Quest’anno già anomalo di suo, e orribile con quei 73 mila morti e più di Covid in una pandemia che purtroppo non è finita, anche se le vaccinazioni appena cominciate possono farci almeno immaginare la luce in fondo al tunnel, si chiude sul piano politico come più sorprendentemente non si poteva immaginare. Si conclude col fantasma di Aldo Moro conteso da entrambi i protagonisti dello scontro politico che sembra ormai destinato a sfociare nella crisi: Giuseppe Conte e Matteo Renzi. L’ordine è solo alfabetico perché, in verità, a trascinare il fantasma nella lite è stato prima Renzi, nell’aula del Senato, e poi Conte, nella conferenza stampa di fine anno, come per ritorsione.
Renzi, parlando sul bilancio dello Stato che poi ha votato controvoglia, ha ricordato a Conte l’importanza che Moro attribuiva alla “verità” nel dibattito politico: la verità alla quale il capo attuale del governo
cercherebbe invece di sfuggire scansando o ritardando i chiarimenti, e confondendo fra pregi della “stabilità” e danni dell’”immobilismo”. Che tuttavia non impedirebbe a Conte, sempre secondo Renzi, di condannare il Paese, col suo originario Recovery plan, allo “sperpero” di quelle irripetibili e grandi risorse finanziarie messe a disposizione dell’Italia dall’Unione Europea per la ricostruzione e ripresa dalla pandemia. “Noi non ne saremo complici”, ha avvertito.
Conte gli ha in qualche modo risposto da una parte parlando della “parlamentarizzazione” della verifica ancora aperta, se dovesse sfociare in una crisi, anche per mettere alla prova la compattezza del partito di Renzi, e vedere se poterlo sostituire in qualche modo nella maggioranza con i “responsabili” provenienti dal centrodestra e da ex grillini, di cui scrivono i retroscenisti sui giornali. E dall’altra parte rinfacciando a Renzi un altro Moro, diciamo così, che lui naturalmente preferisce e al quale si ispira anche da corregionale, cioè da pugliese: quello che nel suo ultimo discorso politico da uomo libero, nel 1978, pochi giorni prima del tragico sequestro da parte delle brigate rosse, spiegò ai gruppi parlamentari della Dc che non si fa politica con gli “ultimatum”. Così invece farebbe Renzi.
Da vecchio e convinto estimatore e amico di Moro, pur riconoscendo che Renzi gli è più distante di Conte per stile, cultura e altro, in questo frangente politico lo si può considerare più vicino perché il compianto presidente della Dc prima del sequestro aveva gestito con fatica una crisi di governo per impedire, sia pure senza ultimatum, come ha ricordato il presidente del Consiglio, che la politica
della cosiddetta “solidarietà nazionale” col Pci di Enrico Berlinguer superasse i limiti ch’egli si era proposto. E che invece l’allora segretario della Dc ed amico Benigno Zaccagnini e Giulio Andreotti, presidente del Consiglio, erano disposti a superare aprendo le porte del governo almeno a due “indipendenti di sinistra” eletti nelle liste comuniste. Il Pci non doveva e poteva superare invece in quelle circostanze l’appoggio esterno al monocolore democristiano, né porre veti alla conferma di alcuni ministri scudocrociati particolarmente e politicamente invisi alle Botteghe Oscure come Carlo Donat-Cattin e Antonio Bisaglia. Che infatti furono entrambi confermati ai loro posti, anche a rischio di riportare la crisi in alto mare.
Ora l’argine che Renzi sta cercando di costruire è nei rapporti con i grillini, già troppo determinanti nel governo, sino a immobilizzarlo, per lasciarli immutati.
o cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica per essersi distinti in casi di “impegno civile e di dedizione al bene comune”. Ai 36 italiani di nascita o di adozione selezionati al Quirinale meriterebbe di essere aggiunto proprio lui, il premiante presidente Sergio Mattarella. Che si appresta a firmare e promulgare entro domani, pur di evitare il cosiddetto esercizio provvisorio, la legge di bilancio che il Senato sta licenziando con la procedura della fiducia nello stesso testo approvato domenica scorsa dalla Camera, anche lì con la procedura iagulatoria della fiducia. Ma si appresta a farlo -temo, facendo storcere il naso a fior di costituzionalisti- anche dopo l’ultimo errore che ha dovuto ammettere il governo, colto in flagranza di pasticcio dalla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati.
quelli del
Fatto Quotidiano, secondo i quali Conte si sarebbe consultato col “regista” del Pd Goffredo Bettini ed avrebbe deciso di prendere praticamente per le
corna quel rompistacole di Renzi, anzi d mandarlo letteralmente a quel posto con un “Vaffanculo” acronimo di qualcosa da opporre al “Ciao”, anch’esso acronimo, di un documento predisposto da Renzi per contestare la politica del governo. Tanto, al Senato ci sarebbero già dissidenti del centrodestra e dello stesso partito renziano sufficienti a garantire comunque la fiducia.
ammorbidito, se non cambiato, i grillini sul versante del sovranismo anti-europeo, lo ha invitato, in una intervista al Corriere della Sera, a chiarire finalmente ciò che non si è ancora capito dopo più di due anni di governo: che idea egli abbia dell’Italia e di quali obiettivi assegnarle per i prossimi cinque o dieci anni.
inteso come acronimo
di un contropiano proposto dall’ex presidente del Consiglio per la gestione dei fondi europei della ripresa ispirato a “cultura, infrastrutture, ambiente e opportunità”, ma apparso a molti, in questa fine d’anno ambivalente per il governo, come un saluto, anzi un commiato, non passando ormai giorno senza che le due ministre e il sottosegretario del nuovo partito renziano non preannuncino o minaccino le dimissioni e la crisi. La famosa verifica della maggioranza -ricordiamolo- è cominciata ma non ancora conclusa.
state spinte troppo in avanti per essere fermate. Stavolta la mossa di Renzi, che non ha voluto
aspettare il pur prenotato intervento al Senato sul bilancio del 2021 da approvare in tutta fretta per evitare il cosiddetto esercizio provvisorio, assomiglia più allo scacco matto che ad una mossa del cavallo, per stare all’immagine della scacchiera altre volte usata dall’interessato.
a Sabino Cassese per una impietosa analisi della “manovra” da 40 miliardi in via di approvazione a Palazzo Madama, ancora più negativa di quella dell’Ufficio parlamentare del Bilancio, appare un po’ riduttivo il titolo del Corriere della Sera alle notizie di giornata su Renzi e sugli sviluppi della già ricordata verifica.
“E ora si teme per il governo”, dice questo titolo. Soltanto adesso ? Ma sono ormai giorni e settimane che Renzi scala la crisi, pur fingendo a volte di volere scalare addirittura il rilancio del cosiddetto Conte 2 o di concedere al presidente del Consiglio una terza esperienza a Palazzo Chigi, in condizioni naturalmente diverse da quelle acquisite grazie anche all’emergenza virale.
di un’alleanza elettorale col Pd, accetta di mettersi alla testa del pur malmesso, turbolento e incasinato Movimento 5 Stelle e lo riporta al 30 per cento dei voti, e anche oltre, del 2018 in uno scontro elettorale solitario contro tutti e tutto, usando la minacciata intenzione di Mattarella di reagire ad una crisi al buio col ricorso alle elezioni anticipate, anche in pieno inverno e con la campagna di vaccinazione in corso. Che peraltro si sta già rivelando più complicata ancora del previsto, con le solite polemiche, i soliti ritardi
e la solita confusione, per quanto sotto il presidio, stavolta, addirittura delle Forze Armate. Temo, per lui, che il “ciaone” di Conte sollecitato o sognato da Travaglio sia quanto meno prematuro.
tra sofferenza e speranza nell’alleanza con i grillini da lui fortemente sostenuta- il Bilancio dello Stato che la Camera ha appena approvato non è per niente “un lavoro positivo” di cui compiacersi. Dal Senato non possono certamente aspettarsi miglioramenti nei tre giorni che gli sono stati lasciati a disposizione per ratificarlo, naturalmente con le stesse procedure brevi della fiducia adottate a Montecitorio.
Sergio Mattarella – “solo nella tempesta”, ha titolato su di lui lo spagnolo El Pais- firmerà in tutta fretta, al massino dolendosi delle circostanze in cui gli è nuovamente capitato di farlo. E la Corte Costituzionale girerà la testa dall’altra parte, pur avendo ammonito a suo tempo le Camere ad affrontare con più tempo e serietà una scadenza del genere.
una trentina di dipendenti, un presidente e due consiglieri nominati dai presidenti delle Camere, scegliendoli tra una decina di nomi proposti dalle Commissioni Bilancio a maggioranza dei due terzi, più un collegio di revisori di altre tre persone, più ancora un comitato scientifico di una ventina di esperti. La sua formazione risale al 2014, in attuazione della legge costituzionale del 2012 con la quale fu reso obbligatorio il pareggio.
del Seminario. Dove, per intenderci, lavora anche il Comitato di Sicurezza della Repubblica, che vigila sui servizi segreti. Tanta forma, diciamo così, meriterebbe altrettanta sostanza e considerazione: non certo l’indifferenza opposta dal governo a questo organo di controllo dei conti dello Stato.
contro il tempo- questa confidenza agli amici: “L’esperienza del Conte 2 per me è già archiviata. Se volete, discutiamo sul dopo”. E ancora: “Dovrei nascondermi su Marte se cambiassi idea”. Infine, giusto per non bruciarsi alle spalle proprio tutti i ponti: “Certo, dare la fiducia a un Conte 3 mi costerebbe”. Ma sarebbe comunque un altro governo, che il presidente del Consiglio dovrebbe negoziare con i suoi attuali alleati, a cominciare da Renzi. Non sarebbe certamente una compagine ministeriale con Renzi all’opposizione e Silvio Berlusconi, per esempio, nella maggioranza o direttamente o indirettamente, con un bel po’ di cosiddetti responsabili in buona parte provenienti dalle sue parti e in qualche modo prestati a Conte.
professionismo politico negato solo a parole. Proprio oggi in una lettera sempre al Corriere della Sera l’ex presidente del Consiglio si è mostrato tutto proteso perché “i liberali”, che ritiene di rappresentare, anche se con meno voti “di quanti vorremmo”, possano “tornare al ruolo di guida della coalizione di centrodestra”.
Travaglio. Che, sempre schieratissimo con Conte, ne ha oggi celebrato “la vetta” nei sondaggi, contro il “flop dei 2 Matteo”, Renzi e Salvini. E ha preannunciato “pulizie di fine anno” di
la quale -ha detto- “ci riprenderemo le nostre libertà e torneremo ad
abbracciarci”, il suo amico, “garante”, “elevato” e quant’altro Beppe Grillo diffondeva dal blog “personale” un video, peraltro assai scadente anche di qualità, oltre che di contenuto, per irridere sostanzialmente a tutta l’operazione. Del resto, sono arcinote le tradizioni culturali, diciamo così, di Grillo contro le vaccinazioni, per quanto corrette una volta dall’adesione ad un documento molto apprezzata dal pur “rivalissimo” Matteo Renzi. Che cominciò a fidarsene sino a portarne il movimento nella maggioranza e al governo l’anno scorso.
di Giuseppe Conte naturalmente- è diventato un problema per il Paese, nonostante gli sforzi di realismo che ogni tanto cerca di fare Luigi Di Maio guadagnandosi gli elogi persino del professore berlusconiano e mancato premio Nobel per l’economia Renato Brunetta.
proposto di essere per il Paese. C’è chi lo fa capire, come Matteo Renzi, anche partecipando alla sua attuale maggioranza, e avendo appena ottenuto una verifica non ancora conclusa. C’è infine chi fa sforzi sovrumani per non farlo capire ma ogni tanto si tradisce con battute o comportamenti, come il segretario del Pd Nicola Zingaretti. Ma quanto potrà durare ancora questa storia?
anche all’estero, per quanto in crisi anch’essa come tutta l’editoria- abbiano voluto tirare un colpo mancino all’inquilino di Palazzo Chigi allungando in qualche maniera l’ombra dell’ex presidente della Banca Europea sui precari equilibri politici del momento, nascosto sotto i panni e la barba di Babbo Natale.
hanno ridotto l’autonomia a vantaggio del potere giudiziario o hanno dilatato a tal punto i poteri locali da compromettere il governo del Paese- non ha potuto non procurare una scossa quell’immagine della “mangiatoia delle vanità” contrapposta da Papa Francesco alla mangiatoia dell’umiltà e, insieme, sacralità in cui nacque Gesù.
di Giuseppe Conte, che galleggia sulla paura delle elezioni anticipate da parte di chi sa di uscirne comunque indebolito, cioè tutti dopo il taglio cosiddetto lineare dei seggi parlamentari, e sulla crisi identitaria, oltre che elettorale, dell’ex ormai partito di maggioranza -quello grillino-uscito dalle urne del 2018. Tutto il resto è chiacchiera.
già non sia. Non a caso Mattarella si è premurato di riceverlo nei giorni scorsi al Quirinale, come ha appena rivelato Massimo Franco sul Corriere della Sera, per verificarne personalmente i malumori. È chiaro che ormai, per
quanto Conte abbia cercato nel salotto televisivo di Bruno Vespa di apparire teso a “sminare” la situazione, come hanno scritto sul Fatto Quotidiano, quanto più sopravviverà
questo governo, magari anche rimpastato, tanto meno dureranno l’Italia Viva del senatore di Scandicci e i suoi gruppi parlamentari, già
sottoposti ad un certo logoramento. Cui Renzi reagisce non indietreggiando ma insistendo negli attacchi, come ha fatto nel salotto televisivo di Myrta Merlino.
a suo spese Enrico Letta proprio di questi tempi, negli ultimi giorni della sua unica e breve esperienza a Palazzo Chigi. Che era cominciata addirittura all’insegna delle cosiddette larghe intese, dopo l’improvvida scommessa di Pierluigi Bersani sui grillini, nel 2013, per un governo, pensate un po’, di “minoranza e combattimento”.
dei suoi riti o esercizi di
con la garanzia di Luigi di Maio
che “per noi c’è solo Conte”, anche se altri gli hanno attribuito e gli attribuiscono ancora sentimenti o ambizioni diverse, ma soprattutto con retroscena su un “pressing del Colle” al quale Renzi si sarebbe “arreso” ritirandosi dalla crisi.
a disposizione dell’Italia per l’emergenza pandemica, e a Renzi di stare attento “alle discese e alle curve” in cui evidentemente sarebbe impegnato
dopo avere esaurito la o le scalate. C’è da dire che da corridore provetto, che alla sua età percorre ancora un bel po’ di chilometri quasi al giorno, Prodi s’intende di cadute applicabili alla politica. Basta pensare ai suoi due brevi governi di cosiddetto centrosinistra -non uno solo- caduti a dieci anni di distanza, fra il 1998 e il 2008, nelle curve delle discese impostegli dalle componenti più agitate della maggioranza, o dalle disavventure giudiziarie del suo guardasigilli Clemente Mastella.
dall’interno del Pd, in una
intervista al Riformista. ha mostrato una certa inedita indifferenza alle sorti del governo, tenendo più alla necessità che il suo partito si riprenda “il popolo”. Vasto programma, avrebbe detto il compianto generale De Gaulle.