I conti del governo Conte che non tornano neppure al direttore della Stampa

            Ancora due parole, o poco più, a proposito delle prestazioni di Marcello Sorgi sulla Stampa come avvocato di Giuseppe Conte in questa drammatica emergenza virale, ripetute oggi nel suo “taccuino” di quinta pagina, dopo l’editoriale di ieri. Ripetute per riconoscere al presidente del Consiglio il merito di essere “tornato pienamente sul ponte di comando progettando misure più drastiche ed efficaci su tutto il territorio nazionale”. Che “dovrebbero sostituirsi al Carnevale delle singole Regioni e dei governatori”, specie di quelli esaltati dai voti che li hanno recentemente confermati al loro posto, a cominciare naturalmente dal campano Vincenzo De Luca.

            L’unico dubbio, un po’ retorico, rimasto al mio amico Marcello è se Conte nei giorni scorsi fosse stato “scalzato dal suo posto” o si sia adesso “semplicemente alzato per far sentire la sua mancanza” nelle ore diurne e notturne della studiata assenza.

            Tornato col suo dubbio in quinta pagina, Marcello si sarà letto questa mattina, o già durante la notte, l’editoriale di prima pagina scritto dal direttore Massimo Giannini dopo tre settimane di ricovero per covid al Policlinico Gemelli di Rona, dove è rimasta ancora la madre. Alla quale naturalmente auguro di uscire pure lei quanto prima.

            In debito con Giannini per il magistrale racconto della sua esperienza di malato, e ora di convalescente, fra lo stile del cronista e quello del romanziere, alla grande, lo sono ancora di più per la franchezza dell’analisi politica della situazione giù difficile che aveva lasciato nel momento del ricovero ma nel frattempo aggravatasi di pari passo con la pandemia.

            “Non tornano -ha scritto il direttore della Stampa– i conti del governo, che continua a rivendicare ciò che ha fatto di fronte alla prima ondata, ma ad autoassolversi su ciò che non ha fatto di fronte alla seconda”. Non è vero, è verissimo. Ma ancora, dopo avere fatto le pulci a vari ministri, chiamandoli per nome, Giannini ha scritto di Conte che ha “il massimo rispetto, ma di fronte ai numeri di questa emergenza lo stillicidio dei Dpcm a cascata e la strategia dei piccoli passi (e possibilmente uno indietro rispetto agli enti locali) non servono più a niente”. “Da lui -ha aggiunto Giannini senza fargli sconti di sorta- ci aspettiamo atti di governo, chiari e inequivoci, severi e all’altezza della sfida atroce che ci opprime, non prediche inutili e consigli da buon padre di famiglia”. Meglio e di più non avrebbe potuto scrivere l’appena scampato, fortunatamente, alla trappola del covid.   

Altro che Vincenzo De Luca sul Vesuvio, siamo tutti seduti sul fuoco

            Magari fosse solo Vincenzo De Luca a sedere sul fuoco del suo Vesuvio, come lo ha proposto Emilio Giannelli nella vignetta del Corriere della Sera di fronte alle notizie e alle immagini provenienti da una Napoli in rivolta: non si sa se più contro il lockdown disposto dal suo governatore regionale o quello più morbido, diciamo così, in arrivo col solito affanno, o tra le solite tensioni interne, dal governo a cominciare dalle 18. Che va intesa peraltro come ora solare, appena ripristinata, più indietro quindi di 60 minuti rispetto a quella legale cui eravamo abituati da fine marzo.

            Qui, con la seconda ondata della pandemia virale che ha colto tutti impreparati, a qualsiasi livello, e con la scomparsa – provata da quella fila, per esempio, di sciatori assembrati a Cervinia- del buon senso, della ragionevolezza, della disciplina e di tutte le altre esagerazioni attribuite anche dall’estero agli italiani in occasione della prima ondata, siamo tutti a sedere sul fuoco. Lo sono anche quelli che, spontaneamente a casa, senza aspettare non più le norme ma le “raccomandazioni” espresse con decreto dal presidente del Consiglio dei Ministri, credono di essere in sicurezza.

            A me, per esempio, per quanto può valere una modestissima esperienza personale, è accaduto di venire sputato in faccia in macchina, e a finestrino imprudentemente abbassato, da un energumeno -senza mascherina naturalmente- che, avendo posteggiato il suo furgoncino davanti alla palazzina di casa, mi impediva di uscire solo per portare mia moglie a un appuntamento nell’ambulatorio radioterapico del Policlinico Gemelli. Questi sarebbero gli italiani disciplinati, educati, eroici della propaganda conformista, come i napoletani elogiati da Libero su tutta la prima pagina pur dopo aver messo a ferro e a fuoco la loro città. Ma, per cortesia, dove pensiamo di poter arrivare in questo paese che personalmente ritengo ormai semplicemente incarognito dalla mancanza -ripeto, mancanza- da un bel po’ di tempo di un governo degno di questo nome, nazionale o locale che sia? Dai, siamo seri.

            Noi giornalisti -sia chiaro anche questo- partecipiamo a codesta follia non solo alimentando le polemiche più assurde e violente nel linguaggio e nelle azioni, ma anche dando false notizie o informazioni distorte. Proprio oggi, per esempio, capita di leggere un titolo sul Fatto Quotidiano  -e dove sennò?- in cui il decreto presidenziale, l’ennesimo, in arrivo con le sue raccomandazioni per l’emergenza viene annunciato “per salvare il Natale”. Cui chissà se arriveremo mai e come, vista la gestione catastrofica di questo autunno

            E poi -sentite, sentite, o leggete- sempre su quel giornale si scrive di un povero, sfortunatissimo, eroico presidente del Consiglio costretto a districarsi non fra la sua scarsa impreparazione politica, avendo fatto ben altro sino a due anni e mezzo fa, non fra le confusioni e tensioni dei grillini che lo hanno portato a Palazzo Chigi imponendolo prima a Matteo Salvini e poi a Nicola Zingaretti, ma tra “le pressioni isteriche” di un Pd che “non tocca palla”. Eppure è lo stesso, non un altro Pd che su quel giornale il direttore in persona raccomanda agli amici grillini come alleato sistemico, organico, strategico e non so cos’altro, liquidando come traditori, visionari, sprovveduti quelli che non lo stanno a sentire e non usano il cosiddetto voto disgiunto per far vincere i candidati piddini, appunto, a governatori e sindaci dove i pentastellati non hanno avuto l’accortezza, la saggezza, la furbizia di apparentarvisi elettoralmente.

 

 

 

 

 

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