Conte rischia di bruciare nella fonderia della sua maggioranza giallorossa

              La situazione dev’essersi fatta ben seria se persino dal Fatto Quotidiano, dove gode di grandissima e compiaciuta stima, come l’uomo che ci è maggiormente invidiato all’estero, forse anche più dell’ex presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi, hanno avvertito Il Fatto.jpgrigorosamente in rosso che, almeno sull’affare dell’Ilva, “Conte si gioca il governo”. E non è detto che questa volta gli possa riuscire di nuovo il colpo della scorsa estate, quando si è salvato dalla crisi rimanendo a Palazzo Chigi con altri alleati. E neppure è detto, nonostante annunci, promesse e minacce, secondo i casi e i gusti, da giorni alternatisi nelle cronache e nei retroscena politici, che possa essere lui a gestire eventuali elezioni anticipate, potendo il presidente della Repubblica preferire una soluzione cosiddetta di garanzia, data l’alta conflittualità politica in cui si arriverebbe alle urne.

            La vicenda dell’acciaieria Ilva di Taranto, in cui si sono mescolati e continuano a intrecciarsi errori, incompetenze, inganni, cambiamenti repentini di opinioni e umori, conflitti di potere e di competenze, sconfinamenti giudiziari e altro ancora, ha finito per indurre il pur mite e solitamente Romano Prodi.jpgsorridente Romano Prodi, che conosce bene la Prodi 2 .jpgmateria per le precedenti esperienze di governo e di presidente dell’Iri, a riconoscere che ormai “siamo all’angolo fra tutti i paesi europei” e “nessuno si fida più di noi”.  Ora non si fidano più neppure gli indiani o i franco-indiani, tentati -a dir poco- dall’abbandono e dal ricorso, questa volta di loro iniziativa, all’autorità giudiziaria.

            Prodi, sempre lui, che di coalizioni di governo e maggioranze eterogenee s’intende per averne personalmente realizzate due, entrambe finite anzitempo, una volta persino trascinandosi appressoProdi.jpg le Camere elette addirittura meno di due  anni prima, ha impietosamente ammesso che “sul piano politico è cominciata una lotta all’ultimo sangue sulle responsabilità prossime e remote della infelice gestione del caso”.

            Su Repubblica Stefano Folli, che non è un politico ed ha perciò mani più libere per descrivere la situazione nella quale si dibatte Conte, per tacere degli altri problemi che lo assillano sul piano Conte 2 .jpgpiù personale per presunti conflitti d’interesse, ha ironizzato sui “grillini d’acciaio” che “schiacciano il Pd”, oltre al presidente del Consiglio. E’ il caso, per esempio, dell’ex ministra del Mezzogiorno Barbara Lezzi. Che, già sofferente o insofferente per non essere stata confermata nel governo, si è data molto da fare nella maggioranza, trovando i necessari appoggi anche fra i renziani, per eliminare recentemente il cosiddetto “scudo penale” che proteggeva amministratori e dirigenti dell’acciaieria dalle responsabilità delle passate gestioni  in materia di bonifica ambientale e tutela della salute pubblica. E così gli indiani, diciamo così, hanno potuto trovare un’altra ragione, o pretesto, come dicono i loro critici, per cercare di tirarsi indietro danneggiando di un punto e mezzo il cosiddetto prodotto interno italiano.

            In questo contesto di lotte, ripicche e quant’altro all’interno di una maggioranza così tanto eterogenea per conto suo, messa insieme in agosto solo dalla paura dichiarata di una vittoria elettorale di Salvini e del centrodestra a trazione leghista, Antonio Polito ha avuto facile gioco a scrivere nel suo editoriale sul Polito.jpgCorriere della Sera” dei “tentativi di suicidio politico” della coalizione: un suicidio “assistito”, ha poi spiegato nel testo dell’articolo parlando in particolare del mobilissimo Renzi. Che sembra spesso, in effetti, tra iniziative e ripiegamenti, mosse e contromosse, un sismografo che registra e misura un terremoto. Ma l’ex segretario del Pd e ora leader di Italia Viva non è il solo, francamente, da cui Conte dovrebbe guardarsi nella fonderia di Palazzo Chigi,  ammesso che non debba guardarsi anche da se stesso, visto che di recente il suo grande amico e maestro, l’avvocato Guido Alpa, ha detto di lui in un’intervista che la mediazione non potrà sempre bastargli, dovendo prima o dopo “schierarsi”.  

 

 

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Radicali, attenti alla guerra dei pidocchi dopo l’arresto di Antonello Nicosia

Sono cascati nella trappola di quella che definirei la guerra dei pidocchi, apertasi con l’arresto di un radicale -ahimè-  per mafia, persino Rita Bernardini e Maurizio Turco, appena subentratole nella carica di segretario del partito che fu di Marco Pannella. L’uno e l’altra, anziché fare quadrato nella  difesa delle tradizioni e del buon nome dei radicali dal fango rovesciato loro addosso miserabilmente da Antonello Nicosia, colto in flagranza, diciamo così, di reato associativo di mafia e simili conversando persino del suo “premier” Messina Denaro fra una visita e l’altra alle carceri, quando era assistente di una parlamentare, se la sono presa con i giornali che hanno fatto confusione nella diaspora della loro area politica.

Si vergogni piuttosto Emma Bonino, hanno praticamente detto i radicali ortodossi accusando i giornali, o almeno quelli che hanno scritto di Nicosia tacendo che il “Comitato nazionale dei radicali” cui lui appartiene è appunto quello della senatrice e storica esponente del mondo che fu di Pannella, e non del partito tenutosi per sua scelta da qualche tempo fuori dal Parlamento, rinunciando a candidarvisi.

Ma che differenza passa, scusatemi, cara Bernardini e caro Turco, di fronte all’ingiustizia che tutti i radicali hanno appena subìto da quello sciagurato che ha letteralmente, ignobilmente abusato di loro, e naturalmente della deputata ex Pd, ex Leu di Bersani, D’Alema e Grasso e da qualche giorno di Italia dei Valori di Matteo Renzi? Mi chiedo, forse con troppa ingenuità visti i tempi che corrono, se la concorrenza fra partiti, correnti, gruppi, aree e quant’altro possa e debba far perdere così rovinosamente la testa a tutti. E a vantaggio solo dell’antipolitica.

A un pidocchio come considero il Nicosia appena arrestato, una volta tanto tradendo anch’io il garantismo, e con l’uso appropriato di una parola abusata 68 anni da Palmiro Togliatti contro due onesti dissidenti cacciati su due piedi dal Pci , uno dei quali cugino di Nilde Jotti, già allora compagna del segretario comunista, non si poteva e non si doveva francamente fare anche il regalo di questa oscena rappresentazione della lotta politica in Italia. Grazie alla quale, per esempio, c’è chi ha potuto e voluto usare anche questo fattaccio per rilanciare la campagna dei grillini contro Radio Radicale, scambiata per una gigantesca fogna della malavita e della sovversione che i radicali -tutti, senza distinzione di aree, correnti e partiti- avrebbero sinora trovato il modo di finanziare con i soldi dello Stato, e non con i loro. Dio mio, che bassezza.

Mi chiedo, infine, con uguale sgomento se non ci fossero già abbastanza argomenti da poter usare con qualche ragione contro Matteo Renzi, con un piede nella maggioranza da lui stesso promossa e l’altro all’opposizione, per evitare l’autorete di addebitargli anche la faccenda Nicosia per il tramite della sfortunata, sprovveduta e non so cos’altro Giusy Occhionero, la parlamentare turlupinata dall’ex assistente ben prima di approdare fra i renziani.

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