Chissà perché all’uragano che ha travolto i Caraibi nella sua corsa verso la Florida hanno assegnato il nome di Irma, che è un’amica carissima di mia figlia, buona come il pane, pugliese come me e colpevole al massimo di avere scelto il mestiere di giornalista. Parlo di mestiere e non di professione perché non è il caso di esagerare, coi tempi e i linguaggi che corrono. E di fronte ad un collega come Vittorio Feltri, che ha appena rivendicato il diritto di non avere inibizioni nell’uso delle parole perché a valere debbono essere solo i concetti. E se poi qualcuno per “ignoranza” non li capisce “sono cazzi suoi”, testualmente. E pensare che quando ancora viveva Indro Montanelli il buon Paolo Liguori parlava e scriveva dell’allora direttore del giornale “Indipendente” come del suo “erede”: Montanelli, poi, cui non riuscivi a strappare una parolaccia, specie per iscritto.
Irma dunque ne sta facendo di tutti i colori oltre Atlantico. E’ riuscita a mettere paura anche a uno come Donal Trump, che se la sta facendo letteralmente sotto, a dispetto della sicurezza che mostra in pubblico e del depistaggio che sta tentando minacciando fuoco e fiamme contro quel dittatore pagliaccio della Corea del Nord che ha scambiato per giocattoli le bombe e i missili all’idrogeno che gli producono quotidianamente i generali e generaloni nel tempo che rimane loro libero dopo avere finto di divertirsi al racconto delle sue barzellette. Ridono sempre, l’uno e gli altri, nelle foto che li riprendono insieme: prima, durante e dopo gli esperimenti nucleari.
Scusatemi della stravaganza, ma ho provato a immaginare che cosa sarebbe successo se Irma si fosse incapricciata e avesse deciso di armarsi di venti, pioggia, lampi, tuoni e quant’altro per puntare contro la nostra povera, misera Italia. Beh, mi sono venuti i brividi. Mi sono messo le mani fra i capelli, che fortunatamente conservo integri alla mia età, pensando ai vari Matteo Salvini, Beppe Grillo, Maurizio Gasparri, Renato Brunetta, Maurizio Belpietro, Vittorio Feltri e tanti altri accomunati dall’irrefrenabile tentazione di scambiare Irma per un’immigrata, naturalmente clandestina, sfuggita a tutti i controlli lungo le coste meridionali italiane. Un’intrusa magari decisa a scaricare sul paese anche un bel po’ di zanzare portatrici di malaria, del ceppo peggiore.
Non parliamo poi delle polemiche che Irma scatenerebbe in Italia sulle responsabilità del degrado idrogeologico, dei conflitti fra esperti e politici, dei processi mediatici a chi ha diretto in passato e dirige ora la Protezione Civile e di tutto ciò che abbiamo già provato a dire e a sentire in occasione di terremoti e inondazioni, compresi gli assalti ai governi di turno.
Più per paura di questi effetti diciamo così politici e mediatici che di quelli -ahimè- naturali di un uragano cui sono abituati gli americani a causa di una natura che Vittorio Feltri, sempre lui, ha già bollata come “non democratica” in una intervista rilasciata per rivendicare il diritto – per carità, sacrosanto- di dire e di scrivere tutto quello che gli pare sulle calamità altrui, mi sono consolato all’idea che Irma continuerà a tenersi lontana dalle coste italiane: troppo piccole per i suoi gusti.