Il Corriere “processa” Conte per la ritardata emergenza Covid nel Bergamasco

            Anche perché un po’ gli assomiglia nel viso e in certe pose televisive, mi ha subito intrigato l’editorialista e più Paolo Mielivolte direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli nelle vesti di Alfred Hitchcook alle prese con gli aspetti oscuri, gli “imbarazzi” e le “domande lecite” sulla condotta del governo, e del presidente del Consiglio Giuseppe Conte in particolare, durante la fase più calda e pericolosa dell’emergenza virale, nei primi giorni di marzo.  

            Nel “fondo” che gli ha in gran parte dedicato Mieli sul più diffuso giornale italiano Conte se l’è cavata abbastanza bene sulla parte che pure è sembrata ultimamente più rischiosa delle polemiche che lo hanno investito: la decisione di confinare -traduzione in italiano del lockdown propinatoci da giornali e televisioni- tutta l’Italia e non solo quella del Nord consigliatagli dal comitato tecnico-scientifico con documenti che si è poi inutilmente cercato di non diffondere.

            Apparterebbero al “senno di poi”, notoriamente inutile, le polemiche sui danni ingiusti, e ingenti, che avrebbe subito il Sud con un blocco che poteva essergli risparmiato attenendosi alle indicazioni degli scienziati e specialisti pur evocati a difesa di tante altre decisioni annunciate di notte a Palazzo Chigi e tradotte in decreti presidenziali esenti da ogni passaggio parlamentare. Il governo si mosse, secondo Mieli, in modo “adeguato”.

             I “governatori” meridionali, di centrodestra ma anche di centrosinistra, si mettano quindi l’anima in pace e la smettano di fornire argomenti o di inseguire Matteo Salvini negli attacchi quotidiani al presidente del Consiglio. Del quale il leader leghista non ha ancora digerito il processo fattogli l’anno scorso nell’aula del Senato come vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno dal professore che sino a qualche settimana prima lo aveva assecondato, sino a posare con lui davanti ai fotografi per festeggiare i decreti di sicurezza sfornati prima dal Viminale e poi da Palazzo Chigi.

            Quello che invece Mieli-Hitchcock non perdona a Conte, e in qualche modo neppure al ministro della Sanità Mieli.jpegdall’ottimistico cognome di Speranza, è il ritardo di due giorni o poco più, fra il 3 e il 5 marzo, nel recepimento dell’allarme rosso lanciato dal comitato tecnico-scientifico su “Alzano, Nembro e praticamente tutto il bergamasco”. “E’ lecito domandarci -chiede Mieli, facendo un po’ concorrenza a quei magistrati che si occupano proprio di questa vicenda- come possa accadere che con un’emergenza del genere trascorrano quarantotto ore prima che un’informazione di importanza primaria, vitale, giunga all’attenzione dell’uomo che è alla guida del Paese” e che poi si prende qualche altra  ora per rifletterci sopra? Bella domanda.

 

 

 

 

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Dario Franceschini contraddetto dalla moglie nel giudizio politico sui grillini

Non so, francamente, se fra i più convinti ma di sicuro fra i più esposti nel Pd a favore del carattere non tattico ma strategico dell’alleanza di governo con i grillini, estendendola quindi il più possibile in periferia, il ministro Dario Franceschini ha qualche motivo più di altri per riflettere sull’intervista rilasciata al Corriere della Sera dalla giovane moglie Michela Di Biase. Che lui conobbe, innamorandosene, come lei stessa ha voluto precisare per smentire di averne ricavato chissà quali vantaggi politici, quando era già capogruppo del Pd in Campidoglio, prima di essere eletta al Consiglio regionale del Lazio.

Come capogruppo capitolina del Pd la signora si era già guadagnata dai colleghi di partito e da altri la qualifica dell’”anti-Raggi” per la puntigliosa denuncia -ha ricordato- delle “storture” della sindaca grillina. Che con un coraggio pari, secondo me, alla temerarietà ha Virginia Raggi.jpegappena confermato di volersi ricandidare l’anno prossimo, nonostante Beppe Grillo in persona avesse cercato nei mesi scorsi di dissuaderla dicendo, o facendo scrivere in rime romanesche ad un amico sul suo blog, che i cittadini della Capitale non la “meritano”.

“Daje”, ha detto invece adesso il fondatore, garante, “elevato” e quant’altro del Movimento 5 Stelle arrendendosi anche lui -temo-al caos in cui si è trasformato quello che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte l’anno scorso, dopo il dimezzamento subìto nelle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo rispetto ai voti del 2018, definì generosamente “il travaglio” politico e identitario del partito che lo aveva portato a Palazzo Chigi.

“Mi dispiace -ha detto la signora Franceschini al Corriere– che Raggi non voglia fare un’operazione verità su se stessa e l’operato della giunta. Non so come faccia ad affermare che i conti sono Di Biase al Corrierein ordine, visto che non si presenta all’approvazione dei bilanci come socio Ama, l’azienda municipalizzata” forse più invisa ai romani, oltre che più dissestata, per i rifiuti che sovrastano e impuzzolentiscono la città. Dove ci sono “quartieri interi” -ha raccontato l’ex capogruppo del Pd in Campidoglio- in cui la spazzatura non è stata raccolta per 40 giorni di seguito”.

Per fortuna della Raggi l’intervistata dal Corriere né di suo né stimolata dalle domande ha parlato delle condizioni delle strade e del traffico a Roma. Dove la sindaca ha appena assicurato che entro la scadenza del suo mandato avrà fatto “sistemare 780 degli 800 chilometri di strada” del territorio comunale. Peccato che alla fine dell’operazione -lo scommetto- saranno moltissimi i romani convinti di vivere e di muoversi nei 20 chilometri mancanti della bonifica immaginata dalla sindaca uscente.

Dalla sua postazione attuale del Consiglio regionale del Lazio, dove pure il Pd  con Nicola Zingaretti nella doppia veste di segretario del partito e di “governatore” ha un rapporto abbastanza buono con l’opposizione grillina. Michela Di Biase ha indicato i pentastellati come “i capponi di Renzo che si beccano tra di loro” e la Raggi in Campidoglio contemporaneamente “eterodiretta” dal suo movimento, che infatti quasi si vantò all’inizio del mandato di averla “commissariata”, ed “egoriferita”, cioè accentatrice e impegnata Manifeso su Raggi.jpega “pensare a se stessa”, ridotta ormai su facebook a “festeggiare cose ordinarie come l’accensione dei lampioni”, o a raccontare balle come quella degli “autobus che vanno a fuoco per colpa del Pd”. O a riproporsi sindaca per evitare che tornino a mangiare quelli di prima, cioè i piddini, non rendendosi conto che ormai non c’è più neppure “la tavola” a cui sedersi per come le cose sono state ridotte in Campidoglio. Non ha evidentemente torto il manifesto a parlare della Raggi come di un rischio capitale con un felice gioco di parole e immagini su tutta la prima pagina.

In questa situazione così degradata è comprensibile che la signora Franceschini, anagraficamente anche  più fresca della Raggi con i suoi 39 anni contro i 42 della sindaca, si sia sentita  tentata dall’idea prospettale dall’intervistatrice del Corriere, pratica di politica come Monica Guerzoni, di partecipare alle primarie prospettate dal grande consigliere o suggeritore di Zingaretti, che è Goffredo Bettini, per trovare il candidato o la candidata da contrapporre per il centrosinistra alla Raggi. Ma la signora  parteciperebbe alle primarie “non certo per vedere l’effetto che fa”, secondo le parole della giornalista prese da una “celebre canzone”.

La partecipazione della signora Franceschini alla gara del Campidoglio sarebbe vera, con buona pace -penso- anche di quelli del Fatto Quotidiano che hanno appena attribuito alle primarie di Bettini il machiavellico progetto di lasciare uscire dalla consultazione interna al Pd, vista la indisponibilità sinora annunciata da pezzi da novanta come Enrico Letta e Domenico Sassoli, un somarello, o una somarella, da eliminare dalla partita nel primo turno. Così arriverebbero al ballottaggio il candidato o la candidata del centrodestra e una Raggi da fare ingoiare all’elettorato di sinistra in chiave antileghista o anti-destra, intesa più in generale.

Sarebbe un po’ la ripetizione dello schema di gioco della crisi di governo dell’estate scorsa: accettare il governo con i grillini, senza neppure la discontinuità in Campidoglio,  come a Palazzo Chigi, pur di non darla vinta allo schieramento dove la Lega continua ad essere la forza trainante, pur tallonata dai fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Che peraltro a Roma è gia forte di suo, e lo sarebbe ancora di più se accettasse di candidarsi direttamente a sindaca.

In fondo neppure al Fatto Quotidiano debbono credere davvero, con o senza l’arrampicatura sugli specchi La Cattiveria sulla Raggi.jpegdi Bettini, alla partita capitolina della Raggi se le hanno dedicato la “cattiveria” di giornata sulla prima pagina paragonando alla “seggiovia” da lei proposta a Roma per collegare due parti peraltro vicinissime della città al tunnel appena lanciato dal presidente del Consiglio Conte come alternativa al ponte sullo Stretto di Messina.

 

 

 

Pubblicato sul Dubbio

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