Questa volta non dovrebbe essere contestato neppure dai suoi avversari o critici il grido elettronico della “pacchia finita” gridato dal ministro dell’Interno Matteo Salvini all’annuncio della cattura, in Bolivia, di Cesare Battisti: un criminale odiosamente omonimo del grande irredentista italiano impiccato dagli austriaci a Trento il 12 luglio 1916, cui sono giustamente intestate tante strade, piazze e scuole d’Italia. Una delle cose più orribili che il delinquente appena catturato in sud America ci ha costretti per tanti anni a fare è proprio scriverne il suo nome, che addirittura sovrasta nelle ricerche via internet quello dell’eroe e martire dell’unità italiana.
Troppo a lungo sfuggito alla giustizia e chiamato finalmente a espiare i due ergastoli guadagnatisi con quattro omicidi commessi in nome di un terrorismo che è riuscito in qualche modo persino a tradire, almeno di fronte a quanti su quel tragico versante hanno saputo assumersi le loro responsabilità, questo Battisti indegno del suo nome è stato per fortuna catturato col concorso italiano, di cui giustamente Salvini si è vantato, sul terreno della sua latitanza.
Per il ministro dell’Interno, e leader leghista, è una notizia -perché nasconderlo?- utile anche ai fini della sua posizione politica, alquanto scossa negli ultimi tempi dai tanti rospi che ha dovuto ingioiare nella collaborazione di governo con i grillini, sempre più insofferenti nei suoi riguardi non tanto per i metodi di lavoro e d’azione, che non brillano neppure da parte degli esponenti del movimento 5 stelle, quanto per i crescenti costi elettorali della loro alleanza col Carroccio, improvvisata dopo le elezioni del 4 marzo dell’anno scorso.
Sono freschi di stampa i risultati dell’ultimo sondaggio di Antonio Noto, che danno la Lega al 34 per cento dei voti, dal 19 delle elezioni politiche del 2018, e i grillini al 23, dal 32 abbondante raccolto nelle urne dell’anno passato.
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