Mario Monti, l’invitato speciale nei salotti del Coronavirus

            Non so se si debba più alla logica del contrappasso o a nostalgia in controtendenza, per come sono cambiate nel frattempo le cose, la frequenza con la quale viene chiamato nei salotti radiofonici e televisivi a parlare dell’emergenza da coronavirus l’ex presidente del Consiglio e senatore a vita Mario Monti. Che non tradisce mai le attese di chi lo invita dispensando consigli e opinioni, frammiste -quando se ne trasmettono le immagini e non solo le parole- a smorfie di varia natura e interpretazione, tra il compiaciuto, l’inorridito e lo scettico, secondo le circostanze.

            In effetti, se c’è un uomo adatto ad essere consultato nel momento in cui una comunità è chiamata a cambiare più o meno bruscamente abitudini, anzi a rovesciarle, questi è sicuramenteMonti 2 .jpeg Monti. Che, arrivato nell’autunno del 2011 a Palazzo Chigi in  loden di taglia classica sull’onda della paura del dissesto economico e finanziario del Paese, incantò tutti, ma proprio tutti, persino il presidente del Consiglio uscente Silvio Berlusconi.

            Ministri e ministre al suo seguito erano talmente presi dalle loro funzioni educatrici che annunciavano lezioni e tagli piangendo dall’emozione e dal dolore, richiamati bruscamente all’ordine o alla compostezza dal presidente del Consiglio, che si assumeva l’onere di completare discorsi e concetti senza un filo di emozione.

            Gli italiani, salvo poche eccezioni, sembrarono- ripeto-  invaghiti di lui, a cominciare dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il quale lo compensò generosamente dell’opera di Monti 3 .jpegrieducazione con un laticlavio preventivo che ora lo mette al riparo dai tagli dei seggi parlamentari vantati come un trofeo dai grillini nelle loro campagne anti-casta, anche se il coronavirus ha fatto slittare la data finale della festa programmata dagli oppositori con un referendum confermativo in qualche modo paragonabile al Natale, o non so a che altro, per i tacchini americani.

            A proposito di americani, poco mancò in quella stagione, o in quegli anni, perché l’avventura amish in transito.jpeggovernativa di Monti finì solo nella primavera del 2013, che il genero ideale delle mamme tedesche non ci trasformasse in una comunità di Amish: quelli che oltre Oceano si muovono in carrozza a cavallo e non in auto, godono della loro austerità e parlano in inglese con i forestieri, in tedesco aulico in Chiesa e in un dialetto germanico in casa.

            Chiunque di noi avesse ancora un mutuo o altro debito da pagare, che in Germania -ci fu spiegato allora- si chiama come il peccato, andava in giroMonti 4 .jpeg rasentando i muri, cioè vergognandosene come di una colpa. Anche possedere una casa, più ancora che giocare coi titoli in Borsa, era come vivere in una bolla speculativa da tassare a manetta.

            In quella mania di risparmi e di tagli, di gara al francescanesimo assoluto, Monti non si fermò Corriere.jpegdavanti a niente e a nessuno. NonRepubblica.jpeg fu risparmiata neppure la sanità, che adesso, per quanto sopravvissuta miracolosamente nelle sue strutture essenziali, va rapidamente rifinanziata e ripopolata di medici e infermieri, a decine di migliaia, perIl Fatto.jpeg non finire tutti come il pallone del coronavirus nella porta di Conte a stadio chiuso. E Monti finalmente si è accorto, anche senza l’autorizzazione delle mamme tedesche, che il debito non è necessariamente un peccato. Benedett’uomo, poteva accorgersene un po’ prima.  

 

 

 

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