Ci sono voluti più di ventisei anni dal fatto, più di diciotto dalla sua morte e due edizioni della Repubblica sostanzialmente archiviate perché tornasse a sentirsi nell’aula di Montecitorio la voce di Bettino Craxi. E se ne rivedesse anche l’immagine, proiettata sui tabelloni abituali delle votazioni elettroniche in una sintesi televisiva dei cento anni trascorsi dalla inaugurazione dell’emiciclo progettato da Ernesto Basile.
Il discorso di Craxi riproposto e risuonato sotto le vetrate e fra le pareti e sculture liberty dell’assemblea della Camera è quello pronunciato il 3 luglio del 1992 per la fiducia al governo del socialista Giuliano Amato: il primo dell’ex braccio destro dello stesso Craxi a Palazzo Chigi, dove gli era stato sottosegretario dal 1983 al 1987, e primo anche della legislatura uscita dalle urne del 5 e 6 aprile di quell’anno. Dove si tirarono le somme di una campagna elettorale svoltasi nel clima politico già intossicato, a dir poco, dal ciclone giudiziario scoppiato il 17 febbraio con l’arresto a Milano, in flagranza di concussione, del presidente socialista del Pio Albergo Trivulzio, Mario Chiesa. Che Craxi chiamò poi in piazza “mariuolo” contribuendo a scatenarne, per reazione, la loquacità con Antonio Di Pietro e gli altri inquirenti di “mani pulite” nella perlustrazione, chiamiamola così, di Tangentopoli.
Ma, oltre ad essere il primo suo personale e il primo della nuova legislatura, quel governo Amato fu nel 1992 anche il primo effetto politico della stagione giudiziaria apertasi con l’arresto di Chiesa. A Palazzo Chigi, per le intese raggiunte già prima del voto fra la Dc e il Psi e confortate, sia pure di stretta misura, dai risultati elettorali della maggioranza di governo uscente e guidata da Giulio Andreotti, avrebbe dovuto andare, anzi tornare proprio Craxi. Cui però il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro negò l’incarico avendone appreso il non ancora maturo ma possibile coinvolgimento nelle indagini giudiziarie milanesi dalla viva voce del capo della Procura Francesco Saverio Borrelli, inusualmente partecipe delle consultazioni al Quirinale per la formazione del governo.
Il passaggio del discorso di Craxi scelto per la rievocazione audiovisiva del primo secolo di storia dell’aula della Camera è quello, stentoreo e drammatico, della sfida a tutti i leader di partito a negare di avere partecipato, insieme col suo Psi, alla pratica del finanziamento “irregolare e anche illegale” della politica. A negarlo si sarebbe diventati “spergiuri”, ammonì il leader socialista nel silenzio tombale e significativo dell’aula, sotto la presidenza di Giorgio Napolitano. Che da presidente emerito della Repubblica ha riascoltato quelle parole da ospite, seduto accanto al capo dello Stato in carica Sergio Mattarella, ai banchi semicircolari delle autorità invitate dal presidente grillino Roberto Fico alla festa di Montecitorio. Dove, grazie a Dio, continuerà a vivere la democrazia rappresentativa cui siamo abituati, e che il movimento delle 5 Stelle sogna invece di sostituire prima o poi con quella “digitale” dei computer e derivati.
Diversamente da vent’anni fa, questa volta lo storico e -ripeto- drammatico passaggio del discorso di Craxi non è caduto nel silenzio imbarazzato di un’aula piena -allora- di uomini e gruppi interessati a profittare dell’occasione non per rigenerare tutti insieme una politica bisognosa quanto mai di risanamento e rinnovamento, ma per liberarsi di un personaggio diventato un po’ troppo scomodo per tutti: da mandare in galera o lasciare andare a morire lontano dall’Italia, liquidandolo come un banale o volgare “latitante”. E non dico altro, se non che quella liquidazione della vicenda politica e umana di Craxi non portò, a distanza, molta fortuna a chi la volle con grandissima ostinazione.
Il buio nel quale è stata trasmessa e risentita quella voce, e si è rivista quell’immagine di Craxi che rivolgeva il suo indice di sfida a tutti i settori della Camera, non ha permesso di individuare lì per lì con precisione la provenienza degli applausi apparsi un po’ come riparatori dopo tanto tempo. E debbo dire che non è stata molta la curiosità dei giornalisti e dei politici di approfondirne la provenienza, forse nel timore di fare scoperte scomode, come scomodo e imbarazzante fu il silenzio assordante di quel 3 luglio 1992.
La mia ricerca si è conclusa rapidamente incontrando nel celebratissimo “transatlantico” di Montecitorio il socialista beneventano e mai pentito Umberto Del Basso De Caro, ora deputato del Pd, non so francamente di quale delle aree, o simili, in cui si divide e tormenta il partito di Matteo Renzi, Marco Minniti, Nicola Zingaretti, Graziano Delrio, Dario Franceschini, Walter Veltroni e amici e compagni.
“Ho cominciato ad applaudire io”, mi ha raccontato Del Basso De Caro aggiungendo che a seguirlo sono stati soprattutto i parlamentari di Forza Italia, ancora abbastanza per farsi sentire evidentemente, nonostante la decimazione elettorale in corso ad opera dei leghisti di Matteo Salvini, ora in libera uscita al governo con i grillini. Così avrebbe detto forse Giulio Andreotti aggiornando il giudizio sugli elettori democristiani tentati nei lontani anni Sessanta dal Movimento Sociale.
So bene che i grillini si considerano di sinistra, e vengono ritenuti tali da molti, per cui il richiamo ad Andreotti e ai missini potrebbe sembrare avventato. Ma, cadute le cosiddette ideologie, certe categorie non sono più sicure come una volta. D’altronde, nel 1995 a scoprire e certificare in qualche modo la natura di sinistra della Lega, ora considerata molto di destra, fu l’insospettabile Massimo D’Alema.
Pubblicato su Il Dubbio
Per i loro gusti, e per il giudizio liquidatorio che hanno sempre espresso sulle due edizioni, diciamo così, della Repubblica che hanno preceduto il loro approdo al governo, i grillini debbono essere rimasti quanto meno sorpresi anche per gli applausi che, sia pure a luci spente, durante la proiezione di un filmato sintetico sui cento anni di vita parlamentare passati dall’inaugurazione dell’aula, hanno sentito applaudire la voce e l’immagine di Bettino Craxi. Di cui è stato riproposto, in particolare, lo storico e non rapidissimo passaggio del discorso pronunciato il 3 luglio 1992 per la fiducia al governo che avrebbe dovuto presiedere proprio lui ma di cui fu costretto dal capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro, fresco di elezione, a cedere la guida al collega di partito Giuliano Amato. E ciò per il discredito procurato al segretario del Psi dalle voci sul possibile, e poi sopraggiunto, coinvolgimento nell’inchiesta “Mani pulite” della Procura di Milano sul finanziamento illegale della politica ed eventuali reati connessi: corruzione, concussione e altro.
pentastellato della Giustizia e riduttivo del peculato di cui stanno rispondendo amministratori leghisti nell’uso dei fondi destinati ai gruppi consiliari, è stato approvato a scrutinio segreto con 284 sì e 239 nove. “Sabotaggio”, ha subito gridato contro la Lega per i grillini il Fatto Quotidiano di Marco Travaglio.
Compromessi improvvisati possono essere considerati proprio la mezza militarizzazione delle campagne annunciata a Caserta per quello che il manifesto ha definito “amore tossico”, giocando sul passaggio “dalla terra dei fuochi alla terra dei cuori” immaginato da Conte; la fine della prescrizione insaccata nella legge sulla corruzione ma appesa ad una riforma del processo penale assai improbabile nei soli tredici mesi che il governo si è dato per realizzarla su delega ancora da proporre al Parlamento; la riapertura, alla Camera, della conversione in legge del decreto sulla sicurezza approvata faticosamente al Senato; il condono edilizio a Ischia insaccato nel decreto su Genova e passato grazie al soccorso ricevuto dai pur odiati forzisti campani; l’indifferenza ostentata davanti alla febbre crescente dei mercati alle prese con i titoli del debito pubblico italiano; la sfida infine alle procedure d’infrazione contro i conti del governo che stanno maturando negli organismi comunitari. E mi fermo qui perché mi manca il fiato.
Luigi Ferrarella, che ho avuto il piacere di sperimentare per la sua serietà come cronista giudiziario del Giorno negli ormai anni lontani della mia direzione, non rientra nell’elenco degli otto giornalisti di “schiena dritta” ed esemplare recentemente diffusa dal turista grillino in Nicaragua Alessandro Di Battista. Ma fra gli otto benemeriti della professione – ridotta da altri al livello della “prostituzione” – e facendo compagnia a Pietrangelo Buttafuoco, Marco Travaglio, Massimo Fini, Fulvio Grimaldi, Alberto Negri, Franco Bechis e Luisella Costamagna, c’è Milena Gabanelli, già assurta agli onori e all’ammirazione dei grillini come candidata alla presidenza della Repubblica. Ebbene, è proprio di Milena Gabanelli la firma affiancata sulla prima pagina del Corriere della Sera a quella di Luigi Ferrarella nella spalla -come si chiama in gergo tecnico- che restituisce alla prescrizione le sue reali dimensioni e svela i trucchi con i quali la si gonfia per storcere in senso giustizialista i rapporti fra diritto e società, fra magistrati e cittadini che hanno la disavventura di incrociare le toghe come indagati o imputati.
La pronta protesta di Fico contro le bizzarrie inceneritrici di Salvini, destinata -ritengo mentre scrivo- ad essere recepita e rilanciata dal collega di partito Alessandro Di Battista in veste sia di reporter sia di mito del movimento delle 5 stelle, pronto al rientro anche fisico nella lotta politica italiana, ha allarmato Di Maio. Che, già critico di suo con Salvini per tante altre cose, anche quelle sulle quali i due si sono appena chiariti o accordati al telefono o a vista, ha alzato il tono della voce, ha portato le mani dove di solito stanno quando si dice a qualcuno che ha rotto i cosiddetti…e lo ha perentoriamente invitato a non creare tensioni fra i grillini e , più in generale, nel governo: per giunta, su un argomento estraneo al famoso contratto stipulato in primavera. Di cui prima o poi troveremo una copia anche sui comodini o nei cassetti delle camere d’albergo per il suo valore ormai biblico.
ragione, dai soliti animali travestiti da giornalisti. Che adesso starebbero giocando sporco pure col presidente della Repubblica Sergio Mattarella, indicato all’unisono con vistosi titoli di prima pagina dal Fatto Quotidiano di Marco Travaglio e da La Verità di Maurizio Belpietro di meditare un intervento a gamba tesa a favore dell’Unione Europea. Ciò avverrebbe rifiutando la promulgazione del bilancio se il Parlamento l’approverà fregandosene delle osservazioni, critiche e quant’altro degli organismi comunitari.
delle infrastrutture Danilo Toninelli. Che -ho poi scoperto- aveva scandalizzato la parlamentare berlusconiana per avere festeggiato dal banco del governo, sollevando in aria il pugno chiuso, la conversione definitiva in legge del decreto che continua a portare ormai arbitrariamente il nome di Genova. Esso è infatti diventato più famoso, e controverso, con l’articolo fattovi inserire dal vice presidente del Consiglio Luigi Di Maio, grillino pure lui, per sanare nel modo più vantaggioso possibile non solo i danni sismici ma anche gli abusi edilizi a Ischia. Che sono quasi quanto le case che vi esistono, in piedi o diroccate che siano dopo le scosse telluriche.
Il nesso anomalo fra il decreto per Genova, imposto dall’emergenza creatasi in agosto col crollo, non certamente sismico, del ponte Morandi e la sanatoria edilizia a Ischia non poteva essere rappresentato meglio dall’insospettabile Fatto Quotidiano con la vignetta di prima pagina che sostituisce il ponte crollato della capitale ligure con quello progettato per unire Genova all’isola tanto cara a Di Maio. Cara, per motivi che dubito siano soltanto romantici o paesaggistici, visto che essa appartiene al suo territorio elettorale. Un bel viadotto da Genova a Ischia sarebbe davvero imponente. Provate a pensare, con la fantasia che ha dimostrato di avere fra i suoi riccioli il ministro Toninelli, quanti ristoranti, discoteche, sale da gioco per bambini, sale cinematofragiche, negozi straordinariamente aperti anche di domenica, palestre, officine, piste ciclcabili, commissariati di polizia e altre diavolerie potrebbero sorgere sul gigantesco manufatto.
di Palazzo Madama per una proposta a sorpresa fatta a Berlusconi dal leader leghista Matteo Salvini- ha ritenuto di approfondire l’esame della situazione sospendendo la seduta e poi contestando a Toninelli quel pugno alzato in segno di festa, e non di protesta, la vicenda mi è apparsa subito e mi è rimasta surreale.
i senatori di Forza Italia, campani e non, che li hanno aiutati a conseguire quella che ritengono una grande vittoria “contro le lobby”, ha detto l’ormai più imprevedibile e incontenibile esponente del governo gialloverde. Per il quale evidentemente quella degli abusi edilizi, almeno ad Ischia, non è una lobby. Dev’essere un’associazione patriottica, o benefica, da premiare, magari rimproverando al buon Dio di averli “abbandonati” alla tentazione, per usare la nuova formulazione della preghiera del Padre Nostro appena sancita in Vaticano.
gruppo, dove la signora non lascia passare giorno senza auspicare diligentemente che Salvini si decida a rompere l’esperienza di governo con i grillini, pur autorizzatagli a suo tempo dal Cavaliere, e a ripristinare a tutti gli effetti il centrodestra. Ma questa del condono a Ischia non era evidentemente l’occasione buona per una crisi. Potenza dei condoni. Così Salvini e Di Maio possono ancora spalleggiarsi, come sui murales apparsi a Milano, e vivere allegramente i loro scontri quotidiani con l’Unione Europea sui conti del 2019 nelle mutevoli versioni sfornate con lettere e quant’altro dal ministro dell’Economia Giovanni Tria. Che tuttavia non si muove “di un millimetro”, come gli chiedono all’unisono i due vice presidenti del Consiglio , dalla sua ultima postazione di turno.