Come al Fatto Quotidiano trattano Sergio Mattarella e congiunti scomparsi

              Relegata a pagina 10 nella sua rinnovata veste grafica col riconoscimento del “diritto di replica”, e senza la qualifica dell’autore, che è l’avvocato Antonio Coppola, legale della famiglia del presidente della Repubblica, una lettera ha Il Fatto su Mattarellanuovamente messo a nudo, come tre anni fa, il singolare modo del  Fatto Quotidiano di trattare il capo dello Stato e i suoi congiunti purtroppo morti, incapaci materialmente di difendersi da soli, e direttamente.

            In particolare, l’avvocato Coppola, come aveva già fatto esattamente il 24 maggio 2017 a proposito del medesimo materiale -altro che “inedito”- del Consiglio Superiore della Magistratura adoperato dal Fatto Quotidiano  in occasione della ricorrenza della strage mafiosa di Capaci, costata Mattarella uccisola vita a Giovanni Falcone, alla moglie e a quasi tutta la scorta, ha protestato contro il tentativo di usare una deposizione dello stesso Falcone a quel consesso per rappresentare due edizioni, diciamo così, del compianto Piersanti Mattarella. Che da presidente della regione Sicilia fu assassinato sotto casa il giorno della Befana del 1980, in auto.

            Secondo quella deposizione, fatta nell’ottobre del 1991 per difendersi dai sospetti odiosi di non avere saputo o voluto indagare abbastanza a fondo su quel delitto e su altro ancora, Piersanti Mattarella era sollevato e orgoglioso di essersi “sbarazzato” dei voti a lungo raccolti dal padre, Bernardo, nel collegio  trapanese di Castellammare del Golfo. Diversamente dal genitore, egli si sarebbe  fatto votare via via di più in un’altra parte dell’isola, di minore densità mafiosa: non proprio un elogio, direi, per il padre. Che era stato un autorevolissimo esponente della Democrazia Cristiana siciliana e nazionale, iscritto al Partito Popolare di don Luigi Sturzo già nel 1924 e ministro, nella cosiddetta prima Repubblica, di governi come quelli di Alcide De Gasperi e  di Aldo Moro.

            L’avvocato Coppola è tornato a ricordare al Fatto –ripeto, come tre anni fa- che Piersanti Mattarella non ripudiò un bel niente del padre perché non gli capitò mai di candidarsi, a nessun livello, nel Trapanese, ma sempre e solo a Palermo.

            Come ha risposto Il Fatto con le iniziali di Antonio Massari, autore dell’articolo rievocativo della deposizione di Falcone, nella replica alla “doverosa” pubblicazione della lettera dell’avvocato? Come tre anni fa, senza quindi far tesoro del precedente passaggio: invitando in pratica l’avvocato a prendersela col compianto Falcone. Che ritenne nel 1991 di raccontare quello che gli aveva riferito un avvocato -Antonino Sorgi, padre dell’editorialista della Stampa Marcello- che stimava molto e che gliene aveva parlato evocando parole e pensieri raccolti dall’amico Piersanti Mattarella poco tempo prima della  morte.

            Fra tre anni o anche prima si replicherà, viste le abitudini del Fatto, ma anche l’ostinazione con la quale giustamente Sergio Mattarella difende la memoria dei suoi congiunti rappresentata con curiosa coincidenza in modo  alquanto approssimativo, a dir poco, ogni volta che il presidente della Repubblica è chiamato a gestire passaggi politici particolarmente difficili per il Paese. Non scrivo altro e di più perché a buon intenditore dovrebbero bastare poche parole.

Bonafede canta “Come prima, più di prima” al Ministero della Giustizia

            Ingenuo e un po’ anche sadico, lo ammetto, mi accingevo a godermi lo spettacolo del ministro grillino della Giustizia RepubblicaAlfonso Bonafede costretto dalle circostanze del palamavirus -cioè dalle intercettazioni di Luca Palamara- ad affrontare la crisi di una magistratura che “ha perso l’onore”, come ha titolato con un pur richiamino di prima pagina la Repubblica.

             Mi sembrava impostata ad una certa fermezza la decisione appena annunciata appunto dal guardasigilli di riportare in testa alle urgenze della giustizia la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura. Dove ci vuole Giannelliun bel coraggio a sostenere ancora -come ha fatto proprio su Repubblica un troppo indulgente, stavolta, Armando Spataro- che le correnti delle toghe hanno conservato la natura di “luoghi di aggregazione ideale e culturale”, e non siano invece diventate terreni per scorribande di potere e commistioni politiche. Così le ha giustamente immaginate e rappresentate sulla prima pagina del Corriere della Sera Emilio Giannelli nella vignetta dedicata appunto al Consiglio Superiore.

            E’ durata lo spazio di una notte, o quasi, l’illusione di un Bonafede deciso davvero ad applicare un po’ del suo giustizialismo, una volta tanto, anche ai magistrati, e non solo agli indagati di turno che per il solo fatto di essere sospettati di qualche reato dovrebbero dimettersi dalle cariche pubbliche che eventualmente ricoprono.  Al guardasigilli piace evidentemente la vecchia e popolarissima canzone “Come prima più di prima”, decollata con la voce di Tony Dallara più di mezzo secolo fa. Bonafede ce l’ha a sua insaputa riproposta decidendo di sostituire con un altro magistrato quello che ha appena dimissionato come suo capo di Gabinetto per averne scoperto il contagio incidentale da palamavirus.

            Non ho nulla di personale, naturalmente, per la degnissima persona di Raffaele Piccirillo, già passato per gli uffici del Ministero della Giustizia, e di cui il guardasigilli ha chiesto al Consiglio Raffaele PiccirilloSuperiore il ricollocamento fuori ruolo, come si dice, per spostarlo dalla Cassazione al posto di suo capo di Gabinetto. Mi chiedo se non fosse stata invece questa l’occasione buona per mandare un segnale di “discontinuità” rispetto all’abitudine di imbottire di magistrati i piani superiori, chiamiamoli così, del dicastero di via Arenula. Dove, volenti o nolenti, essi si trovano in condizioni di potenziale conflitto d’interessi. E fanno in quel Ministero il bello e il cattivo tempo ben più del titolare nominato dal presidente della Repubblica, fiduciato in Parlamento con tutto il governo e sfiduciabile dal 1996, per decisione della Corte Costituzionale, anche a titolo “individuale”.

            Dubito, francamente, dopo questa mossa che Bonafede voglia e possa andare molto lontano nel proposito dichiarato di cambiare pagina, come l’anno scorso disse del e al Consiglio Superiore della Magistratura anche il presidente Sergio Mattarella ai primi effluvi del caso Il FattoPalamara, e della gestione Travagllodelle nomine giudiziarie. Temo, piuttosto, che il guardasigilli finirà ancora una volta per riconoscersi nei giudizi di Marco Travaglio. Che ha appena avuto la disinvoltura, a dir poco, di attribuire sul suo Fatto Quotidiano graficamente rinnovato le cause del carrierismo sfrenato coltivato dalle correnti alla “controriforma” degli ex ministri della Giustizia Roberto Castelli e Clemente Mastella. Che avrebbero “gerarchizzato”, “questurizzato” e quant’altro le Procure della Repubblica demolendo l’autonomia dei sostituti procuratori e moltiplicando gli appetiti nelle corse ai vertici di quelli che sarebbero diventati “i riporti delle nebbie”. Stiano freschi con queste analisi.

Come Conte deve guadagnarsi “giorno per giorno” l’appoggio dei grillini

Sarà pure stato troppo generoso Eugenio Scalfari nell’attribuire a Giuseppe Conte prima una mezza discendenza politica dal conterraneo Aldo Moro, ucciso dalle brigate rosse nel 1978 quando poteva ancora dare molto al Paese, specie dalla postazione del Quirinale cui sembrava destinato, e poi l’appartenenza al filone politico del liberalsocialismo. Che non era stato, in verità, quello di Moro. Il futuro segretario della Dc fu attratto in gioventù dai socialisti ma rimesso bene in carreggiata dall’arcivescovo di Bari. E da democristiano ben solido fu protagonista delle stagioni del centrosinistra col Psi e infine della cosiddetta solidarietà nazionale col Pci di Enrico Berlinguer: cosa ben diversa, quest’ultima, dal “compromesso storico” che gli ho visto e sentito attribuire con avventata sicurezza anche nelle recenti celebrazioni del 42.mo anniversario della tragica fine.

Tuttavia devo riconoscere a Scalfari, a 96 anni compiuti, e a dispetto di tutte le sue crescenti ispirazioni filosofiche, poetiche e persino religiose che si avvertono nei suoi appuntamenti domenicali con i lettori di Repubblica, specie dopo l’amicizia maturata con Papa Francesco, la costanzaScalfari e la voglia -beato lui- di seguire le ingarbugliatissime cronache politiche della nostra Italia in tempi persino di coronavirus. E di seguirle con la capacità di cogliere l’istante più significativo di un passaggio o di una stagione: un istante equivalente, per chi ne scrive o ne parla, ad un aggettivo, ad un avverbio, ad un sostantivo, a due o tre parole, Che egli ha appunto scolpito nel suo editoriale di domenica scorsa per descrivere la posizione non felice, non comoda, non adeguata alle circostanze del Paese, in cui si trova Giuseppe Conte.

“Naturalmente -ha scritto del professore il fondatore e in qualche modo ancora vigilante della Repubblica, recentemente affidata dal nuovo e giovane editore John Elkann, erede degli Scalfari su ConteAgnelli, alla direzione di Maurizio Molinari- il suo governo incontra notevoli difficoltà. I partiti di centrodestra sono decisamente contro di lui e quelli di centrosinistra (in particolare i Cinquestelle) lo appoggiano giorno per giorno”. Eccole, le tre parole magiche, pari a uno scatto fotografico ben riuscito, fatto con polso fermo a dispetto del tremore spesso imposto a Scalfari dagli inconvenienti dell’età: giorno per giorno.

Questa è la frequenza con la quale il presidente del Consiglio è costretto dalla sua maggioranza -molto, ma molto più variegata di quelle di centrosinistra, con o senza trattino susseguitesi nelle varie edizioni, reali o immaginifiche, della Repubblica vera, non quella di carta- a guadagnarsi l’”appoggio”, come ha scritto Scalfari, degli alleati: “in particolare” dei Cinquestelle,  e non solo di quel corsaro che si diverte ad essere ogni tanto Matteo Renzi.

Il movimento pentastellato detiene ancora la maggioranza relativa in Parlamento conquistata con le elezioni del 2018, anche se virtualmente ha perduto quasi la metà di quella rappresentanza non dico nei sondaggi ma nei passaggi elettorali di vario livello, europeo e regionale, che si sono via via succeduti. Ciò gli ha procurato una crisi d’identità e di sopravvivenza, che produce problemi all’infinito. E che problemi, con che forza, visti i numeri parlamentari e i crediti che i grillini ritengono di avere maturato nei riguardi del presidente del Consiglio imponendolo per due volte: la prima a Matteo Salvini e la seconda al Pd di Nicola Zingaretti e ancora di Renzi, che nella scorsa estate reclamava nel passaggio da una maggioranza all’altra di segno opposto la famosa e cosiddetta “discontinuità”.

Non c’è questione, di politica interna o estera, giudiziaria o istituzionale, di economia o di scuola, di assistenza o di previdenza, di sussidi o di incentivi, di prestiti o di concessioni autostradali o d’altro tipo, su cui Conte non debba mediare non solo fra i partiti della maggioranza ma anche o soprattutto fra le varie anime .o come debbono essere chiamate le correnti del Movimento 5 Stelle. Che, in verità, a ben guardare, è sempre stato in condizione di “travaglio”, come dice Conte: sin da quando mancò l’obiettivo della maggioranza assoluta due anni fa.

Ma ora da cronica quella condizione è diventata acuta per il vuoto di potere creatosi  nel quasi partito con le dimissioni di Luigi Di Maio da capo e con la reggenza di Vito Crimi. E col garante, “elevato” e quant’altro, nella persona naturalmente di Beppe Grillo, che temo non abbia risolto per nulla il problema delle apnee notturne lamentato qualche tempo fa. O, se lo ha risolto, ne ha incontrati altri procuratigli proprio da un movimento per niente governabile, neppure con uno dei suoi applauditissimi richiami o anatemi, almeno una volta, sulle piazze e nei teatri.

Giuseppe Conte è in mezzo a questo guado, con la mascherina imposta anche a lui dall’emergenza di un coronavirus sempre subdolo e pronto a stenderci. Invidiarlo mi sembra impossibile.

 

 

 

Pubblicato sul Dubbio

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