell’Interno l’anno scorso di trattenere a bordo per quattro giorni  a bordo della nave Gregoretti cento e più migranti, in attesa che venisse concordata la loro distribuzione fra più paesi europei.

            Saranno stati pure “4 gatti” i simpatizzanti di Salvini raccoltisi nella città siciliana, come ha titolato in prima pagina irridendoli Il Fatto Quotidiano, impegnatosi allo spasmo sul fronte giornalistico perché il Senato autorizzasse nei mesi scorsi questo passaggio giudiziario. Ma, a prescindere dal giudizio politico che si può avere del leader leghista, meglio quei “4 gatti” degli altri quattro, o due, che hanno opposto ai manifestanti leghisti e, più in generale, del centrodestra quel cartello che dava a Salvini della “merda”. Che tanto merda, poi, non deve essere apparso non solo al pubblico ministero, che ha proposto l’archiviazione del caso non vedendovi l’ombra del “sequestro”o altro reato ravvisato invece dal tribunale dei ministri, ma anche al giudice. Che ha prudentemente convocato a testimoniare, per ora, mezzo governo di cui Salvini faceva parte, a cominciare dal presidente del Consiglio, più la ministra attuale dell’Interno Luciana Lamorgese, prima di decidere il rinvio a giudizio o no.

            Chi di sterco ferisce, di sterco può anche perire, o almeno restare schizzato.

La coda velenosa della campagna elettorale d’autunno sotto le 5 stelle

            Luigi Di Maio vi aveva molto scommesso con un impegno “pancia a terra” in questa coda elettorale d’autunno, ma non credo che i 54 ballottaggi comunali in corso gli consentiranno di opporre al suo collega di partito Alessandro Di Battista una rappresentazione più consolante, o meno “disfattista”, come lamenta Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano, delle condizioni del Movimento 5 Stelle. Che si sono d’altronde aggravate in questi  giorni proprio per l’offensiva interna di Di Battista.

            Anche se i pochi candidati comuni del Pd e dei grillini giunti al secondo tempo della partita elettorale dei municipi, specie nei territori campani o, più in generale, meridionali più cari o vicini a Di Maio, dovessero farcela o perdere dignitosamente, con pochi punti di distacco dai rivali, la situazione dei pentastellati rimarrebbe quella che è: ai limiti di una scissione. Ora essi non possono neppure contare più di tanto sull’appuntamento congressuale dei cosiddetti Stati Generali per comporre le loro diatribe perché il contestato Davide Casaleggio ha un po’ chiuso i rubinetti, per ragioni forse ritorsive di cassa, della sua piattaforma digitale Rousseau. Che è necessaria per queste evenienze: un’altra complicazione nel movimento che in due anni e mezzo di legislatura si è persa per strada una buona metà del proprio elettorato governando prima con i leghisti e poi con il loro opposto: il Pd.

            A questa realtà, che ha indotto Di Battista a proporsi alla guida del movimento per una svolta, il grande suggeritore, protettore e non so cos’altro dei grillini ortodossi Marco Travaglio ha opposto oggi, nell’editoriale del giornale che dirige, questa domanda che voleva essere forse retorica, dalla risposta cioè scontata nel senso da lui voluto: “sono più importanti la Spazzacorrotti, la Bloccaprescrizione, le manette agli evasori, il reddito di cittadinanza, il decreto legge Dignità, il blocco delle trivelle, il taglio dei parlamentari e dei vitalizi, o qualche punto percentuale?”. Beh, comunque si vogliano giudicare le leggi elencate da Travaglio come medaglie al petto dei grillini per la guerra condotta nella presunta fogna politica e sociale strappata in eredità ai predecessori sconfitti nel 2018, mi sembra francamente esagerato, diciamo pure risibile, liquidare come “qualche punto percentuale” la perdita, all’ingrosso, di metà di quel 32 per cento e rotti di voti conquistato due anni e mezzo fa. Sarebbe come dire e scrivere che è “un po’” sprofondata quella casa travolta dalle acque la cui foto molti giornali hanno oggi pubblicato in prima pagina, in alternativa a quelle dei pronti crollati, come emblematica degli effetti del maltempo abbattutosi nelle ultime ventiquattro ore sull’Italia del Nord Ovest.

            Né mi sembra funzionare a favore dello stesso obbiettivo postosi da Travaglio a favore della prosecuzione, anzi del consolidamento dei rapporti col Pd “rispettoso” dei grillini la rappresentazione al passato che egli ne ha proposto per dimostrare quanto esso sia cambiato forse proprio grazie a loro: un Pd -ha raccontato Travaglio- che “prendeva ordini da Re Giorgio o dal Giglio magico, governava con Monti, Berlusconi, Alfano e Verdini, copiava le ricette di Confindustria e delle banche d’affari, tentava di scassare un terzo della Costituzione e affogava negli scandali”, non so se al netto o al lordo delle assoluzioni giudiziarie spesso sopraggiunte alle condanne mediatiche. Non credo che Nicola Zingaretti possa riconoscersi nell’ affresco di Travaglio, che in fondo lo coinvolge con buona parte del gruppo dirigente del Pd pur affrancato, diciamo così, dalla scissione di Matteo Renzi.

 

 

 

 

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