Addio al mio amico e collega carissimo Guido Quaranta

           Ho incontrato Guido Quaranta, più disincantato e scettico del solito, solo qualche settimana fa alla Camera, alla presentazione di un libro – “Passi perduti,   storie dal Transatlantico”- al quale avevamo entrambi contribuito, intervistati con altri colleghi dall’autore Giorgio Giovannetti per parlare della nostra esperienza di giornalisti parlamentari.

           Eravamo abituati troppo bene alla politica raccontata per più di cinquant’anni, peraltro da postazioni professionali di diverso orientamento politico, per poterci trovare a nostro agio con quella di adesso. Abituati troppo bene non solo alla politica, ma alla nostra stessa professione.

            Guido mi chiedeva ancora, seduto accanto a me nella Sala della Lupa di Montecitorio, quali abitudini avesse nel suo lavoro Indro Montanelli, sapendomi cresciuto un po’ anche alla sua scuola. E ne era ammirato sentendomi descrivere come usasse tagliare i pezzi dei colleghi, non per censura ma per semplici ragioni di spazio. O come diventasse balbuziente per ansia o irritazione quando bussava alla porta qualcuno del comitato di redazione per porgli un problema. Montanelli era un direttore atipico, con quella voglia incontenibile che aveva di fare il solista. E a Guido, per quanto di sinistra orgogliosamente dichiarata, piaceva moltissimo.

            Pur diventato negli ultimi anni parco di parole, ma sempre alla ricerca di curiosità per una urticante rubrica tenuta puntualmente sino all’ultimo sull’Espresso, Guido mi mancherà moltissimo, col ricordo ancora vivo che conservo di quelle mattine in cui Giulio Andreotti, incontrandolo nei corridoi di Montecitorio con un blocchetto di appunti sempre in mano, gli chiedeva sornione se gli volesse fare una multa. Ne sentirò una grandissima nostalgia.

Conte ha rimediato a Salvini il soccorso della Chiesa Valdese per i migranti di turno

            Perduta la sponda fisica e politica del premier laburista di Malta, che bloccando per quasi 20 giorni una cinquantina di profughi su due navi alla fonda dell’isola forniva anche a lui l’occasione per resistere all’accoglienza, il leader leghista Matteo Salvini si è trovato rovinosamente solo col problema dei rapporti non tanto con l’Europa quanto coi suoi alleati di governo: i grillini. Che, prima col solo vice presidente del Consiglio Luigi Di Maio e poi col presidente del Consiglio in persona, Giuseppe Conte, avevano contestato pubblicamente la sua intransigenza e aperto all’accettazione umanitaria di una parte di quelli che il manifesto ha promosso a Cavalieri di Malta, pubblicandone una foto festosa scattata all’annuncio del loro sbarco imminente.

            Per ore sono volate fra Roma e Varsavia, dove Salvini era in missione di partito, parole di scontro e persino velate minacce di crisi di governo, o di ritorsioni leghiste su provvedimenti di variaGazzetta.jpg natura in cantiere a Palazzo Chigi e dintorni, comprese le aule e le commissioni parlamentari. Infine, costretto al solito vertice, il presidente del Consiglio ha trovato il modo di disinnescare l’ennesima mina copiando paradossalmente proprio Salvini, che nella scorsa estate era uscito dal blocco imposto nel porto di Catania a un pattugliatore italiano  carico di profughi soccorsi in mare trattandone la consegna di buona parte alla Chiesa di Papa Francesco.

             Questa volta, visto anche l’epilogo infelice di quel sostanziale espediente, essendosi poi i profughi allontanati dalla residenza religiosa di Rocca di Papa, dove erano stati destinati, per unirsi ai tanti clandestini in giro in Italia, il presidente del Consiglio ha negoziato con la Chiesa Valdese. Chiesa Valdese.jpgChe a sue spese -è stato precisato per dare a Salvini il motivo di considerarsi soddisfatto- si è accollata l’accoglienza di tutta o parte della quota di 15 immigrati assegnata all’Italia in una trattativa a otto  svoltasi a livello europeo. Dove si dovrà però trovare adesso anche un accordo per la ripartizione di circa 240 profughi accolti nei mesi scorsi da Malta e di altre centinaia accolti invece dall’Italia e rimastivi, in attesa dell’accoglienza alla quale si erano impegnati alcuni paesi dell’Unione Europea.

              Si è aperta naturalmente a livello politico e mediatico, a uso della campagna elettorale sempre in corso in Italia, fra votazioni regionali, comunali ed europee, la solita discussione, o gara, su chi ha vinto o perduto di più fra Salvini e i suoi alleati grillini di governo. “Tre porte in faccia a Salvini”, ha gridato entusiasta Il Fatto Quotidiano. Discussione o gara Il Fatto.jpgcome tante altre – dal reddito di cittadinanza alla pensione anticipata, dalla Tav al salvataggio della Cassa di Risparmio di Genova- destinate ad una sostanziale dissolvenza, in attesa solo di conoscere gli effetti che potranno derivarne soprattutto nelle elezioni di maggio per il rinnovo del Parlamento Europeo. Dei cui risultati si vedrà che uso vorranno fare le componenti dell’attuale maggioranza. Esse non sono più due, come alla formazione del governo Conte, perché quella grillina si è andata via via scomponendo di fatto in tendenze, aree, correnti e quant’altro la cui convivenza dipenderà anch’essa dai risultati delle elezioni europee di maggio, o da quelle regionali che le  precederanno già dal mese prossimo.

 

 

 

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Mattarella riflette da 22 giorni sulla legge che di fatto abolisce la prescrizione

Il presidente della Repubblica non ha ancora firmato, per la promulgazione, la legge cosiddetta “spazzacorrotti” faticosamente approvata dalle Camere, in particolare a Montecitorio in via definitiva il 18 dicembre scorso. E’ quella che contiene come  una supposta, nel primo dei 15 articoli che la compongono, la norma che modifica l’articolo 159 del codice penale  e dispone che “il corso della prescrizione rimane sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado”. E’ la fine, contestatissima pure all’interno della maggioranza, della prescrizione: la fine anche per l’imputato che venisse assolto e vedesse appellato il verdetto dall’accusa, senz’altro limite al processo se non quello purtroppo generico dell’articolo 111 della Costituzione. Che parla solo di “ragionevole durata”.

Quanto poi ragionevole possa o debba essere la durata di un processo, non si sa. E francamente non si sa neppure chi possa stabilirlo: forse la Corte Costituzionale, se le dovesse capitare di occuparsi del problema, al primo ricorso ricevuto tramite la magistratura per qualche vertenza giudiziaria aperta da un cittadino non disposto ad accettare la sua condizione di imputato a vita.

Il presidente della Repubblica, che è anche un fine giurista ed è stato giudice costituzionale prima di essere eletto al vertice dello Stato, sta riflettendo evidentemente su questo e forse anche altri aspetti della legge così fortemente voluta dai grillini: una bandiera, per loro, quasi come quella del cosiddetto reddito di cittadinanza. Una bandiera contrastata, all’interno della maggioranza gialloverde, dai leghisti. I quali definirono per bocca del ministro della pubblica amministrazione e celebre avvocato Giulia Bongiorno “una bomba atomica” la supposta della fine della prescrizione, riuscendo solo a strappare agli alleati di governo l’impegno -che, in verità, si ha difficoltà a trovare nel testo della legge approvata dalle Camere- a rendere operativa la sospensione senza limite della prescrizione dall’anno prossimo, in modo da tentare, quanto meno, una riforma generale e rasserenante del processo.

Non solo da presidente della Repubblica e da giurista Sergio Mattarella merita tutta la comprensione dell’osservatore politico per il tempo di riflessione che si è dato. E che scadrà  costituzionalmente il 18 gennaio, al compimento cioè del trentesimo giorno dall’approvazione della legge. La riflessione di Mattarella merita tutta la comprensione possibile pure per via della sua doppia funzione, voluta anch’essa dalla Costituzione, di presidente della Repubblica e del Consiglio Superiore della Magistratura. Il quale ultimo, richiesto di un parere dal ministro della Giustizia durante il percorso della legge, ha espresso il suo dissenso, anche su aspetti diversi dal più clamoroso costituito dalla sospensione all’infinito, cioè della soppressione, della prescrizione con l’arrivo della prima delle tre sentenze consentite dal nostro sistema giudiziario e istituzionale.

Il parere negativo, e per certi versi dirompente, del Consiglio Superiore della Magistratura fu formulato all’unanimità nella competente commissione. E a maggioranza dal plenum, che se ne occupò, votando, solo il 19 dicembre, cioè il giorno dopo l’approvazione definitiva della legge alla Camera: con un calendario, diciamo così, sfortunato per chi avrebbe voluto fare ancora qualcosa in Parlamento per porre rimedio alla incresciosa situazione, ma fortunato per il ministro grillino della Giustizia  Alfonso Bonafede. Che però  adesso attende forse con ansia non inferiore, se pure di segno contrario a quella degli avvocati, dei leghisti nella maggioranza e delle opposizioni parlamentari, le conclusioni della lunga, e per ciò stesso significativa riflessione che ha voluto concedersi, o imporsi, il presidente della Repubblica.

Sergio Mattarella ha dimostrato nei suoi quasi quattro anni del mandato presidenziale, dei setti affidatigli dalla Costituzione, di essere ben disposto a firmare in fretta le carte che gli arrivano sulla scrivania quando ne condivide o comunque accetta il contenuto, o l’urgenza che qualche volta l’accompagna. E’ accaduto non più tardi della fine dell’anno scorso, quando per evitare il ricorso al cosiddetto esercizio provvisorio ha firmato la legge di bilancio limitandosi poi a lamentare, nel messaggio televisivo di San Silvestro, la “grave compressione” subita dall’esame parlamentare. “Grave” per Mattarella, “dolorosa” per il presidente grillino della Camera Roberto Fico in una lettera di buon anno affidata al giornale della Confindustria Sole 24 Ore.

 

 

 

Pubblicato su Il Dubbio

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