C’è della perfidia politica, ma anche un po’ personale, d’altronde comprensibile, nella reazione del direttore della Stampa Massimo Giannini allo sgarbo fattogli da Berlusconi dichiarandosi “frainteso”, o addirittura facendo smentire dal proprio staff di avergli rilasciato un’intervista per escludere, praticamente, che i due concorrenti della destra a Palazzo Chigi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, possano mai arrivarvi, almeno con un Draghi al Quirinale.

Declassato in giallo già in partenza da lui stesso, nel titolo di prima pagina, a “colloquio” il resoconto della telefonata di auguri fattagli nel giorno dell’ottantacinquesimo compleanno, senza quindi la pretesa di venderselo nelle edicole come una intervista, Giannini ha reagito a precisazioni, smentite e quant’altro con una intervista vera e propria, fatta di domande e risposte, del suo inviato Fabio Martini ad Antonio Martino. Che, tra i forzisti della primissima ora, è tra i pochi, forse l’unico oltre a Fedele Confalonieri, e a qualche familiare, ad avere con Berlusconi quello speciale tipo di rapporto -tra confidenza e autorevolezza- in grado di sopravvivere ad un dissenso anche netto e spietato.

Così Martino, 79 anni da compiere a dicembre, mitica tessera numero 2 di Forza Italia, già ministro degli Esteri e della Difesa dei primi governi di Berlusconi, liberale a 24 carati come il padre Gaetano, mitico ministro degli Esteri ai tempi dei trattati europei di Roma, non ha soltanto confermato l’inidoneità politica, diciamo così, sia di Salvini sia della Meloni, per quanto un po’ “maturata” negli ultimi tempi, a guidare un governo di centrodestra. Come egli naturalmente vorrebbe che fosse quello prossimo venturo: quando Draghi avrà compiuto la sua missione a Palazzo Chigi e nuove Camere subentreranno a quelle in cui i grillini arrivarono nel 2018 come una volta la Dc, da forza di maggioranza relativa, attorno alla quale fare ruotare gli equilibri politici.
In più, con la stessa sincerità con la quale una volta -pur senza raccontarlo nell’intervista- scrisse un biglietto a Berlusconi per esortarlo a non farsi prendere la mano, diciamo così, da donne di “molto senno e poco senso”, Martino ha amichevolmente rinfacciato all’ex presidente del Consiglio la responsabilità della curiosa situazione, a dir poco, in cui si trova il centrodestra.

“Silvio -ha detto testualmente l’amico- ha un grosso difetto: quasi sempre sbaglia nella scelta delle persone. Prenda i presidenti delle Camere: Pivetti, Casini, Fini. Quando ha fatto una scelta oculata, quella di Marcello Pera, poi non è stato conseguente”, sino a perderselo per strada. “Ma l’errore più serio -ha continuato impietosamente Martino- è un altro….Non ha coltivato una classe dirigente capace di rilanciare la sua politica”. Di che cosa quindi lui può lamentarsi adesso?, è la domanda sottintesa a questo discorso.

La stessa candidatura di Salvini o della Meloni a Palazzo Chigi nasce d’altronde, pur senza che Martino glielo abbia ricordato, dalla concessione fatta all’uno e all’altra da Berlusconi di legare la leadership effettiva, in tutti i sensi, del centrodestra alla consistenza elettorale dei partiti componenti, quando probabilmente lo stesso Berlusconi si riteneva imprudentemente imbattibile sotto questo profilo. Oggi forse egli ha cambiato opinione, ma forse troppo tardi, avendo appena affidato o riproposto al Giornale di famiglia riflessioni secondo le quali “senza il centro moderato”, evidentemente più adatto a guidare un governo, “la destra regala il Paese alla sinistra”.
Rispondi