Finalmente l’Europa si è svegliata nella guerra del Coronavirus

            Non chiamatemi cinico o, all’opposto, ingenuo se fra le notizie della guerra al Coronavirus -in cui l’Italia si trova in prima linea, più avanti addirittura della Cina dove è cominciata, per il primato dei morti che ci è stato imposto dalla sorte- oggi ne scelgo una per consolarmi e per sperare che anche questa volta, come d’altronde è già accaduto a tanti e in tante parti del mondo, dal male possa derivare un bene.

            Mi riferisco alla svolta -mi auguro finalmente decisiva e permanente- registratasi nei rapporti di forza non economica, di certo, ma tutta politica all’interno dell’Unione Europea. La cui stessa concezione fu l’unico lascito positivo di quell’orrenda carneficina, altro che virale, della seconda guerra mondiale, anche se poi il processo d’integrazione del vecchio continente è andato progressivamente allontanandosi dallo spirito di generosità dei cosiddetti padri fondatori. E ciò, paradossalmente, è accaduto specie dopo la caduta del comunismo e la liberazione di tante energie che potevano essere positive.

            L’Europa, al di fuori della cui Unione vera, non verbale e saltuaria, o a corrente alternata, non potrà esserci salvezza per nessuno dei paesi che la compongono, sopravvivendo anche alla guerra del Coronavirus e ai suoi effetti, ha dato un segno d’inversione di rotta impersonata quasi fisicamente dalla presidente francese della Banca Centrale Christine Lagarde. Le cui “maniche rimboccate” davanti allo specchio sono state disegnate da Emilio Giannelli sulla prima pagina del Corriere della Sera, con le mani sotto “il rubinetto BCE”. Che, chiuso recentemente dalla stessa Lagarde scrollando le spalle davanti al cosiddetto spread, fra le proteste levatesi per prime proprio dal Quirinale, in Italia, ha  anche liberato -come la presidente della Banca Europea ha scritto personalmente in un articolo suLagarde su Repubblica.jpeg Repubblica o 3000miliardi di Lagardeillustrando le decisioni appena adottate a Francoforte- “fino a 3000 miliardi di euro di liquidità tramite le nostre operazioni di rifinanziamento”. Per gli speculatori sarà più duro giocare con i titoli degli Stati europei più deboli o indebitati  profittando cinicamente anche dell’emergenza bellica del Coronavirus.

            Permarrà pure, come ha scritto sul Fubini sull'Europa.jpegCorriere della Sera Federico Fubini, “la lotta segreta delle due Europe”, con i francesi e gli italiani questa volta da una parte, e i tedeschi e gli olandesi I fronti di Fubini.jpegdall’altra, ma già il fatto che i francesi si siano ritrovati con gli italiani e non con i tedeschi, come in quasi tutte le precedenti occasioni, è una svolta di cui compiacersi. Che può preparare Le radio con Mameli.jpegla strada ad un altro evento emblematico dopo quello odierno e tutto nazionale, o persino “sovranista”, delle radio italiane che trasmettono contemporaneamente l’inno nazionale di Mameli.

             Aspettiamo fiduciosi il giorno in cui tutte le radio del vecchio continente suoneranno contemporaneamente il solenne e insieme gaudioso brano del movimento finale della nona sinfonia di Beethoven scelto come inno dell’Unione Europea. Altro che accontentarsi, come hanno preferito Il Fatto su criminalità.jpegal Fatto Quotidiano, di quell’altro effetto indotto, diciamo così, dell’emergenza virale, con “l’80 per cento in meno di rapine, furti e spaccio” e “le mafie in difficoltà”. Che per fortuna erano già messe male prima dello sbarco del Coronavirus in Italia, grazie anche all’azione di generali e altri fedeli servitori dello Stato condannati in primo grado per la cosiddetta “trattativa” e, in fondo, le stesse stragi che quel negoziato doveva prevenire o limitare fra il 1992 e il 1994.  

 

 

Ripreso da http://www.policymakermag.it

Se per uscire bisogna farsi accompagnare e assistere sul posto dall’avvocato

Il prolifico e saggio Sabino Cassese ha un bel dire, o scrivere, sul Corriere della Sera che “lo Stato non chiude per malattia”, “non può fermarsi” neppure in quelle che lui chiama “giunture critiche”. Fra le quali può ben iscriversi la guerra che ci sta facendo questo maledetto Coronavirus, per giuntaCassese sul Corriere.jpeg senza avercela neppure dichiarata. E ha un bel ricordare, il professor Cassese, questa realtà al Parlamento. Che è alle prese in questi giorni, anche sotto lo stimolo allarmato del presidente della Repubblica, con la “difficile ricerca  di un modo per conseguire il rispetto del diritto alla salute dei suoi membri e il dovere di far sentire la voce della società civile nelle istituzioni”.

E che voce, aggiungerei ricordando che il governo in carica, alle prese ogni giorno, ogni ora, ogni minuto con l’emergenza virale, sfornando decreti di varia natura e grandezza, avrà pure conquistato nell’ultimo sondaggio Demos, per Repubblica, un gradimento del 71 per cento, il più alto negli ultimi dieci anni, come ha sottolineato Ivo Diamanti, ma continua a dipendere dalle Camere. Dove gli hanno concesso la fiducia, certo, confermandogliela anche nelle varie occasioni in cui Conte vi ha fatto ricorso per rimuovere ostacoli di vario tipo a leggi in difficoltà, ma potrebbero revocargliela in qualsiasi momento, secondo le procedure stabilite dall’articolo 94 della Costituzione.

Cassese, dicevo, ha un bel dire, o scrivere, di uno Stato sempre all’erta, ma penso che anche lui si sarà posto qualche domanda su ciò che accade in questi giorni perigliosi in qualche ufficio giudiziario che pure rappresenta a tutti gli effetti lo Stato nelle sue articolazioni, e persino sottotetti, dove a volte sono confinati -spero non a Genova, che è la città di cui sto scrivendo- magistrati alle prese con il loro lavoro.

A Genova, appunto, è accaduto che il procuratore aggiunto, come ha raccontato ai lettori del Dubbio con dovizia di particolari e aspetti tecnici Giovanni M. Jacobazzi, ha dovuto occuparsi, per poi archiviarle, cioè bocciarle, di molte denunce pervenute alla Procura dalle forze dell’ordine per “inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità e falsa attestazione in relazione all’emergenza” da coronavirus. Insomma, “il reato di passeggio”, come efficacemente indicato nel titolo del pezzo, “non esiste”, o non esiste in gran parte delle volte in cui se lo sono visti praticamente contestare i genovesi. Che -detto per inciso- ai problemi di mobilità, di ogni tipo, sono diventati particolarmente sensibili per le condizioni in cui si trovano da tempo la loro città e dintorni.

Capisco che la fretta può avere provocato pasticci e incidenti nella formulazione dei vari provvedimenti, legislativi e non, usciti dagli uffici dello Stato -per tornare a Cassese- in questi giorni di grandi paure e confusione, ma converrete che di fronte a ciò che è accaduto a Genova gli italiani, a piedi o in automobile, avranno ancora più dubbi di quanti già non ne avessero per conto loro su come comportarsi, e fronteggiare eventuali controlli.

Nel seguire il bravo Jacobazzi lungo lo slalom che ha fatto fra gli articoli 483, 495 e 650 del codice penale, tutti in qualche modo investiti o coinvolti -come si dice per le indagini- nelle misure adottate per prevenire la diffusione del contagio, anzi della pandemìa ormai ufficialmente dichiarata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, mi è venuto un terribile sospetto, spero infondato. E’ quello che a qualcuno possa davvero venire in testa la tentazione, presumendo addirittura di interpretare o prevenire  sorprese da qualche Procura della Repubblica, di stringere ulteriormente la rete di protezione sino a richiamare su qualcuno dei moduli che continuamente siamo invitati a stampare o a riprodurre sui nostri telefonini l’articolo 438 del codice penale.

E’ una norma che laconicamente dice, minacciandoci di mandarci davanti a una Corte d’Assise: “Chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l’ergastolo”. E finisce in galera, o “custodia cautelare”, senza aspettare il processo.

Mi è andato di traverso, di fronte a questo scenario, anche il gusto procuratomi dall’articolo erudito e divertente di Antonella Rampino, fra citazioni di Umberto Eco, Remo Bodel, Emile Zola e persino Montesquieu, sul cane che in questi giorni porta a spasso il padrone, o sul carrello che al supermercato, dopo la debita fila, accompagna la cliente, anziché esserne spinto.

Cerchiamo anche nella tragedia, e negli arresti domiciliari ai quali sono tornato dopo quelli comminatimi ingiustamente dalla magistratura nel 1985 addirittura per violazione del segreto di Stato, di non perdere un minimo di buon umore.

 

 

 

Pubblicato sul Dubbio

Ripreso da http://www.syartmag.it il 21 marzo

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