Miracolo al Fatto Quotidiano: la Pm contestata conserva intatto il suo nome

Miracolo al Fatto Quotidiano, il cui direttore Marco Travaglio è tornato di persona, con tanto di editoriale dal misurato titolo, tutto sommato, delle “sentenze preventive”, sulla procuratrice aggiunta Titolo Travagliodi Bergamo Maria Cristina Rota. Alla quale sono state  contestate, in particolare, le dichiarazioni rilasciate addirittura al Tg3, almeno una volta caro a certa sinistra manettara, dopo avere interrogato per un paio d’ore il “governatore” leghista della Lombardia Attilio Fontana, ma anche altri.

            Il torto della magistrata d’accusa sarebbe stato e sarebbe naturalmente quello di essersi “bevuta” -ha scritto Travaglio- la lettura fontaniana delle leggi secondo cui avrebbe dovuto essere il governo e non la Regione a chiudere come “zone rosse” nei mesi scorsi i Comuni di Alzano Lombardo e Nembro, nel Bergamasco, per i troppi contagi da coronavirus.

            Il miracolo sta nel fatto, minuscolo, che Maria Cristina Rota, a dispetto delle abitudini di Travaglio, ha conservato intatti nell’editoriale i suoi nomi e cognome, pur con tutte le occasioni cui Travagliosi prestavano per essere storpiati nella foga della polemica. Ha conservato anche  il diritto di essere chiamata solo “la signora” nel momento in cui le è stata contestata la lettura o l’interpretazione delle leggi in vigore, che avrebbero dovuto indurla a dare torto al “governatore”. Il quale, ascoltato come persona informata dei fatti, al plurale, si sarebbe meritato da un altro procuratore quanto meno un sospetto di “falsa testimonianza”.

            Meno male che “la signora”, pur meritevole di un intervento della Procura Generale per “l’avocazione” di una pratica alla quale evidentemente non si sarebbe preparata a dovere, ha avuto l’accortezza in qualche modo confortevole per TravaglioTravaglio 2 di precisare che le indagini, vista la loro “complessità”, saranno “lunghe”. Abbastanza lunghe -deve essersi augurato Travaglio- da fare cambiare idea alla stessa procuratrice aggiunta di Bergamo e di restituire serenità e  fiducia al presidente del Consiglio e ai ministri interessati. Che debbono avere raccolto le dichiarazioni televisive della magistrata con la stessa sorpresa e disapprovazione del direttore del Fatto Quotidiano. Di cui il meno che si possa dire è che al momento è il giornale più filogovernativo sulla piazza, prontissimo a fare le pulci ai quotidiani più diffusi che si permettono ogni tanto di avanzare critiche o di esprimere soltanto qualche preoccupazione per i provvedimenti faticosamente partoriti dall’esecutivo e per le precarie condizioni della maggioranza giallorossa. Dove le tensioni sono generalmente più  numerose delle ore di una sola giornata.

Mario Draghi: il più osservato, il più atteso, forse il più temuto

Chi c’è stato, fra i 46 “magnifici” selezionati per ascoltare nel salone di Palazzo Koch le “considerazioni finali” del governatore della Banca d’Italia, mi ha assicurato che quel centinaio di occhi super aperti, nonostante l’ingombro delle mascherine e le distanze di sicurezza imposte da questi tempi di coronavirus, vagavano solo fra tre obiettivi.

             Uno era naturalmente il governatore Ignazio Visco, non foss’altro perché stava di fronte a tutti. L’altro era il presidente del Senato, o la presidente, Maria Gilet arancioni a MilanoElisabetta Alberti Casellati per Casellatiil colore vistosamente arancione della mascherina scelta per l’occasione: arancione scomodamente uguale ai gilet di protesta nelle piazze dei sovranisti dell’ex generale dei Carabinieri Antonio Pappalardo. L’altro ancora, seduto in prima fila al penultimo posto a destra, era Mario Draghi. Che peraltro dispone nel palazzo di via Nazionale, a poche centinaia di metri dal Quirinale, di un ufficio messogli a disposizione come governatore Draghi in Banca d'Italiaemerito, essendo stato al posto di Visco per sei anni, prima di diventare presidente della Banca Centrale Europea. Dove  ha lasciato, da par suo,  il segno salvando praticamente la giovane moneta comunitaria dalla crisi che minacciò di travolgerla otto anni fa.

            Anche gli occhi di Visco quando si alzavano dal testo delle considerazioni finali cadevano più frequentemente su Draghi che su altri. E al pari degli altri, forse, anche se tutti smentirebbero se fossero interpellati sul problema, pensando più a quel che “Super Mario”  potrebbe diventare che a quel che è stato.

            Che cosa, in particolare, potrebbe diventare Draghi lo sanno ormai anche i marciapiedi di Roma: più che il successore di Sergio Mattarella al Quirinale fra meno di due anni, come Scalfariha mostrato oggi di desiderarlo Eugenio Scalfari su Repubblica, il successore ben prima di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi per un governo di emergenza e solidarietà nazionale imposto dagli effetti della crisi virale. Fra i quali ci sono i 13 punti in meno del pil, inteso come prodotto interno lordo, previsti da Visco e la fluidità, a dir poco, di un po’ tutti i partiti che contribuiscono agli equilibri politici nazionali, di maggioranza e di opposizione.

            Ormai, di questi partiti, come dimostra l’ultimo sondaggio di Nando Pagnoncelli per il Corriere della Sera,  non ce n’è più uno nettamente prevalente su tutti negli orientamenti dell’opinione pubblica. I maggiori sono distanziati gli Sondaggio Pagnoncelliuni dagli altri dai tre agli otto punti.  E se vi è un contrasto vistoso fra questi orientamenti e la distribuzione dei seggi parlamentari avvenuta con i risultati elettorali del 2018, nettamente favorevoli al movimento delle 5 stelle, questo è un ulteriore elemento di debolezza del quadro politico. Che è solido, attorno a quel movimento, prima con una maggioranza gialloverde e ora con una maggioranza giallorossa, solo in apparenza, come in una facciata di cartone. Dietro la quale lo stesso Scalfari domenica scorsa, pur volendolo ancora al suo posto oltre l’autunno, ha descritto il povero Conte impegnato a guadagnarsi “giorno per giorno” l’appoggio di ciascuno dei partiti della maggioranza, “soprattutto” del movimento grillino. Che pure a Palazzo Chigi lo portò nel 2018 e lo impose alla sinistra l’anno dopo, nel cambio di coalizione.

            Consapevole di tutta quest’attenzione su di lui, un po’ forse compiaciuto ma un po’ anche spaventato, visto che gli toccherebbe malvolentieri un’eredità difficilissima da gestire, Draghi è stato il primo ad arrivare venerdì nel salone di Palazzo Koch, evitando l’arrivo fra gli ultimi, che si nota sempre di più, ed è stato fra i primi a lasciarlo.

 

 

 

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