Il fatto di avere come ministro degli Esteri Luigi Di Maio, cui capitò -ma prima di arrivare alla Farnesina, va riconosciuto- di scambiare per venezuelano il defunto generale e dittatore cileno Augusto Pinochet, renderà probabilmente difficile allo stesso Di Maio tirare le orecchie al suo collega di partito, amico e sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano, peraltro arrivato in quel dicastero prima di lui, già nel governo gialloverde, per avere scambiato i libanesi per i libici. Ai quali il poveretto si è affrettato ad esprimere tutta la solidarietà sua personale e del governo, naturalmente, per le vittime e i danni delle esplosioni a Beirut. Egli si è trascinato appresso, via twitter, che dovrebbe cominciare ad essere inibito per ragioni di prudenza e di igiene a esponenti del Parlamento e del Governo, con tutte le maiuscole del caso, la collega di partito e senatrice Elisa Pirro.
L’ineffabile Di Stefano, un ingegnere informatico siciliano eletto in Lombardia alla Camera forse perché conosciuto in quella regione meno che nella sua di origine, ha cercato di cavarsela scherzandoci lui per primo sulla sua gaffe, a dir poco. E per fortuna non ha cercato di scusarsi dicendo di avere alla Farnesina solo “la delega”, come si dice in gergo tecnico per indicare le proprie competenze, dell’Asia: non quella dell’Africa o del Medio Oriente. Su cui quindi potrebbe sentirsi esentato da ogni obbligo di informazione.
Naturalmente il sottosegretario rimarrà stabilmente, fisso come un paracarro, al suo posto alla Farnesina in questo secondo governo Conte e forse anche in quello successivo, se ce ne sarà un terzo: cosa che in questa Italia dalle enormi ma nascoste risorse e sorprese potrebbe anche accadere. Eppure sarebbe bello se qualcuno cadesse nella tentazione, nei piani alti della politica e soprattutto delle istituzioni, di farne un caso per nobilitare questa estate che promette così poco di buono.