Involontario pesce d’aprile fuori stagione l’annuncio di Conte di denunciare Salvini

           Va bene che le piazze piene di sardine, per stare alla quasi metafora del titolo di copertina del manifesto, si può ben cadere nella tentazione di fare fuori stagione un bel pesce d’aprile. Va bene pure che con l’abitudine invalsa di delegare alla magistratura compiti che non manifesto.jpgle appartengono si può cadere nella tentazione, condivisa sia dal presidente del Consiglio sia dal capo dell’opposizione, in ordine d’importanza istituzionale, di portare in tribunale la vertenza politica esplosa anche all’interno della maggioranza giallorossa, e non solo fra questa e il centrodestra, sul cosiddetto fondo europeo salva-Stati o revisione del Mes, acronimo del Meccanismo europeo di stabilità. Alla cui adesione corrisponderebbe, secondo il leader leghista Matteo Salvini, un alto tradimento della Costituzione da parte del presidente del Consiglio. Che potrebbe risponderne appunto nelle aule giudiziarie con le procedure del cosiddetto e ordinario tribunale dei ministri, visto che dal 1989, per fortuna, i giudici speciali del Palazzo della Consulta possono processare per questo tipo di reato solo il capo dello Stato.

            Va bene, ripeto, tutto questo, che già è una enormità. Ma temo che questa volta, pur provocato dall’offensiva dell’opposizione e dal solito dissenso della principale forza di governo, il Movimento 5 Stelle attraversato -dice francescanamente lo stesso presidente del Consiglio- da difficoltà di “transizione”, Giuseppe Conte si sia fatto prendere la mano dalla sua inesperienza politica o, se preferite, dalla sua eccessiva esperienza forense, tradottasi questa volta nell’annuncio di una causa temeraria. Così a me sembra, come un giornalista un po’ avvezzo alla politica, la querela per calunnia annunciata dal presidente del Consiglio con la sfida a Salvini, in veste di senatore, a rinunciare all’immunità parlamentare ancora sancita dall’articolo 68 della Costituzione, pur dopo le mutilazioni impostogli nel 1993 dalla furia popolare, diciamo così, scatenata dalle inchieste giudiziarie sul finanziamento illegale della politica e sulla corruzione, concussione e quant’altro potesse accompagnarlo.

            “I membri del Parlamento -dice ancora l’articolo 68 della carta costituzionale- non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”. Ed è salvini.jpgprobabilmente a questa garanzia che deve avere pensato Salvini quando, intervistato dalla Stampa, ha reagito all’annuncio o alla minaccia di Conte invitandolo sarcasticamente a mettersi “in fila dopo Carola”, la giovane tedesca da lui liquidata come “una zecca” quando lo sfidava come ministro dell’Interno, speronava una motovedetta della Guardia di Finanza e sbarcava in Italia migranti raccolti al comando di una nave del cosiddetto volontariato battente bandiera straniera. E meno male che Salvini si è fermato a Carola e non ha aggiunto alla fila la denunciante Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano purtroppo morto non per la droga di cui faceva uso ma per le percosse subite in una caserma, dove egli aveva tutto il diritto di essere protetto e sorvegliato, non ridotto in fin di vita.

          Nato per sua e nostra fortuna solo nel 1964, Conte aveva solo undici anni quando i poveri Alcide De Gasperi e Mario Scelba, rispettivamente presidente del Consiglio e ministro dell’Interno, subirono la pesante offensiva politica soprattutto dei comunisti contro una legge elettorale da loro proposta, e fatta approvare dal Parlamento fra proteste e tumulti, per garantire un premio di maggioranza a chi avesse già conquistato di suo il 50 per cento più uno dei voti:  e non molto meno, come sarebbe stato poi proposto e deciso da maggioranze comprensive degli eredi del Pci.

          Quella legge fu bollata da Palmiro Togliatti e compagni come “truffa”. A De Gasperi e a Scelba, quest’ultimo peraltro avvocato di professione, non venne minimamente  in testa l’idea di querelare Togliatti, o altri non coperti da immunità parlamentare, per calunnia. E se lo avessero fatto su suggerimento di qualche studio forense anticipatore dello studio o del semplice avvocato pugliese Giuseppe Conte, sarebbero stati inseguiti per strada dai loro stessi elettori per manifesta inadeguatezza alla politica, e non solo al governo.

 

 

 

Ripreso da www,startmag.it policymakermag.it

 

Matteo Renzi si trova a ripercorrere la Via Crucis di Bettino Craxi

Con la solita cattiveria, che va ben oltre la malizia di una polemica politica, visto anche che Bettino Craxi è morto da quasi vent’anni e sarebbe pure ora che lo lasciassero in pace, un irriducibile avversario del defunto e del vivo di cui sto per scrivere ha invitato la vedova del Renzi.jpgleader socialista ad allestire una camera nella sua villa tunisina di Hammamet per Matteo Renzi. Il quale si sarebbe meritata la beffarda ospitalità, nonostante il rifiuto opposto da sindaco di Firenze a intestare una strada della città del giglio allo scomparso leader socialista definendone la memoria “diseducativa”, perché ne ha imitato o ripetuto le reazioni ai magistrati impegnati a indagare sui finanziamenti della sua attività politica.

Al netto delle disquisizioni giuridiche, dei metodi adottati dagli inquirenti, tradotti dalle cronache giudiziarie in perquisizioni, retate e quant’altro, e delle polemiche sulle conseguenze, lamentate con particolare vigore dal tesoriere del Pd Luigi Zanda, derivanti dall’affrettata e demagogica abolizione, secondo lui, del finanziamento pubblico dei partiti, che dovrebbe essere quindi ripristinato; al netto, dicevo, di tutto questo, fra le vicende di Craxi e di Renzi c’è una coincidente, diabolica circostanza, diciamo così. Che non piacerà probabilmente vedere sottolineata nè agli amici né agli avversari di entrambi, gelosi della diversità o unicità dei “loro” beniamini, ma è nelle cose dannatamente inconfutabile. Essa dovrebbe lasciare l’amaro in bocca anche ai magistrati e a quanti ne difendono sempre e a priori comportamenti, scelte, decisioni, ordinanze, sentenze e quant’altro.

A Craxi capitò di essere coinvolto e infine travolto  giudiziariamente, e sotto certi aspetti persino fisicamente, dal fenomeno non certo ignoto o poco diffuso del finanziamento illegale dei partiti, e loro derivati, proprio mentre le circostanze politiche gli fornivano spazi decisivi e legittimi d’azione.

Caduto col muro di Berlino il comunismo che aveva confinato in Italia il socialismo in una posizione minoritaria a sinistra, il segretario e leader socialista poteva ben aspirare a ridisegnare la stessa sinistra, mentre il Pci cercava di sottrarsi alla resa dei conti con la sua storia cambiando nome e simbolo.

In attesa o in funzione di questa prospettiva, che non poteva certamente avverarsi in tempi brevissimi per  incrostazioni personali e politiche,  Craxi poteva contare nella legislatura destinata a nascere dalle elezioni ordinarie del 1992 a tornare a Palazzo Chigi, come nel 1983, per una riedizione del “pentapartito” a guida socialista, avendo sostenuto in modo decisivo nei cinque anni precedenti ben tre presidenti democristiani del Consiglio: Giovanni Goria, Ciriaco De Mita e Giulio Andreotti, in ordine rigorosamente cronologico.

Le circostanze giudiziarie, con annessi e connessi politici e mediatici, di piazza e di strada, comprese le famose monetine lanciategli contro, all’uscita dell’albergo romano dove abitava, da una folla inferocita Monetine.jpgpromossasi a infame corte popolare di giustizia, risentita per gli ostacoli ai processi nei tribunali ancora derivanti dalle garanzie costituzionali dei parlamentari, impedirono a Craxi di perseguire i suoi disegni politici: disegni, ripeto, legittimi essendo egli stato eletto in libere votazioni, e non imposto di certo con la forza a nessuno da qualche generale o armata d’invasione.

Matteo Renzi, peraltro neppure indagato allo stato delle cose, mentre scrivo, come Craxi nel 1992 quando si vide rifiutare la nomina a presidente del Consiglio dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, si trova coinvolto mediaticamente nella vicenda giudiziaria della disciolta “Fondazione Open”, dopo avere fondato un suo partito, uscendo dal Pd, e avere rivendicato una partecipazione autonoma, non defilata, ad una maggioranza di governo da lui stesso promossa dopo la crisi estiva della combinazione gialloverde, composta da grillini e leghisti.

Si dirà che i finanziamenti, peraltro tutti tracciabili, come si dice in gergo tecnico, raccolti da quella fondazione, che non era peraltro un partito, e caduti sotto le lenti giudiziarie d’ingrandimento, risalgono non ai nostri giorni ma ai tempi dell’appartenenza di Renzi al Pd. Peggio mi sento, mi viene voglia di replicare pensando ai tempi d’esplosione dell’indagine, che hanno permesso all’ex presidente del Consiglio di gridare contro una specie di boicottaggio preventivo alla sua neonata formazione politica “Italia Viva”. A finanziare la quale si può ben sospettare, temere e quant’altro di rischiare chissà quali e quanti guai. Il bambino insomma può ben temere di morire soffocato in culla.

E’ francamente una brutta, orrenda faccenda, per il solito intreccio fra cronache giudiziarie e politiche: una faccenda inseribile nella storia ormai tossica, a dir poco, dei rapporti fra la politica, la giustizia e l’informazione, ma soprattutto fra la politica e la giustizia, bastando e avanzando per l’informazione il sarcastico auspicio più volte espresso dal politico ed ex magistrato Luciano Violante di separare almeno le carriere dei pubblici ministeri e dei giornalisti, in attesa di separare quelle dei pubblici ministeri e dei giudici.

Alla storia dei rapporti fra politica e giustizia, entrambe con la minuscola, visti i tempi che corrono, appartengono anche i propositi enunciati da Renzi, all’esordio ormai lontano della sua doppia funzione di segretario del Pd e presidente del Consiglio, di restituire alla Politica, con la maiuscola, il “primato” perduto forse ancor prima, più che per effetto, di quella che chiamiamo “Tangentopoli”. Ma mi chiedo, francamente, se Renzi abbia davvero tenuto fede a quei suoi propositi, e non abbia invece gestito pure quelli in modo così discontinuo e contraddittorio da finire per diventarne vittima pure lui.

 

 

Pubblicato su Il Dubbio

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