La curiosa accusa di “sgrammaticatura” alla Meloni nei rapporti con la magistratura

Le immagini dell’inaugurazione dell’anno giudiziario alla Corte di Cassazione, con gli interventi del ministro della Giustizia e del vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura alla presenza del capo dello Stato,   sono la smentita plastica della pretesa bislacca che sia preclusa al governo nella persona del presidente del Consiglio la partecipazione a questa interlocuzione. Una partecipazione che, stando ad un articolo pubblicato ieri su Repubblica, sarebbe addirittura “una sgrammaticatura”.

Così, in particolare, è stato definito da Conchita Sannino, riferendo sull’elezione dell’avvocato Fabio Pinelli a vice presidente del Csm e sul messaggio di felicitazioni e “buon lavoro” prontamente inviatogli da Giorgia Meloni , “certa -ha scritto la premier- della leale collaborazione col governo per migliorare la giustizia in Italia”. Una certezza “un pò distonica”, ha commentato la cronista prima di arrivare alla già citata “sgrammaticatura”. Alla quale, bontà sua, ha ritenuto di riconoscere l’attenuante della “involontarietà”, immagino con quanta e giustificata sorpresa della presidente del Consiglio. Che non aveva improvvisato e tanto meno sgrammaticato nulla. come anche nell’incontro che ha avuto in giornata con Nordio per ribadirgli la fiducia e discutere dei problemi della giustizia.

Non è per niente vero che “per ruolo -come ha scritto la cronista di Repubblica autopromossasi in questo passaggio del suo articolo a costituzionalista, editorialista e quant’altro- Pinelli interloquisce col presidente della Repubblica”, e nessun altro, essendone il vice al vertice del Consiglio Superiore della Magistratura. Dov’è scritta questa sì che è una sgrammaticatura alla luce anche della figura del vice presidente descritta con parole di compiacimento e di incoraggiamento dallo stesso Mattarella dopo l’elezione di Pinelli? Che, dal canto suo, non si è precluso un bel nulla, in termini di interlocuzione col governo, pur indicando nel presidente della Repubblica e dello stesso Csm il suo “punto di riferimento”. Così d’altronde anche ogni ministro dovrebbe dire del suo presidente del Consiglio, rinunciando all’incarico quando ritiene di non riconoscersi più nella sua linea, e non boicottandolo come un dissidente con lo scudo della sfortunata, direi perversa mancanza -cui si dovrebbe prima o dopo riparare- di un esplicito diritto del capo del governo di rimuoverlo. O di chiederne la revoca al presidente della Repubblica che lo aveva nominato su sua proposta, come stabilisce il mai abbastanza ricordato articolo 92 della Costituzione. 

Ah, quante cose di questa Costituzione andrebbero cambiate e aggiornate dopo 75 anni di applicazione, anche per evitare che improvvisati costituzionalisti scambino per “sgrammaticature”, pur involontarie almeno qualche volta, diritti e funzioni esercitate nell’ambito di quella lealtà e collaborazione fra le istituzioni che ogni presidente della Repubblica giustamente raccomanda ogni volta che le avverte in pericolo.

Ripreso da http://www.statmag.it e http://www.policymakermag.it

Attenti, per favore, alla retorica delle decisioni “condivise”

Oddìo, che cosa è successo al Consiglio Superiore della Magistratura? Il plenum “si è spaccato” -ha quasi denunciato la Repubblica– eleggendo al terzo scrutinio come vice presidente l’avvocato Fabio Pinelli con 17 voti contro i 14 andati al professore Roberto Romboli: entrambi eletti precedentemente consiglieri dal Parlamento, come vuole la Costituzione, uno su indicazione della Lega e l’altro su indicazione del Pd. Uno quindi di destra e l’altro di sinistra, per stare al mercato politico all’ingrosso. E dico così, all’ingrosso, perché passando al minuto il pur leghista d’area Pinelli gode di simpatie o apprezzamenti anche a sinistra, in particolare presso l’ex presidente della Camera Luciano Violante. Ed ha scritto come ospite qualche volta sulla rivista di Magistratura Democratica, corrente notoriamente di sinistra delle toghe. 

Due sono stati gli articoli dedicati  su Repubblica all’esordio del Consiglio Superiore della Magistratura insediato il giorno prima al Quirinale, e riunitosi poi nella sede del Palazzo dei Marescialli per eleggere il vice presidente. Uno, più di cronaca che di politica, scritto da Conchita Sannino e l’altro, più di politica che di cronaca, da Liana Milella. E da chi sennò? Reduce peraltro da un’intervista col povero professore, avvocato, presidente emerito della Corte Costituzionale, ex ministro della Giustizia Giovanni Flick, bacchettato più volte -diciamo così- dalla giornalista per risposte diverse da quelle che lei si aspettava, o riteneva congrue su problemi giudiziari controversi. 

Conoscitrice notissima, e giustamente, di  questi problemi, dei protagonisti, degli attori e delle vicende in genere dei tribunali, sin nei minimi particolari, come le località di origine o di residenza delle persone che le capitano sotto tiro, tanto da farle scrivere che ormai a guidare la danza nel campo giudiziario è “la cordata veneta”, alla quale appartiene per primo il nuovo guardasigilli Carlo Nordio; conoscitrice notissima, dicevo, del suo campo professionale, la Milella ha radiografato così minutamente il nuovo vice presidente del Csm da scoprirne un colore di destra non così nitido come apparirebbe dal patrocinio politico espresso o vantato dalla Lega. Del quale del resto lo stesso interessato ha pubblicamente ringraziato, pur tenendo a definirsi “indipendente” e a rivendicare la  propria autonomia, precisando peraltro che il suo unico o maggiore “punto di riferimento” è ora il presidente della Repubblica e dello stesso Consiglio Superiore Sergio Mattarella. Del quale ha condiviso e apprezzato lo stimolo a “decisioni condivise” anche per renderne poi più spedite e facili le applicazioni.

Presa dall’analisi quasi del sangue, e non solo radiografico, dei protagonisti e attori dell’esordio del nuovo Consiglio Superiore, la Milella non è sembrata tanto impressionata negativamente da quei soli tre voti di scarto fra Pinelli e Rimboldi come la collega Sannino. Alla quale invece Repubblica ha preferito attenersi di più con quel titolo, già citato, sul “plenum spaccato”. E con quell’oddìo della mia istintiva reazione, come davanti alla notizia di una frana, di un’alluvione, di un terremoto e via temendo. 

Ci siamo ormai in Italia -scusatemi la franchezza- talmente diseducati alla Democrazia, con la maiuscola, più ancora che disabituati, da scambiare per spaccatura il modestissimo risultato di una votazione di una quarantina di persone su due concorrenti. E abbiamo avuto la pretesa, con questa diseducazione, di partecipare entusiasti in certi ambienti al ghigliottinamento referendario e giudiziario della cosiddetta prima Repubblica per realizzarne una nuova, senza neppure cambiarne la Costituzione, basata sul bipartitismo. O, in mancanza quasi genetica di due soli partiti, sul bipolarismo. Salvo scandalizzarci quando il risultato di una votazione, a qualsiasi livello, è di 17 a 14, o simili. O magari vedere necessariamente, sotto una vittoria qualsiasi di misura, puzza di bruciato, cioè d’imbroglio, complotto, tradimento. Tendenza, questa, comune alla destra e alla sinistra. E non solo in Italia, si può aggiungere consolandoci un pò, visto quello che è accaduto persino negli Stati Uniti d’America con Trump, senza scendere, in tutti i sensi, giù giù sino al Brasile con Bolsonaro. 

Per tornare al nostro, italianissimo Consiglio Superiore della Magistratura, cerchiamo quindi di riabituarci o abituarci – forse è meglio- alla democrazia, Ed anche ad uscire dalla retorica, dove spesso sconfinano, degli appelli alle decisioni condivise, pur tanto care o preferite dal buon Mattarella. Ci sono cose, caro signor Presidente, come la riforma della giustizia al punto in cui è arrivata la sua gestione, tanto da indurLa a parlare nei mesi scorsi della necessità di una “rigenerazione” della magistratura, che non si possono deliberare solo all’unanimità o a larghissima maggioranza. Sarebbe come pretendere con Bertoldo che la vittima si scelga l’albero a cui farsi impiccare, o la cella nella quale finire per il tempo legittimamente assegnatogli da chi ne ha il potere. 

Pubblicato sul Dubbio

Blog su WordPress.com.

Su ↑