Carlo Minniti secondo Massimo D’Alema

Alcune considerazioni a parte, diciamo così, oltre cioè il destino del centrosinistra alquanto infausto insito nella previsione, o auspicio, di un altro “governo del Presidente” dopo le elezioni dell’anno prossimo, merita l’intervista di Massimo D’Alema al Corriere della Sera per ciò che l’ex presidente del Consiglio ha voluto dire del suo ex compagno di partito e di corrente Marco Minniti. Che ha avuto la sventura di essere diventato ministro dell’Interno nel governo “alla fine” di Paolo Gentiloni, e col consenso naturalmente del segretario del Pd Matteo Renzi, ancora più “in difficoltà ” di Gentiloni.

Già accusato da lui di fare le stesse cose di Berlusconi e dalle frange estreme della sinistra di praticare nella gestione del fenomeno dell’immigrazione una politica di destra, tanto da essersi guadagnato i riconoscimenti dei leghisti e dei post-missini, Minniti si è sentito dire da D’Alema che le sue misure di contenimento “hanno lasciato i migranti nelle mani delle milizie libiche, in campi di detenzione dove avviene ogni genere di violazione dei diritti umani: stupri, torture, assassini”. Di cui pertanto il ministro dell’Interno e, più in generale, il governo italiano dovrebbero sentirsi complici col “voltafaccia” fatto negli ultimi mesi. “Minniti è stato efficace, ma mi chiedo quale sia il prezzo della sua efficacia”, ha detto severamente D’Alema.

Ma la dose politicamente più tossica dei giudizi dell’ex presidente del Consiglio, anche in veste di ex presidente del Comitato parlamentare di sicurezza, cioè di controllo dei servizi segreti, sta in queste parole: “Minniti conosce molto bene gli apparati dello Stato, e ne  è stimato. Il che è importante perché questi apparati sono bravi a raggirare la politica, facendo credere al ministro di guidare mentre alla guida sono loro”. Risulta così una gara  alquanto inquietante, in cui francamente non si sa se si debba rimanere scandalizzati più  per la disinvoltura dei servizi segreti, o apparati, come li chiama D’Alema, o per la dabbenaggine del ministro o del sottosegretario di turno.

Scrivo anche di sottosegretario perché Minniti lo è stato alla Presidenza del Consiglio, con delega proprio ai servizi segreti, dal 2013 al 2016 con Enrico Letta e poi con Matteo Renzi a Palazzo Chigi. Dove peraltro il primo a portarlo fu proprio D’Alema nel 1998, quando subentrò  a Romano Prodi “uccidendo l’Ulivo”. E’ ciò che Matteo Renzi usa contestare al suo ormai irriducibile rivale alludendo al diserbante fornito a D’Alema dalla buonanima di Francesco Cossiga con un partitino improvvisato – “gli straccioni di Valmy”, scherzò lo stesso Cossiga- per sostituire il fuoriuscito dalla maggioranza Fausto Bertinotti. 

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