Ci voleva la matita del vignettista Vauro Senesi sul Fatto Quotidiano –sì, proprio quello diretto da Marco Travaglio, e al netto di tutto il dissenso che merita su tanti altri versanti- a restituire un po’ di dignità al giornalismo parruccone che ha trattato con ipocrisia rivoltante la grave vicenda di Firenze. Dove due Carabinieri sono indagati per stupro su denuncia di due studentesse americane. E con elementi di prova che hanno giustamente esterrefatto, prima ancora dei magistrati inquirenti, il ministro della Difesa -peraltro donna- e i vertici dell’Arma nota giustamente come Benemerita.
Ci voleva Vauro -bravissimo- a far commentare l’episodio, dopo quello che è appena avvenuto in quel di Rimini, ad un immigrato di colore facendogli dire: “Questo non significa che tutti i Carabinieri sono stupratori”. Come invece alcuni iscritti all’Ordine dei Giornalisti, scimmiottando certi politici alla ricerca esasperata di voti grattando la pancia degli elettori, hanno praticamente scritto e mostrato di credere occupandosi degli immigrati stupratori fortunatamente catturati a Rimini.
Purtroppo il direttore del Giornale della famiglia Berlusconi, nel pur lodevole proposito di difendere l’Arma dei Carabinieri dal disonore che possono procurarle i suoi uomini, ha ritenuto di dover e poter scrivere apoditticamente che “nessun paragone può reggere” fra le due vicende di stupro.
Il paragone -ahimè- non è un capriccio di giornalisti che Alessandro Sallusti ritiene probabilmente sprovveduti, o genericamente di sinistra, come si suole dire e pensare da quelle parti. Il paragone è più semplicemente imposto dai fatti, dalle circostanze. Che non consentono certamente, come ha scritto il direttore del Giornale, di “riabilitare il branco di Rimini”. Ma neppure di chiudere gli occhi o di scrollare infastiditi le spalle davanti alla vignetta di Vauro, più efficace di un editoriale lungo quasi due colonne del vecchio piombo che si usava nelle tipografie. E si usa nelle fabbriche di armi e munizioni.