
Si era pensato che la successione a Sergio Mattarella, anche a causa delle particolarissime condizioni politiche e istituzionali in cui sta maturando, in un Parlamento vicino alla scadenza ordinaria -e destinato entro un anno ad essere sostituito da Camere ridotte di un più di un terzo dei seggi, con equilibri politici sicuramente diversi- potesse fornire la buona occasione anche per un cambiamento di genere. Al Quirinale si sono avvicendati in tutta la storia della Repubblica solo uomini. Abbiamo insomma una Repubblica infelicemente maschilista, dalla quale sarebbe stato, e sarebbe ancora possibile, uscire una buona volta, coerentemente con quanto già accaduto ai vertici delle Camere.
Sembra invece che non sarà di genere la novità del Quirinale. Dove potremmo invece assistere, con tutte le riserve imposte dalla nostra imprevedibile politica, ad una “prima volta” di altro tipo, tutto istituzionale, ma sempre al maschile. In particolare, potrebbe diventare presidente della Repubblica, primo in assoluto sotto i soffitti dorati della ex Reggia laica e religiosa, il presidente del Consiglio in carica. Che da uscente, magari obbligato solo dal galateo a rimettere il proprio mandato al nuovo presidente della Repubblica, si troverebbe nelle condizioni di uscito all’istante, per incompatibilità costituzionale.
Poiché l’Italia è notoriamente il Paese della complicazione delle cose semplici, figuratevi che cosa è scoppiato fra gli esperti, cerimonialisti, storici, dilettanti o alle prese con qualcosa stavolta di complicato davvero, oltre che inedito, senza un precedente cui appendersi.
Le dimissioni di un presidente del Consiglio vanno presentate a chi lo ha nominato, o comunque è titolare del potere di nomina, cioè il capo dello Stato. Ma come farebbe Draghi a dimettersi con Mattarella decaduto? O a dimettersi con se stesso, girandosi un biglietto dalla mano destra alla mano sinistra, o viceversa? Speriamo che non finisca questa per diventare comicamente la parete contro cui fare sbattere la corsa, virtuale o reale che sia, di Draghi al Quirinale, di fatto introducendo per il capo del governo la ineleggibilità alla Presidenza della Repubblica.


In questo scenario che non si sa se definire più comico -ripeto- o drammatico, il buon Michele Ainis, da costituzionalista ferrato e anche spiritoso che è, ha comunque indicato su Repubblica un passaggio, diciamo così obbligato: la promozione di fatto per anzianità, non si sa per quante ore o giorni, o settimane, o istanti, del ministro forzista Renato Brunetta a presidente del Consiglio. Con quanta ansia per Matteo Salvini, viste le polemiche che spesso li investono sui futuri scenari politici, vi lascio immaginare.
Pubblicato sul Dubbio
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