Il governo di Conte sulla curiosa brace forzista e grillina

            “Il governo trema” annuncia su tutta la sua prima pagina Repubblica, Che ha smesso da tempo di scommettere sulla lunga durata dell’attuale esperimento di governo, finendo per fare venire dubbi anche al fondatore Eugenio Scalfari, sempre più distaccato nei suoi colloqui con i lettori dalla sorte del professore, pur promosso una volta generosamente a erede persino di Aldo Moro. Al contrario, egli è sempre più interessato ai temi filosofici e alla figura di Papa Francesco, contribuendo peraltro -dicono i maligni- a creargli problemi fuori e dentro le mura del Vaticano.

            “Il premier Conte è sempre più fragile”, ha fatto eco, sempre su tutta la prima pagina, il quotidiano Domani fondato col solito puntiglio da Carlo De Benedetti quando si accorse che i figli avevano rovinato la “sua” Repubblica, sino a liberarsene per cederla al nipote-erede di Gianni Agnelli, spostandola secondo lui a destra.

            Quasi a corredo o dimostrazione della “fragilità” del presidente del Consiglio il nuovo giornale dell’ingegnere ha ripreso Conte di spalle, come un uomo più in uscita che in entrata, anche se materialmente sta entrando in qualcuna delle sue sedi di lavoro. E perché non ci fossero dubbi sulle cause di quella “fragilità” il direttore Stefano Feltri  ha affidato all’editorialista Piero Ignazi uno spietato atto d’accusa contro il cattivissimo, opportunista, imprevedibile Silvio Berlusconi, prima accorso in aiuto di Conte facendo approvare all’unanimità anche dai suoi alleati di centrodestra l’ultimo scostamento di bilancio di otto miliardi di euro, tra gli scappellamenti del capo della delegazione del Pd al governo Dario Franceschini, e poi riallineandosi a Matteo Salvini e a Giorgia Meloni con un no grosso come una casa alla riforma del Mes, o fondo europeo salva-Stati, rianimando il sovranismo fra i grillini. Che, già contrari per motivi “ideologicici” o di principio ai crediti europei per il potenziamento del servizio sanitario italiano dissestato dalla pandemia, hanno trovato nelle critiche di Berlusconi alla riforma del meccanismo di stabilità economica una ragione in più per ribadire la loro contrarietà e minacciare di votare contro in Parlamento il 9 dicembre.

            Questo fuoco incrociato di forzisti e grillini per mettere in difficoltà Conte, ed allungare le distanze fra di lui e il Pd su un tema così europeo o antisovranista, ha creato scompiglio anche in quella che ormai dovremmo rassegnarci a chiamare la corte di Berlusconi, più che Forza Italia, sia per le dimensioni assunte dai suoi gruppi parlamentari sia per il modo col quale il Cavaliere li gestisce direttamente, o li fa gestire dai fiduciari di turno.

            Persino un amico personale, e suo ex deputato, come Paolo Guzzanti, cui Berlusconi perdonò a suo tempo un libro non proprio esaltante per la sua figura di politico e persino di uomo, chiamato nel 2010 “Mignottocrazia”- è sceso in campo con un articolo sul Riformista, che alterna a quelli destinati al Giornale di famiglia del Cavaliere, per chiedergli caritatevolmente “che fai?” nel momento in cui l’ex presidente del Consiglio, volente o nolente, distrattamente o no, avrebbe firmato “la resa dei liberali” ai barbari di Grillo e del Carroccio insieme.

 

 

 

 

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Eppure c’è del metodo nell’apparente follia di Silvio Berlusconi

            C’è da credergli se è lo tesso Giornale di famiglia ad annunciare in prima pagina che “il no di Berlusconi” alla riforma del Mes concordata a Bruxelles e dintorni per rendere più funzionale e garantito per tutti il cosiddetto fondo salva-Stati, da cui dipendono i 37 miliardi di euro di finanziamento del malmesso servizio sanitario nazionale, ha chiuso “la stagione del dialogo” voluta e celebrata con la maggioranza di governo dallo stesso Berlusconi partecipando all’approvazione parlamentare quasi unanime dell’ultimo scostamento di bilancio per otto miliardi di euro.

            Il no di Berlusconi, per quanto non comprometta formalmente l’accesso al credito dei 37miliardi per il sistema sanitario italiano, che il Cavaliere anzi è tornato a sostenere, di fatto lo allontana perché porta acqua alle contrarietà, riserve e quant’altro dei grillini all’interno della maggioranza e delle altre componenti del centrodestra all’esterno. Che sono i leghisti di Matteo Salvini  e i fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, ripagati adesso ampiamente del sacrificio imposto loro dal Cavaliere votando lo scostamento di bilancio, anzichè limitarsi ad astenersi. E pensare che il capo della delegazione del Pd al governo Dario Franceschini, precedendo il solito sospettoso presidente del Consiglio Giuseppe Conte, si era affrettato a scappellarsi davanti al Cavaliere elogiandone senso di “responsabilità” e d coraggio” per l’angolo nel quale sembravano essere stati confinati, o quasi, i grillini nel crescente rapporto di conflittualità col partito di Nicola Zingaretti.

            L’iniziativa di Berlusconi, tradotta dall’amichevole Foglio nello “sconcerto Mes”, spiegando che “il voto contrario a ciel sereno del Cav è incomprensibile per gli europeisti di Forza Italia ma fa sorridere Salvini”, e di rimando i loro ex alleati grillini, si potrà spiegare, per chi lo vorrà, in moltissimi modi, magari spingendosi sino alla partita del Quirinale, per quanto ancora lontana mancando più di un anno -e che anno- alla scadenza del mandato di Sergio Mattarella. Non è che manchino ambizioni al Cavaliere, pur alla sua età e con tutte le altre complicazioni politiche di una scalata del genere. Ma sarebbe forse più onesto e semplice fermarsi al contributo che Berlusconi ha già dato personalmente all’avvio e allo sviluppo di questa curiosissima legislatura, dove tutti gli schemi politici sono saltati ben prima che sopraggiungessero le emergenze sanitarie, economiche e sociali.

            La prima anomalia di questa legislatura fu l’autorizzazione concessa da Berlusconi a Salvini -non l’automomia presasi con  chissà quale prepotenza dal “capitano” leghista- a rimanere nel centrodestra a livello locale e ad accordarsi “sperimentalmente” con i grillini a livello nazionale. Il problema per Berlusconi fu allora quello di evitare elezioni anticipate dalle quali il vantaggio allora modesto acquisito dalla Lega su Forza Italia aumentasse e uscisse quindi rafforzato ulteriormente il centrodestra a trazione salviniana. Lì nacquero tutti i problemi che ci stiamo portando appresso, compresa l’illusione -per ora- del Pd di poter completare il logoramento dei grillini avviato dal pur odiato, odiatissimo Salvini.

 

 

 

 

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Il rimpasto che continua a ossessionare il presidente del Consiglio

            Certo, per restare al Corriere della Sera, dove ieri è sceso in campo il direttore in persona per prendere le distanze dai dubbi attribuiti al presidente della Repubblica sul rimpasto di governo, fortemente osteggiato dal presidente del Consiglio, non sembra di massimo auspicio, diciamo così, la vignetta di Emilio Giannelli che evoca un po’ per Giuseppe Conte i funerali di Diego Armando Maradona. Di cui sono ancora piene, per polemiche e quant’altro, le cronache giornalistiche e i palinsesti televisivi.

            Ancor meno di auspicio è l’intervista concessa dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio allo stesso Corriere, di cui non si può proprio dire che sia convergente col monito levatosi contro il rimpasto, e qualsiasi altra iniziativa scomoda per Conte, dal capo della delegazione grillina al governo Alfonso Bonafede: il guardasigilli subentrato proprio a Di Maio.

Nel momento in cui dice che più del rimpasto egli vede come un pericolo “i veti sul Recovery”, cioè sull’uso dei fondi europei della ripresa, con allusioni sia alle discussioni interne su come gestirli, con centinaia di esperti il cui stesso numero è un problema, sia ai dubbi, alle preoccupazioni e a quant’altro nell’Unione sui ritardi con i quali si sa muovendo l’Italia, Di Maio praticamente dà l’impressione, a torto o a ragione, di essere quanto meno interessato a un rimescolamento delle carte nella maggioranza. Che magari s’intrecci con la fase finale dei fantomatici stati generali, a loro modo congressuali, del movimento 5 Stelle in cui fargli riprendere almeno in parte, se non del tutto, il potere perduto a favore di un ormai stressato e consunto Vito Crimi. Si vedrà se e con quale supporto del “duro e puro” Alessandro Di Battista, riuscito a rimanere o a riprendere i rapporti con Di Maio.

            Per quanto non gli manchino certamente pratiche internazionali d cui occuparsi al Ministero degli Esteri, Di Maio in realtà è tutto preso dagli affari interni. E distilla le sue sortite con astuzia in tutte le direzioni possibili e immaginabili. Si sposta da destra a sinistra come una trottola: a destra, per esempio, nell’intervista odierna al Corriere, come aveva già fatto nei giorni scorsi sul Foglio guadagnandosi gli applausi e la promozione di un professore esigente come il forzista Renato Brunetta con un’apertura a ripensamenti sul cosiddetto reddito di cittadinanza, visti più gli ulteriori danni che vantaggi derivati alla lotta alla povertà.

            Ora, pur frainteso dal direttore di Domani Stefano Feltri, che dev’essere rimasto fermo a notizie vecchie di qualche ora, Di Maio ha scoperto tutta la pericolosità dell’imposta patrimoniale proposta dalla sinistra di governo assicurando che mai e poi mai i grillini la faranno passare, come per altri versi lasceranno usare i crediti europei del fondo salva-Stati, pur riformato, per potenziare il servizio sanitario nazionale e indotto.

            La mobilità e al tempo stesso fissità di Di Maio sono ormai tali che cominciano a dubitarne anche al Foglio. Che all’’interesse e alle carezze dei giorni scorsi ha fatto seguire oggi una noterella avvelenata su un  doppio gioco, o giù di lì, che il ministro degli Esteri starebbe sotto sotto facendo con “i due Mattei”, Renzi e Salvini, in ordine rigorosamente alfabetico, non certo per fare dormire sonni tranquilli al “principe azzurro” di Giannelli.

 

 

 

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