Casaleggio liquidato da Pansa come inquietante

Giampaolo Pansa, Giampa per gli amici, che sono tanti, meritatamente aumentati quando lui, arrivato nella sua brillante carriera al bivio fra una testata di sinistra da poter dirigere e una verità da svelare e difendere, quella dei troppi crimini compiuti all’ombra della Resistenza al nazifascismo, scelse con dignità e coraggio la seconda, ha sempre avuto una certa visione fisiognomica della politica.

         Negli anni in cui frequentavamo insieme i congressi dei partiti per raccontarne scena e retroscena lui arrivava sempre con uno strumento in più: il binocolo. Che gli permetteva, standosene comodamente seduto al suo posto, di scrutare da vicino l’oratore di turno, i leader maggiori e minori che affollavano i banchi della presidenza, gli invitati e persino i delegati, quando ne scorgeva di curiosi. Egli considerava, giustamente, i volti ancora più espressivi delle parole. Rispetto ai suoi, gli articoli di noi altri perdevano puntualmente il confronto. Qualcuno cercò di difendersi imitandolo col binocolo, ma continuò a perdere il confronto perché Giampa era francamente ineguagliabile. Ci fregava tutti anche con quella sua capacità di inventarsi le immagini, la più famosa delle quali rimane la balena bianca travestita da Democrazia Cristiana. Che naturalmente egli avvertì spiaggiata per primo, mentre altri ancora la cercavano più o meno al largo.

         Del giudizio di Giampa pertanto mi fido, anche se gli anni lo hanno forse un po’ troppo inacidito o insospettito, almeno per i miei gusti o le mie simpatie. Credo ch’egli c’abbia azzeccato trovando sul suo Bestiario domenicale “inquietante” Davide Casaleggio, al cui volto ha potuto arrivare peraltro senza bisogno di impugnare il binocolo, essendoselo visto in primissimo piano giovedì sera sul televisore di casa che ne offriva l’esordio nel salotto di Lilli Gruber, a La 7. Ed avendone poi letto i resoconti dell’intervento al convegno organizzato a Ivrea in memoria del padre Gianroberto, ma in realtà per uscire dalle quinte dietro le quali era rimasto non so se per scelta più personale o dell’amico Beppe Grillo. Di cui si sussurra da tempo di una certa stanchezza alla guida del Movimento 5 Stelle. Una guida, invece, che Pansa considera per niente in esaurimento, anzi insostituibile.

         Inquietante non è certamente o solamente un aggettivo negativo, e tanto meno insultante. E’ tale, secondo il dizionario della lingua italiana Devoto e Oli, ciò “che costituisce motivo di preoccupazione o d’apprensione”, o “presenta elementi di interesse assai vivi e al tempo stesso sconcertanti”.

         Ebbene, non è quanto meno sconcertante che si stia dichiaratamente occupando del programma di un movimento politico qual è quello grillino, aspirante addirittura al governo del Paese, uno che evita contraddittori, sceglie in questo spirito le persone con le quali confrontarsi in pubblico e sfugge ai problemi dell’oggi dicendo di volersi occupare solo del “futuro”? Non è sconcertante uno che, al primo passo falso compiuto scoprendosi sui temi del presente, parla del famoso reddito di cittadinanza -che sarebbe poi il massimo dell’assistenzialismo- per indicare come fonte di finanziamento le solite “pensioni d’oro”? Senza tuttavia sapere spiegare che cosa egli intenda per oro, a quale cifra esattamente pensi, al lordo o al netto, quando le tasse già ne inghiottono più della metà. E dicendo che queste sono cose da “tecnici”.

         Personalmente preferisco ridere agli spettacoli di Grillo, senza dovere neppure pagare il biglietto, che inquietarmi alle allusioni e minacce di Casaleggio.

Le svolte sbagliate di Silvio Berlusconi

Dove o da chi comincio scrivendo della solita politica italiana in questa domenica delle Palme, che ci avvicina alla Pasqua di Resurrezione?

Da Matteo Renzi, risorgente segretario del Pd, e non si è ancora ben capito se anche aspirante di nuovo a presidente del Consiglio, dopo lo schiaffone procuratosi in fondo da solo con una campagna referendaria sulla sua riforma costituzionale condotta con troppa baldanza?

Da Sergio Mattarella, che proprio a Renzi ha appena dato uno scappellotto tirandosi fuori dall’incidente parlamentare nel quale i renziani lo volevano imprudentemente coinvolgere per la mancata elezione del loro candidato a presidente della prima commissione del Senato? Quella degli affari costituzionali preposta all’esame, quando verrà, dell’ennesima riforma o riformina elettorale.

Dal conte Paolo Gentiloni, che si barcamena alla meglio tra imprevisti internazionali e interni scommettendo più sulla paura degli italiani che gli succeda chissà chi a Palazzo Chigi dopo il prossimo turno elettorale, ordinario o anticipato, che sulla sua reale capacità o possibilità di evitare un naufragio?

Dall’emergente e un po’ tenebroso Davide Casaleggio, per quanto bellissimo, secondo la certificazione del critico televisivo del Corriere della Sera Aldo Grasso, propostosi in quel di Ivrea al popolo grillino -Davide naturalmente, non Aldo- come chi è interessato più dal futuro che dal presente? Ma sapendo bene che del futuro fa parte il prossimo autunno, con le primarie, o come altro preferiranno chiamarle da quelle parti, per la scelta del candidato del Movimento 5 Stelle alla guida del governo di cui i vari Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista hanno assaporato troppo presto il presunto odore.

Dell’almeno anagraficamente vecchio Silvio Berlusconi, appena celebrato sulla prima pagina sempre del Corriere della Sera, con la firma di Paola Di Caro, come l’autore di una “svolta animalista”, avendo aderito alla campagna della sua amica Michela Vittoria Brambilla per la difesa degli agnelli dalle stragi di Pasqua?

 

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Scusatemi, ma non riesco a sottrarmi alla tentazione di cominciare, e pure di finire, con Silvio Berlusconi per scrivere che forse sono altre le svolte attese dagli elettori che hanno smesso da anni di votarlo, o di votarne il partito, visto che lui è momentaneamente incandidabile: elettori dei quali il presidente di Forza Italia insegue ostinatamente il recupero, ritenendo forse non a torto, per carità, che essi basterebbero e avanzerebbero per fargli vincere le elezioni.

Purtroppo i suoi ex elettori di una certa età, e quelli più giovani ma pur sempre rispettosi delle tradizioni e delle buone maniere, si aspettano da Berlusconi svolte politiche, altro che animaliste. A costoro, dei cinque agnelli ch’egli ha appena generosamente “adottato”, facendosi fotografare mentre ne allatta uno chiamato poeticamente “Fiocco di neve”, non gliene importa nulla. Importa loro di più ch’egli si decida a rinunciare a sopportare un giorno e a inseguire l’altro il segretario leghista Matteo Salvini e la sorella dei Fratelli d’Italia Giorgia Meloni. Che sarà pure una bella mamma, oltre che sorella, per carità, ma è pur sempre la Meloni, appunto: una di fronte alla quale politicamente persino Ignazio La Russa, suo meno giovane amico di partito, o come diavolo si chiamano adesso fra di loro essendosi dati nel passato del camerata, sembra uno statista.

Piuttosto che occuparsi, in questi tempi poi, dei cinque agnelli scelti per lui dalla fedele Maria Vittoria Brambilla, l’ex presidente del Consiglio farebbe bene a riesaminare i rapporti con i cinque o più esponenti più in vista dell’area centrista ch’egli si ostina a scambiare per nemici, poltronisti e quant’altro, ma interessati come lui, o come lui dovrebbe, a impedire che il Paese finisca in mano ai grillini, vista l’ennesima frammentazione della sinistra.

Eppure fu lo stesso Berlusconi che nell’autunno del 2013 invitò i propri amici di una rinata Forza Italia a non insultare con parolacce e fischi i vari Angelino Alfano e Maurizio Lupi, che avevano preferito rimanere nel governo di Enrico Letta e definirsi “diversamente berlusconiani”, sotto le insegne di un “Nuovo Centro Destra”, piuttosto che fare la crisi, e rischiare le elezioni anticipate, per ritorsione contro la sua decadenza da senatore. Che era stato l’effetto congiunto di una condanna definitiva per frode fiscale e di una legge -la famosa Severino- purtroppo approvata anche dal centrodestra meno di un anno prima, senza accorgersi che avrebbe potuto essere applicata persino retroattivamente.

Non fischiate e non dite parolacce -disse allora Berlusconi ai suoi- perché di quei nostri amici potremmo avere bisogno nelle prossime elezioni.

 

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La decadenza di Berlusconi da senatore, peraltro decisa a scrutinio innovativamente e appositamente palese, dopo lo sbrigativo rifiuto di una proposta condivisa anche da una parte del Pd di rivolgersi alla Corte Costituzionale per sciogliere il nodo della controversa applicazione retroattiva della legge Severino, fu un atto certamente e odiosamente politico. Lo ha appena dimostrato la sorte opposta riservata al senatore forzista Augusto Minzolini, pur trovatosi nelle stesse condizioni giudiziarie del suo amico e presidente di partito.

Lo stesso Berlusconi, ancora senatore, aveva detto dopo la condanna definitiva, cui peraltro si era ricorso con procedure d’urgenza, per evitare una imminente prescrizione, che occorreva separare la sua questione da quella del governo. Ma poi cambiò idea e reclamò una crisi -ripeto- per ritorsione, anche a costo di spaccare il suo partito, preferendo l’emozione alla ragione, la pancia alla testa. I fatti, d’altronde, avrebbero poi dimostrato che la decadenza da senatore non era incompatibile con la prosecuzione della sua attività politica.

Purtroppo Berlusconi, mal consigliato, non si comportò allora da statista. Quale sarebbe stato se, per togliere dall’imbarazzo il governo e le altre istituzioni del paese, si fosse spontaneamente e orgogliosamente dimesso da parlamentare. Era quello, peraltro, che mi risulta gli avesse fatto consigliare l’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano, pronto in tal caso anche a chiudere con la grazia le sue pendenze con la condanna. Ma è difficile parlare di politica con chi, per esservi arrivato forse troppo tardi, finisce qualche volta per trovarsi inconsapevolmente nei panni più di un avventore che di uno statista.

 

 

 

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