Il velleitario inseguimento della figura davvero irripetibile di Aldo Moro

Marco Follini, che peraltro ben lo conobbe guadagnandosene anche l’appoggio ma efficace ai vertici del partito quando fu eletto a 23 anni Marco Follini.jpegsegretario del Movimento Giovanile della Democrazia Cristiana, nel 1977, ha ricordato da par suo Aldo Moro a 48 anni dal tragico sequestro del 16 marzo 1978: una ricorrenza penalizzata mediaticamente, come tante altre cose, dallo tsumani sanitario, sociale e politico del coronavirus.

Giustamente Follini ha sottolineato dello statista democristiano, ucciso 55 giorni dopo il rapimento avvenuto fra il sangue della scorta, l’unicità, irripetibilità e quant’altro di fronte ai tanti, ricorrenti tentativi di imitarlo o di paragonarlo agli uomini politici dei nostri tempi. L’ultimo, di questi tentativi, è stato compiuto domenica scorsa su Repubblica. Dove il fondatore Eugenio Scalfari.jpegEugenio Scalfari, elegantemente o rispettosamente ignorato da Follini, ha riproposto l’immagine di un Giuseppe Conte quasi erede politico di Moro. Che in comune col presidente del Consiglio in carica ha soltanto una parte della terra pugliese d’origine, essendo nato Moro a Maglie, in provincia di Lecce, dove gli hanno peraltro innalzato una statua con una curiosa copia dell’Unità del Pci in tasca, e non del Popolo, il quotidiano ufficiale della Dc, e Conte a Volturara Appula, in provincia di Foggia: un borgo di 400 abitanti, più che un paese.

Di Conte come erede, emulo e chissà cos’altro di Moro si sono in qualche modo invaghiti anche altri, e persino in quella che fu la Dc e poi si è sparsa in tanti rivoli o schegge. Ricordo ancora con un certo sgomento l’entusiasmo col quale qualche mese fa -in un teatro campano dove il presidente del Consiglio aveva accettato di commemorare Fiorentino Sullo su invito e alla presenza di tanti reduci dello scudocrociato, fra i quali l’ex segretario del partito Ciriaco De Mita, che peraltro al povero Sullo in vita aveva creato più problemi che altro, pur avendolo politicamente allevato- l’immaginifico Gianfranco Rotondi Gianfranco Rotondi.jpegiscrisse idealmente Conte alla Dc. E si scusò di non potergli consegnare materialmente la tessera perché con la fine del partito nel 1992 avevano finito di stamparne. E a Silvio Berlusconi, nelle cui file Rotondi è approdato e rimasto con licenza di fare e disfare formazioni personali sempre riconducibili a Forza Italia, non è mai venuta in mente l’idea, almeno sino a questo momento, di fare stampare in qualche tipografia amica tessere quanto meno simboliche di un partito del quale pure il Cavaliere si vanta ancora di avere affisso da ragazzo sui muri di Milano i manifesti nella storica campagna elettorale del 1948.

Eppure, grazie ai capricci del tempo, nonostante la unicità o irripetibilità -ripeto- che Follini giustamente attribuisce ad Aldo Moro, a Conte sta accadendo da qualche tempo di seguire il metodo Giuseppe Conte.jpegtutto moroteo di affrontare i passaggi politici più aggrovigliati con la formula dello “scomporre per ricomporre” le parti in gioco. Moro però lo faceva col suo stile Aldo Moro.jpeginconfondibile, studiato per produrre effetti a distanza, non immediati, per cui riusciva a produrre cambiamenti e  consenso vero. Lo dimostrò  la costruzione che egli fece, oltre che delle varie maggioranze all’interno del suo partito, delle maggioranze di governo: dal centro-sinistra alla cosiddetta solidarietà nazionale. Conte lo fa con l’immediatezza e l’improvvisazione che potrebbero prima o poi complicargli, anziché facilitargli la partita personale che sta giocando in politica, non avendo un vero e proprio partito alle spalle, o avendone dichiaratamente uno -quello delle 5 Stelle- ridotto in uno stato a dir poco confusionale.

Nella scorsa estate Conte scompose e ricompose gli schieramenti parlamentari per passare, praticamente dalla mattina alla sera, da una maggioranza gialloverde ad una maggioranza giallorossa, o rossogialla, per avere rispetto dei colori calcistici della Roma. Poi la gestì  in modo così poco accorto da fare esplodere una crisi nel maggiore partito della coalizione, con le dimissioni di Luigi Di Maio da capo del Movimento e la rimozione da capo della delegazione al governo, e quasi contemporaneamente uno stato di sostanziale belligeranza di Matteo Renzi ed amici.

Ora, con la storia del decreto legge chiamato “Cura Italia” o “anti-virus”, è riuscito a scomporre l’opposizione di centrodestra, divisasi fra le contestazioni dello stesso titolo del provvedimento da parte di Giorgia Meloni, l’insufficienza subito lamentata da Matteo Salvini gustando la spesa fatta il giorno prima con la fidanzata nel centro di Roma, con tanto di scorta in quasi assembramento pro-virus, e un ringraziamento in diretta televisiva, su una rete Mediaset, del direttore Berlusconi.jpegin persona del Giornale della famiglia Berlusconi, Alessandro Sallusti. Che probabilmente ha notizie del Cavaliere più dirette e sicure dei parlamentari forzisti che dovranno poi votare nelle commissioni e nelle aule, peraltro con modalità diventate anch’esse incerte per gli inconvenienti da contagio.

Il terzo governo di Conte, anticipato come “battuta”, formalmente, dal suo portavoce Rocco Casalino, sembrava rientrato nel deposito ferroviario non so di che stazione di Roma ma potrebbe essere rimesso sui binari. se e non appena il coronavirus si deciderà a mollare il monopolio della sinistra attenzione che si è procurato.

 

 

Pubblicato sul Dubbio

Berlusconi manda a ringraziare Conte per il suo decreto anti-virus

            Al di là del tono quasi dimesso con cui ha dovuto annunciarlo, in modalità comunicative quasi spettrali, collegato con una sala stampa fatta di assenze e distanze imposte dalla paura del contagio, il presidente del Consiglio è riuscito alla fine non solo a varare il decreto legge di difesa, chiamiamola così, dal coronavirus ma anche a dividere ulteriormente, se non a spaccare, l’opposizione di centrodestra.

La Verità di Maurizio Belpietro -che per difendere o sostenere pregiudizialmente Matteo Salvini aveva alla fine rinunciato alla prestigiosa collaborazione di  Giampaolo Pansa, restituendolo al Corriere della Sera nell’ultimissima fase della sua lunga avventura professionale- ha liquidato La Verità.jpegsu tutta la prima pagina come “un decretino” il corposo provvedimento del governo. Che, liquidato prontamente dai leghisti e contestato come “cura” dai Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, avrà  i suoi limiti quantitativi e qualitativi, per carità, Il Fatto.jpegnon sarà l’”antivirus” sparato trionfalisticamente sulla prima pagina del Fatto Quotidiano di un Marco Travaglio una volta tanto dalla bocca buona e dallo stomaco sazio, ma comporta pur sempre l’impiego di 25 miliardi di euro. Di  cui il Giornale della Il Gornale.jpegfamiglia Berlusconi ha preferito spiegare sobriamente e concretamente “a chi vanno”, nel contesto peraltro di un titolo -sempre di prima pagina- impostato all’ottimismo con quel grido “Dai che rallenta” al virus che ci sta conducendo una guerra infame e insidiosa.

           Nell’editoriale di giornata il direttore Alessandro Sallusti ha riconosciuto Sallusti.jpegal governo Conte il merito di avere  compiuto “un grande sforzo” e il coraggio di “avere sparato in un colpo solo tutte le munizioni che aveva a disposizione”, senza usarle gradualmente, per cui “o il nemico inizia a retrocedere velocemente oppure non ci resterà che affidarci a qualche santo”. Che non mi sembra identificabile in Salvini, a dispetto delle corone, dei crocifissi e Salvini e fdanzata a Roma .jpegdelle immaginette che esibisce nei comizi. Benedett’uomo, egli non si lascia scappare occasione per procurarsi polemiche a dir poco fastidiose, come quelle tiratesi addosso con una vera o presunta corsa alla spesa con la fidanzata Francesca Verdini e scorta nel centro di Roma. E ciò, per  somma sfortuna del leader leghista, nella stessa domenica in cui il Papa se ne andava a piedi per chiese a pregare.

          Oltre a scrivere il suo morigerato editoriale sulle misure disposte dal governo, il direttore del Giornale ha partecipato, collegato da casa allo studio televisivo improvvisato su una rete Mediaset da Paolo Del Debbio per sostituire il convalescente da virus Nicola Porro, rivolgendo a Conte un “grazie” esplicito. Che penso rispecchi più delle dichiarazioni di tanti uomini e donne di Forza Italia il pensiero e gli umori di un Silvio Berlusconi appartatosi in questo periodo in Provenza un po’ per proteggersi meglio dal rischio di contagio e un po’ per godersi, secondo le cronache rosa, il nuovo legame sentimentale sopraggiunto a quello con Francesca Pascale.

           Almeno sul piano politico, la strada del presidente del Consiglio sembra essere quindi diventata in discesa, nel senso buono della parola, nonostante la perdurante confusione esistente nella maggioranza giallorossa per i guai interni dei grillini, la perdurante agitazione di Matteo Renzi e la complessità un po’ genetica del Pd, liquidato già poco dopo la nascita  da Massimo D’Alema come un amalgama mal riuscito di sinistra democristiana, cespugli laici e soprattutto resti del Pci.

 

 

 

 

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Più che il governo potrà forse il miracolo chiesto a piedi dal Papa

 

            Per come temo che si stiano mettendo le cose ancora una volta in politica, con decreti che vanno e vengono sull’emergenza da coronavirus, spesso non per completarsi ma per contraddirsi, con poteri che confliggono fra loro più che coordinarsi, e con una informazione che attizza il fuoco più che spegnerlo, privilegiando il retroscena malizioso rispetto ad una seria e documentata comunicazione, viene davvero voglia di mettersi più nelle mani del Papa che del governo.

             Viene voglia cioè di sperare soprattutto nel miracolo che il Pontefice è andato fisicamente a chiedere Il Papa a San Marclino.jpegprima alla Madonna, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, e poi al Crocifisso venerato dai tempi della peste di cinque secoli fa ed esposto nella Chiesa di San Marcellino al Corso. Che Papa Francesco ha voluto raggiungere a piedi, con la sua scorta, in una Roma disciplinatamente deserta. La foto ha naturalmente e giustamente fatto immediatamente il giro del mondo.

            Non deve dolersi di queste considerazioni, anche perché è uomo notoriamente devoto a Padre Pio, santificato per i suoi miracoli, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Che sta cercando di fare del suo meglio, per carità, ma è irrimediabilmente prigioniero di questi tempi di politica troppo improvvisata. In cui gli  è capitato di poter e voler cambiare alleanze politiche con una certa disinvoltura, chiamiamola così. In più, egli fa buon viso, con generose interviste e sorrisi in salotti televisivi, a chi lo elogia aizzandolo curiosamente non a governare ma a sgovernare, non a comporre contrasti ma a crearli.

            L’esempio è di giornata, costituito da un confronto a distanza fra lo stesso Conte e il suo maggiore sostenitore mediatico, che è il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio, sulla figura di Guido Bertolaso: il medico già capo della Protezione Civile inutilmente proposto dalle opposizioni, ma anche da Matteo Renzi nella maggioranza, come commissario per l’emergenza antivirale e chiamato infine dal governatore della Lombardia Attilio Fontana a collaborare come consigliere per l’allestimento rapido di un nuovo ospedale di 500 posti letto a Milano. Dove potrebbero essere curati  anche pazienti di altre regioni investite o minacciate dalla ormai pandemìa del coronavirus.

            Intervistato dal Corriere della Sera, pur avendo scartato a livello nazionale la soluzione propostagli Conte su Bertolso.jpegdalle opposizioni e da Renzi, liquidandola frettolosamente come “una bandiera” evidentemente di altri, Conte ha testualmente e responsabilmente dichiarato: “Bertolaso non lo conosco di persona, ma giudico positivo che la Regione Lombardia sia affiancata da una persona che conosce la macchina organizzativa della Protezione Civile. Ne uscirà agevolato il dialogo con la centrale che opera a Roma, sotto la direzione di Borrelli e Arcuri”.

            Il contianissimo, diciamo così, direttore del Fatto Quotidiano, il cui sostegno al presidente del Consiglio non è né casuale né ininfluente considerando l’area politica che copre sopra, sotto Travaglio su Bertolaso.jpege accanto alle cinque stelle, con una evidenza che può essere negata solo con una quantità industriale di ingenuità o malafede, in un editoriale intitolato come ogni lunedì  “Ma mi faccia il piacere…” ha appena scritto con stile epigrafico: “Il compenso del mio  nuovo consulente Guido Bertolaso sarà di un solo euro” (Attilio Fontana, Lega, presidente della Regione Lombardia). Io ne offro due per farlo stare a casa”.

            Con questo tipo di sostegni Conte ha ben poco da vincere le sue partite. E altri ben poco da sperare in lui.

 

 

 

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La politica annaspa nell’acqua del bicchiere di Guido Bertolaso

             Il coronavirus continua a fare il suo sporco ma naturale gioco, diffondendosi, mietendo vittime e facendo paura persino a Donald Trump: quello spaccone del presidente degli Stati Uniti d’America che l’aveva liquidato come un “raffreddore” ed ora ha messo la mascherina alla La Gazzetta.jpegstorica statua della Libertà, secondo la felice rappresentazione fattane dal vignettista della Gazzetta del Mezzogiorno. Ma anche la politica italiana ha ripreso il vecchio, consunto gioco cui aveva dato per qualche ora l’impressione di volere rinunciare di fronte all’emergenza sanitaria scoppiatale  fra le mani e i piedi.

            Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, con una certa furbizia di palazzo che poteva forse risparmiarsi, aveva liquidato nell’incontro con i rappresentanti del centrodestra a Palazzo Chigi la proposta più o meno esplicita di mettere in pista contro questa emergenza come una specie di commissario straordinario l’ex capo della Protezione Civile Guido Bertolaso, liquidandolo come “una bandiera” dell’opposizione, e preferendogli Domenico Arcuri.  Che peraltro non si è ancora insediato nel nuovo ruolo, destinato ad aggiungersi a quelli che già svolge nella pubblica amministrazione. Ebbene, a distanza di poco più di 24 ore il governatore leghista della Regione Lombardia, la più investita dall’emergenza sanitaria, ha contestato forniture e metodi della Protezione Civile e nominato proprio Guido Bertolaso consulente speciale, e a titolo completamente gratuito, per velocizzare forniture di mascherine che non siano “carta igienica”, come quelle denunciate all’arrivo dall’assessore alla Sanità, ma soprattutto per realizzare in quattro e quattr’otto un progetto già finanziato sul posto, ma contestato o addirittura boicottato a Roma, di un nuovo ospedale con 400 posti letto nei padiglioni della vecchia Fiera di Milano.

            Ne è nato il solito casino -scusate la parola- di polemiche, sospetti, accuse, intimidazioni, in cui si è distinto il giornale più caro ai grillini, diciamo così, Il Fatto Quotidiano, con un editoriale del suo direttore che traduce la “normalità” di cui avrebbe bisogno l’Italia in uno Stato il più accentrato possibile. In cui dovrebbero scomparire dalla scena quei “satrapi e mitomani” che sarebbero diventati i governatori regionali, pericolosamente eletti direttamente dalle loro popolazioni, e gli uomini tipo Bertolaso. Cui, non potendosene scrivere come di un medico d’infimo ordine né come di un pregiudicato, essendo uscito indenne da tutte le vicende giudiziarie che ha dovuto fronteggiare, Il Fatto ha dedicato sopra la testata Il Fatto su Bertolosa.jpegquesta specie di epigrafe: “Sfumata la poltrona di supercommissario, martedì diceva: “No grazie, resto in Africa”. Ora invece: “Non potevo dire no”. Come si è permesso insomma, questo Bertolaso, di fare le cose  per le quali il giornale di Michele Travaglio, più ancora o come Conte, non lo ritiene adatto e degno?

            Il problema di questo Paese, gratta gratta, rimane sempre lo stesso: coniugare la democrazia con l’esercizio del comando. Il vecchio Eugenio Scalfari lo ha a suo modo avvertito Scalfari sul dopo Mattarella.jpegoccupandosi in una giornata come questa sulla sua Repubblica di chi dovrà prendere nel 2022 al Quirinale il posto di Sergio Mattarella, dandone per scontata al tempo stesso la centralità e l’indisponibilità alla rielezione, se gliela dovessero offrire. In veste di grande consigliere della Politica, con la maiuscola, egli ha candidato “Mario Draghi, Walter Veltroni, Giuseppe Conte ma anche Paolo Gentiloni”, che “forse -ha aggiunto- sarebbe il più adatto”. “Si vedrà”, ha concluso Scalfari pensando probabilmente anche all’emergenza un po’ più concreta e pesante del coronavirus.  

 

 

 

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Von der Leyen rassicura Mattarella e smentisce l’improvvida Lagarre

            Immagino il sorriso di Sergio Mattarella, sotto i baffi che non ha, all’anticipazione dell’annuncio in arrivo dalla presidente della Commissione Europea, conforme alle sollecitazioni levatesi il giorno prima con stizza insolita dal Quirinale che l’Italia avrà dall’Unione “tutto quello di cui ha bisogno e chiederà”. “Il prossimo Paese ad averne bisogno potrebbe essere un altro Stato membro” della stessa Unione Europea, ha aggiunto Ursula Von der Leyen parlando della galoppante crisi da coronavirus.

            Con questo annuncio, conforme d’altronde ad un’altra presa di posizione della presidente della Commissione di Bruxelles, proclamatasi italiana come il presidente americano John Fitzgerald Kennedy fece con i  berlinesi davanti al muro che odiosamente li divideva ben oltre gli accordi internazionali conclusivi della seconda guerra mondiale, Ursula ha metaforicamente steso al tappeto l’altra signora dell’Unione: la presidente francese della Banca Centrale Europea Christine Lagarde. Che aveva appena affondato i mercati finanziari, con particolare danno per i titoli italiani, dichiarandosi estranea al problema prevalentemente speculativo del cosiddetto spread, fronteggiato invece con costante vigore dal suo predecessore Mario Draghi.

            Al compiacimento del presidente della Repubblica dovrebbe corrispondere lo scorno – invece Giannelli su Lagarde.jpegmancato, salvo le eccezioni di Emilio Giannelli sul Corriere della Sera e di Giuseppe Tesauro e Osvaldo De Paolini Tesauro su Lagarde.jpegsui giornali del gruppo Caltagirone- di un’informazione supponente e superficiale. Che, pur di giustificare, coprire e quant’altro la presidente Osvaldo De Paolini su Lagarde.jpegfrancese della Banca Europea l’aveva paradossalmente degradata a portavoce o porta-ordini, come preferite, di una consigliera, con tanto di nome e cognome, che rappresenterebbe nell’Istituto di Francoforte gli interessi della Germania.

            Ora, delle due l’una: o la tedesca Von der Layen, già ministra della Difesa di Angela Merkel, ha davvero cambiato nazionalità diventando italiana, o la cancelliera di Berlino ha cambiato idea, stando alle informazioni dei giornali italiani che passano per i più autorevoli del nostro Paese. O -ipotesi forse più credibile ancora delle altre due- quelle informazioni sulle direttive impartite da Berlino-  valevano quanto la carta su cui sono state stampate, che d’altronde diventa il giorno dopo carta da macero.

            Certo, la situazione politica tedesca da qualche tempo è diventata non dico complicata come quella italiana ma avviata su di una strada simile, per cui nei palazzi germanici del potere sì intrecciano e si confondono più linee. Ma pensare che i tedeschi ci abbiano addirittura già raggiunti e superati, con l’aggravante di non disporre di un Conte da prestare a Berlino, mi sembra francamente esagerato.

            Cerchiamo di non giocare con notizie, retroscena e simili come il coronavirus cerca di fare con i nostri incolpevoli polmoni, specie se già compromessi di loro. O come la sindaca grillina di Roma, Virginia La Raggi.jpegRaggi, sta facendo a sua volta col coronavirus avvolgendosi sul balconcino del suo ufficio capitolino in una specie di bandiera dell’ottimismo e della buona fine anche della sua disastrosa gestione politica della Capitale. Le cui strade, piazze e linee di trasporto, pur svuotate da chi rimane prudentemente a casa, salvo indossare lo scafandro per scaricare nei cassonetti i rifiuti di cui non può liberarsi diversamente, smentiscono da sole quel lenzuolo steso sui Fori.

 

 

 

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Incredibile lezione dalla Banca Centrale Europea su come si affondano i mercati

             Evidentemente non si prendono, diciamo così, le due donne che da qualche mese impersonano questa Europa in un’edizione che più femminile non è mai stata, né -penso- potrà tornare ad essere, specie dopo quello che è appena accaduto.

            Il giorno dopo la quasi stentorea professione d’italianità dichiarata, di fronte alla crisi da coronavirus, dalla presidente tedesca della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, la presidente francese della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, con quella che è stata unanimemente definita “una gaffe”, ha scatenato i soliti speculatori. Le Borse sono precipitate a danno soprattutto dei titoli italiani perché alla signora non gliene frega assolutamente niente -parola sua-  del famoso spread, che pure conoscono ormai anche gli sprovveduti come quella cosa che ti può mandare letteralmente in miseria.  

            Persino il paziente Sergio Mattarella, che fa ogni giorno al Quirinale esercizio di buon viso a cattivo Mattarella.jpeggioco sorridendo a chiunque e comunque, ha dovuto alzare le sopracciglia ed emettere una nota di stupore e protesta per rivendicare il diritto dell’Italia di aspettarsi dall’Europa vere “iniziative di solidarietà e non mosse che possono ostacolarne l’azione”.

            Il presidente della Repubblica non ha temuto di potersi trovare una volta tanto in sintonia con quel “sovranista” di Matteo Salvini da lui sopportato, a dir poco, per quasi un anno e mezzo come vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno, soppesandone con ansia ogni iniziativa e documento, e spesso controfirmandoli, quando si traducevano in provvedimenti legislativi, con tanto di riserve esplicite trasmesse al capo del governo e alle Camere.

            Il più spiazzato di tutti dalla “gaffe” della signora Lagarde, purtroppo succeduta a Francoforte all’italiano Mario Draghi, si è Schermata 2020-03-13 alle 07.33.13.jpegtrovato quasi comicamente ad essere il senatore a vita ed ex presidente del Consiglio Mario Monti. Che si era guadagnato nell’autunno del 2011 il laticlavio e Palazzo Chigi come il campione italiano dell’europeismo: il più certificato e affidabile.

            Ebbene, mentre la signora Lagarde, presumibilmente da lui ben conosciuta, metteva a soqquadro i cosiddetti mercati finanziari -gli stessi dove l’ex presidente del Consiglio pensava di potere Momti.jpegsistemare titoli di Stato italiani di cosiddetta “salute pubblica”- Mario Monti scriveva in un editoriale per il Corriere della Sera, testualmente, che “in giorni come questi la lucidità aumenta” nella sua amata e riverita Europa. Faceva bene Bertolt Brecht a invidiare quei popoli che non hanno bisogno di eroi, soprattutto improvvisati.

 

 

 

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Il coronavirus ha fatto il miracolo di salvare il secondo governo Conte

            Proviamo a mettere più o meno in fila i fatti delle ultime dodici ore, almeno rispetto al momento in cui scrivo, distanziandoli metaforicamente di un metro l’uno dell’altro per non danneggiarli con un contagio.

            Maggioranza e opposizioni, pur a ranghi ridotti per evitare assembramenti, e lasciando a casa i parlamentari che avrebbero dovuto spostarsi dalle zone italiane più colpite da questo maledetto coronavirus, hanno approvato all’unanimità, senza battere ciglio, l’autorizzazione al cosiddetto sforamento del bilancio per ottenere poi quello ancora più decisivo ma ormai scontato dell’Unione Europea. Dove l’aria per l’Italia, già migliorata nella scorsa estate con l’uscita del “sovranista” Matteo Salvini dal governo, è ormai talmente buona che la presidente in persona della Commissione di Bruxelles, Ursula Von der Leyen, in un italiano appena appena tedeschizzato, si è quasi iscritta pubblicamente alla nostra anagrafe. E si è dichiarata connazionale, come fece l’indimenticabile e fascinoso presidente americano John Fitzgerald Kennedy ai suoi tempi con i tedeschi, e i berlinesi in particolare, parlando davanti al muro che odiosamente separava dal resto della città l’est dell’allora ex Capitale della Germania una volta unita.

            Nel dare una mano al governo di Giuseppe Conte in questo momento a dir poco difficile, pur votando insieme alla maggioranza giallorossa, le componenti dell’opposizione di centrodestra hanno dato l’impressione, quanto meno, di contendersene il merito o la sincerità, inversamente proporzionale peraltro alla loro effettiva consistenza parlamentare e a quella immaginaria da sondaggi. Pertanto il partito di Silvio Berlusconi, dove già a Palazzo Chigi si avvertiva odore di “responsabili”, è risalito in testa alla classifica, ricacciando indietro i leghisti e i fratelli d’Italia.

            Consapevole di questo insperato scenario, il presidente del Consiglio si è presentato alla sua ormai consueta conferenza stampa serale con un viso che esprimeva da solo, prima ancora che lui cominciasse a parlare, una soddisfatta sorpresa. Eppure egli si accingeva ad Conte.jpegannunciare, dopo Repubblica.jpegavere subìto una pressione… della Madonnina di Milano, la “chiusura” dell’Italia, come ha titolato su tutta la prima pagina il quotidiano La Repubblica, anche se corretto dal Messaggero con un più modesto “blocco a metà”. In cui sembra di capire che il giornale e, più in generale, il gruppo editoriale di Francesco Il Messaggero.jpegGaetano Caltagirone, leggendo anche il commento dell’ex magistrato Carlo Nordio, tema che possano insinuarsi manifesto.jpegle truppe del Coronavirus ormai chiamate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità  “Pandemia”, o “pandemonio” in senso più lato e ironico da quelli del manifesto.

Se questi sono i fatti -al netto dell’infortunio che per eccesso di zelo ha compiuto il Fatto, al singolare, attribuendo all’amato presidente del Consiglio la richiesta agli italiani dell’”ultimo sacrificio”, a rischio degli scongiuri che indussero una nota fabbrica di bare a rinunciare a pubblicizzarle Il Fatto.jpegcon la formula dell’”ultima idea”- si deve onestamente concludere e ammettere che il governo Conte è diventato solidissimo, da gracile che sembrava solo qualche settimana fa. Alternative non se ne vedono proprio: né dal Quirinale, né dagli altri colli di Roma. Pur nato soltanto nell’estate scorsa, esso si trova nelle condizioni degli anziani, anzi degli anzianissimi alle prese col coronavirus. Nella peggiore delle ipotesi potrà morire col coronavirus, ma non di coronavirus.

 

 

 

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Il mondo sottosopra che ha spiazzato davvero tutti in una manciata di giorni

            Quel cartello di chiusura affisso da Emilio Giannelli in bacheca sulla prima pagina del Corriere della Sera non è la resa della satira al coronavirus e ai suoi effetti sanitari, politici, sociali, culturali, economici IlFoglio.jpege quant’altro. E’ forse, a suo modo, un grido di sollievo, liberatorio, una specie di vaffa di memoria grillina per la piega presa dalle cose a dispetto del mostriciattolo che ci aveva dichiarato guerra e rischia adesso di morire di fame, come l’ha immaginato, scheletrito e infuriato, in prima pagina Il Foglio.

            Il malvagio ci ha inferto delle perdite, d’accordo, ed altre probabilmente ce ne procurerà, fuori e dentro i nostri confini. Che Matteo Salvini peraltro ha finito di presidiare con la sua fantasia per la rinuncia volontaria dei disperati a sbarcare sulle coste italiane, diventate troppo pericolose. Ma il mostriciattolo ci ha anche fatto in qualche modo rinsavire e riformato il dizionario: almeno quello dei luoghi comuni. Pensate un po’, per esempio, alla rivalutazione improvvisa del lavaggio delle mani sputtanato -scusate la parolaccia- più di duemila anni fa da quel pirla di Ponzio Pilato alle prese con l’innocente Gesù e con la solita folla inferocita. Adesso levarsi le mani, e bene, è diventato bellissimo e sanissimo. Lo stanno capendo anche i sozzoni.

            La “cattiveria” di giornata del Fatto Quotidiano è esilarante su come sia cambiato il mondo così rapidamente, La cattiveria.jpegvisto che “fino a pochi giorni fa era la gente a gridare ai politici di andare a casa”. Ora accade il La fine delle sardine.jpegcontrario. Ciò fa un po’ il paio con i funerali allegramente autocelebrati, in privato e senza gli assembramenti vietati dalle ordinanze fresche di stampa, dalle Sardine, con la maiuscola, che “non esistono più” dopo avere usato e abusato per mesi delle piazze. Lo hanno annunciato in un libro gli stessi promotori delle adunate.

            Alla “cattiveria” del giornale così caro e seguito dai grillini, anche quando vengono bastonati perché non si allineano presto a consigli, direttive e quant’altro diramate nei momenti cruciali da chi li vorrebbe più furbi o meno sprovveduti, è in fondo riconducibile anche un’osservazione suggerita sulla Stampa a Mattia Feltri da uno sfogo televisivo del vice ministro pentastellato Stefano Buffagni. Che alla faccia della democrazia diretta e di Rousseau si è lasciato scappare che “il popolo si può dimostrare irresponsabile” e quindi “meritarsi misure drastiche”.

            Peccato tuttavia che l’esercizio altamente filosofico e apprezzabile della “cattiveria” di giornata sia stato ignorato, anzi contraddetto, sulla stessa prima pagina di quel giornale dal direttore Marco Travaglio, furente per il credito che va guadagnando anche nel presidente del Consiglio Giuseppe Conte, da lui stimatissimo, l’idea di un commissario o, peggio ancora, supercommissario all’emergenza Il Colonnello.jpegdel coronavirus. Che risponderebbe alla logica dell’”uomo forte”, e per giunta anche indegno, vista la repulsione che Travaglio ha mostrato per i nomi che scorrono più frequentemente, a questo proposito, nelle cronache o retroscena. Sarebbe tutta roba da “craxismo di ritorno”, ha scritto l’uomo, credo, più ossessionato nel mondo dal ricordo di un ex presidente del Consiglio italiano  morto ormai più di vent’anni fa.   

 

 

 

 

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Dall’amore ai tempi del colera alla politica ai tempi del coronavirus

E’ un vero peccato che il grande, il grandissimo Gabriel Garcìa Màrquez, premio Nobel per la letteratura, soprannominato Gabo, sia morto nel 2014, peraltro alla bella età di 87 anni. Oggi ne avrebbe 93 e potrebbe persino superare il suo “Amore ai tempi del colera” scrivendo della politica in generale, ma di quella italiana in particolare, ai tempi del coronavirus.

In un Paese come il nostro, dove anche se piove la colpa è del “governo ladro”, neppure Bismark, Cavour, Churchill, e prima di loro Napoleone, Cesare, Alessandro Magno e quant’altri, avrebbero potuto scampare al destino di non essere considerati all’altezza di una guerra come quella che la natura ci ha imposto di condurre contro questo dannato Covid-19. Che, ironia della sorte per il nostro presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ha la sigla dell’anno da lui pronosticato come “bellissimo”. Si è pensato per un po’, a dire la verità, che fosse risultato  bellissimo almeno per lui, riuscito a superare indenne una crisi di governo studiata apposta dal “capitano” leghista Matteo Salvini per mandarlo a casa e risoltasi invece con la sua conferma alla guida di un esecutivo e di una maggioranza di tutt’altro colore, come per una magìa.

Sospetto tuttavia che il professore e avvocato “del popolo”, come lui stesso amò definirsi all’esordio di governo, abbia cominciato in questi giorni a chiedersi se fu davvero un affare quella improvvisa, insperata chiamata alla Presidenza del Consiglio, dalle modestissime funzioni di ministro della riforma burocratica, l’ennesimo nella storia della Repubblica Italiana, propostegli in campagna elettorale dal Movimento 5 Stelle: una chiamata, quella a Palazzo Chigi, alla quale si prestò con qualche apprensione lealmente dichiarata il capo dello Stato Sergio Mattarella, abituato per storia familiare e formazione culturale ad un altro tipo di selezione della classe politica. Egli avrebbe quanto meno desiderato nel curriculum di Conte  pur così sostanzioso, e poi anche contestato da qualche ipercritico, che ci fosse un’esperienza elettiva, magari di semplice amministratore locale.

Ora, di fronte alla valanga delle polemiche e delle derisioni, anche quelle, che stanno sommergendo il presidente del Consiglio nelle condizioni di emergenza nelle quali si trova l’Italia, peraltro non da sola, anche se per adesso sembra la più esposta, persino più della lontanissimima Cina dove tutto è cominciato, mi viene voglia di difendere quasi per partito preso questo benedetto Conte, o Bisconte, o Visconte , o come altro lo chiamano più o meno sfottendolo. E mi chiedo che cosa mai abbiamo tutti noi da aspettarci di diverso da lui e dal suo governo nel contesto politico, amministrativo e giudiziario in cui si trova l’Italia dopo anni o decenni, a dir poco, di confusione. Perché non i sforziamo di riflettere e di ragionare un po’ su questo contesto, che non sarebbe esagerato definire anche un vuoto?  Già è un miracolo, coi tempi che corrono, che al guardasigilli in carica non sia venuto in mente di scambiare il coronavirus per un reato, consolandosi magari del fatto che non può più farla franca con la prescrizione, da quando lui è riuscito a sancirne la fine nel codice con l’esaurimento del primo dei tre gradi di giudizio.

Il governo ha sicuramente una sua maggioranza, solidissima alla Camera grazie a quella che a destra forse chiamerebbero “la bolla speculativa” dei risultati elettorali del 4 marzo 2018, meno solida o poco consistente al Senato, dove però sarebbero in tanti a venirgli in aiuto con altissimo senso Vignetta blog Beppe Grillo del 10-3-2020 .jpegdi “responsabilità”, persino patriottica. Ma, a ben guardare, il perno numerico e politico di questa maggioranza è un Movimento  -quello già citato delle 5 Stelle- di cui si hanno notizie quanto meno  contraddittorie e incerte, Il suo fondatore, garante “elevato” e quant’altro, Beppe Grillo, soffre dichiaratamente di apnee notturne che temo siano diventate anche diurne. Sul suo blog personale ho appena trovato come notizie di rilievo le prenotazioni di crociere nel 2020, con tutte le navi che non sanno dove attraccare in quarantena, e la ricerca di un’alternativa finalmente credibile all’olio di palma.

Il reggente, quindi provvisorio, del maggiore partito di governo e del Parlamento è un brav’uomo, per carità, Vito Crimi, inesorabilmente e involontariamente condannato da una foto che lo riprese addormentato al suo banco di senatore. Più che col coronavirus, in questi giorni lui mi sembra alle prese con una bega di partito in Liguria, dove la capolista potenziale delle elezioni regionali di maggio -se non saranno rinviate per rischio di contagio ai seggi- non è d’accordo con la decisione appena presa digitalmente di ritentare la corsa insieme col Pd, pur  fallita in Umbria nell’autunno scorso.

Il secondo partito di governo, il Pd, è guidato a debita distanza dal segretario positivo al coronavirus Nicola Zingaretti, affetto però, secondo l’ex compagno di partito e ora alleato Matteo Renzi, da un’altra ancora più insidiosa forma di dipendenza: quella pentastellare. E Renzi, dal canto suo, benedett’uomo, si è accorto solo dopo avere allestito personalmente il convoglio ferroviario sul quale è salito, trascinandosi appresso l’indeciso e sunnominato Zingaretti, che non gli va bene, diciamo così, né la velocità né la destinazione.

Dell’altra componente della maggioranza giallorossa, chiamata rossogialla dai romanisti per non confonderne i colori con quelli della loro squadra di calcio, è persino imbarazzante parlare perché al suo unico ministro -il giovane Roberto Speranza- è toccata proprio la rogna della Sanità ai tempi del Covid-19.

Dal fronte delle opposizioni le notizie non sono francamente molto più incoraggianti, anche se  i sondaggi lo danno in vantaggio, ma per elezioni che al momento possono solo allontanarsi ulteriormente e non avvicinarsi per inagibilità sanitaria dei seggi. Salvini ogni tanto si chiede anche lui, stando alle ultime indiscrezioni di stampa, se gli convenga davvero apparire “rompiscatole”, specie ora che Conte gli ha restituito per un attimo i gradi di ministro riferendo in conferenza stampa della telefonata appena ricevuta da lui. Ma poi il “capitano” non riesce a trattenersi più di tanto. Conte stanzia 7 miliardi e lui ne chiede 70.

Giorgia Meloni, la sorella maggiore dei Fratelli d’Italia, riesce simpatica anche agli avversari politici, in funzione probabilmente più antisalviniana che altro, ma pure lei ha una rappresentanza parlamentare alquanto modesta e soffre dei problemi dei suoi amici e alleati di schieramento per la praticabilità sempre più difficile di un ricorso anticipato alle urne.

L’ultimo comunicato di Forza Italia di cui mi è rimasto il ricordo per il rumore che ha procurato non riguarda qualche bega politica, che pure non manca nell’ormai terzo partito del centrodestra, ma solo una faccenda personalissima e sentimentalissima del fondatore e presidente Silvio Berlusconi. Che, sentendosi -beato lui- un eterno giovanotto, ha cambiato fidanzata senza smettere -ha signorilmente precisato- di stimare e volere bene alla precedente, meno giovane. Che ci è rimasta un po’ male, ma almeno lei non può prendersela con Giuseppe Conte e col suo governo.

In tutto questo tramestio di politica e sentimenti ai tempi del coronavirus trovo un certo sollievo nel sapere ben custodito e protetto al Quirinale il presidente della Repubblica, che involontariamente mi ha fatto anche sorridere con quella vignetta di Stefano Rolli qualche giorno fa sul Secolo XIX, che lo dà sicuro del fatto suo dall’alto, diciamo così, dell’”imnunità”, testuale, garantitagli dall’articolo 90 della Costituzione:  cogente più dell’articolo 111 sulla “ragionevole durata” dei processi quanto meno minacciata dalla prescrizione quasi zero in vigore per i reati commessi dal 1° gennaio scorso.

 

 

 

Pubblicato sul Dubbio

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L’Italia chiusa (quasi) a chiave da Conte per cercare di isolare il coronavirus

            Altro che Churchill, inteso naturalmente come Winston, quello che gli inglesi chiamarono al governo per non perdere la guerra con Hitler, e licenziarono a missione brillantemente Il Giornale.jpegconclusa. Augusto Minzolini sul Giornale della famiglia Berlusconi ha voluto scrivere di un “Conte da ridere” Ol Mattino.jpegcommentando la conferenza stampa di annuncio di  “chiusura dell’Italia”, come ha titolato Il Mattino deludendo forse l’editore Francesco Gaetano Caltagirone, visto che su un altro giornale dello stessoMessaggero.jpeg gruppo –Il Messaggero- è stato perentoriamente chiesto al presidente del Consiglio di farla “davvero”, questa benedetta chiusura, di fronte all’estensione del coronavirus e al rischio che gli ospedali non ce la facciano a ricoverare i malati.

            A una chiusura vera ed efficace dell’Italia ha invece creduto anche il Corriere della Sera gridandoloCorriere.jpeg bene su tutta la prima Repubblica.jpegpagina, quasi in sintonia col “Tutti in casa” di Repubblica, molto più Il Manifesto.jpegappropriato del “Tutti a casa” evocato, questa volta infelicemente, dal manifesto come il fuggi fuggi nell’Italia dell’8 settembre 1943. Che ha ispirato Il Fatto.jpeganche Il Fatto Quotidiano col titolo sulla “grande fuga” dei “20mila” meridionali scappati in treno e in auto dal Nord verso le loro terre di origine trovando spesso ad accoglierli familiari e amici inferociti dalla paura di esserne contagiati.Il Foglio.jpeg E propensi perciò a ripetere La Stampa.jpegil grido del Foglio di “stare lontani”, e di obbedire una volta tanto ad un governo decisosi a “blindare tutta l’Italia”, come ha titolato La Stampa.

            A leggere i giornali del dopo annuncio di Conte ce n’è insomma per tutti i gusti. E va anche detto che il povero professore di diritto e avvocato catapultato quasi a sua insaputa dalle cinque stelle a Palazzo Chigi meno di due anni fa, fra la sorpresa e le dita incrociate del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, abituato ad altre forme di selezione della classe politica, doveva ben trovarsi in confusione d’animo presentandosi alla conferenza stampa se ha Salvini.jpegcominciato, o quasi, dicendo di avere appena ricevuto una telefonata, presumibilmente di inconsueto incoraggiamento, dal “ministro Salvini”. Che è proprio quel Matteo tutto leghista da lui praticamente rimosso, anzi destituito, in diretta al Senato l’anno scorso con un intervento da fare rimorire d’invidia, dall’al di là, Andrej Januar’evic Vysinskj, il sinistro e famoso procuratore delle purghe di Giuseppe Stalin.

            Su questo lapsus del povero Conte quel perfido di Enrico Mentana, nella mezza maratona improvvisata dalla postazione del suo telegiornale a la 7, sostitutiva dello spazio abituale di Lilli Gruber, ha scommesso per fortuna solo un sorriso pregustandone l’effetto sui quotidiani. Che invece sono stati una volta tanto generosi, anzi generosissimi col presidente del Consiglio fingendo di non essersene accorti, o quasi.

            Adesso, esperite tutte queste formalità comunicative o mediatiche, e cogliendo l’occasione anche per fare gli auguri più sinceri di pronta guarigione a Nicola Porro, inciampato nel coronavirus sulla Rete 4 di Mediaset fraPorro.jpeg l’indifferenza silenziosa e un po’ incivile -debbo dire- dei concorrenti, o almeno di alcuni di questi, non ci resta che attendere gli effetti delle decisioni prese dal governo e seguirne gli sviluppi incrociando le dita. Ma non senza deplorare chi intende specularci sopra, in tutti i modi e sensi: dalle borse alla politica.   

 

 

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