A sorpresa, ma non troppo, Conte sabotato dai grillini in Parlamento

             E’ da manuale di sabotaggio ciò che i grillini sono riusciti a fare ai danni del governo, cui pure partecipano in modo non certamente defilato, dopo le comunicazioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte alla Camera sugli sviluppi dell’emergenza virale e sulle misure già adottate o in cantiere per fronteggiarla e favorire la ripresa, ripartenza e quant’altro dell’Italia.

             Nel momento in cui è evidente quanto più sarebbe incisiva l’azione del governo se potesse contare su un rapporto costruttivo con le opposizioni, esplicitamente e finalmente invitate da Conte a dargli una mano, magari anche per allentarne la dipendenza dagli umori sempre imprevedibili dell’alleato Matteo Renzi, che ti fanno i grillini alla Camera? Colgono l’occasione Riccardo Ricciardidel dibattito sulle comunicazioni del presidente del Consiglio per provocare il centrodestra accusandolo, con un discorso di Riccardo Ricciardi, di amministrare, governare e quant’altro la Lombardia in modo così balordo da averne fatto la regione più colpita dal coronavirus. E di avere sperperato soldi pubblici, e privati, per allestire con la regia di Guido Bertolaso un ospedale inutile nell’area e struttura della Fiera di Milano.

          Il Fatto Quotidiano, non a caso affrettatosi a difendere l’intervento da piromane di Ricciardi, peraltro vice capogruppo, titolando Il Fattoin prima pagina sarcasticamente che la verità “non si può dire”, ha evidentemente seminato bene il terreno sotto le 5 Stelle, con tutte le maiuscole dovute al movimento o quasi partito fondato e tuttora “garantito” dal pur silente Beppe Grillo. Le sue campagne con frequenza ossessiva contro Bertolaso, sino a storpiarne il nome e a rinfacciargli anche l’udito indebolito dall’età, sono approdate nell’aula di Montecitorio come più clamorosamente non poteva accadere.

           L’effetto del discorso di Ricciardi sul centrodestra, senza distinzioni fra leghisti, fratelli d’Italia e forzisti berlusconiani, é stato dirompente E’ scoppiata in aula una bagarre conclusasi fortunatamente sul piano bagarre Camerafisico solo con la distruzione di un microfono. Anche dal Pd si sono levate proteste contro il “ricompattamento” dell’opposizione provocato dal deputato grillino e dai colleghi di movimento per nulla imbarazzati, e poi tornati alla carica al Senato, sempre dopo la cosiddetta “informativa” di Conte.

            Il Corriere Corrieredella Sera si è ottimisticamente posto il problema di “capire” quelli che ha definito “i teatrini politici” La Stampaazionati dai grillini. La Stampa ha protestato contro “la vergogna di quelle liti in aula”.

            Si ripropone più semplicemente la validità dell’aggettivo  “devastante” usato il giorno prima nell’aula di Palazzo Madama da Pier Ferdinando Casini per definire la difesa del guardasigilli grillino Alfonso Bonafede fatta per conto del gruppo 5 Stelle dal senatore Marco Pellegrini, impegnatissimo Bonafede 3a renderlo ancora più indigesto di quanto il ministro non fosse riuscito di suo a diventare all’esterno e persino all’interno della maggioranza. Le cui componenti critiche o perplesse alla fine, decidendo di votare contro le sfiducie proposte dalle opposizioni, hanno mostrato più “eroismo” di quello attribuito a Bonafede dal suo difensore per il solo fatto di avere avuto il coraggio di succedere a così tanti e disonorevoli ministri della Giustizia.

         Ah, cosa non darebbe Conte per non avere dietro o attorno a lui i grillini, o gran parte di loro. Non lo sapremo mai. E non ce lo confiderebbero né lo zio frate cappuccino, che mi sembra si chiami Fortunato, di nome e di fatto, o il suo maestro di diritto e di professione forense Guido Alpa.

 

 

 

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Quell’abbraccio troppo stretto di Renzi a Conte nel salvataggio di Bonafede

Della lunga e intrigante seduta del Senato che ha risparmiato il guardasigilli Alfonso Bonafede è più facile indicare le vittime che i vincitori perché, obiettivamente, le brutte figure hanno prevalso sulle buone. E ciò a cominciare dalle Binafede 2opposizioni, che sono riuscite a elidersi a vicenda con due mozioni di segno opposto impietosamente denunciato, col suo accento inconfondibile, dalla elegante senatrice altoatesina Julia Unterberger. Che ha pronunciato la sua dichiarazione di voto contrario affiancata non a caso da quella volpe di Pier Ferdinando Casini palesemente consenziente, pur avendo egli pronunciato nella discussione un discorso non proprio esaltante per il pur vincente ministro della Giustizia.

A Bonafede l’ex presidente della Camera aveva  contestato non tanto l’azione di governo rimproveratagli dalle opposizioni quanto la “difesa dissennata” riservatagli dal senatore pentastellato Marco Pellegrini. Che lo aveva preceduto avvolgendo nell’”eroismo” il ministro,  giunto a quel posto dopo una lunghissima sequenza di inetti nella migliore delle ipotesi, di criminali nella peggiore.

Il centrodestra, per tornare all’opposizione, ha chiesto la sfiducia considerando Bonafede troppo poco giustizialista e severo con i detenuti, avendo lasciato uscirne un bel po’ per paura del coronavirus prima Boninodi intervenire con due decreti legge per riportarli dentro, o troppo poco, anzi per niente garantista secondo la senatrice Emma Bonino. Che è tornata a intitolare in aula la sua mozione a quella vittima emblematica della cattiva giustizia che fu Enzo Tortora.

Curiosamente -anche questo ha fondatamente sottolineato la senatrice altoatesina- i forzisti berlusconiani sono riusciti a dividersi nelle firme fra l’una e l’altra mozione derogando all’aurea contrarietà originariamente vantata alla sfiducia “individuale”, subìta per primo nel 1995 da un ministro della Giustizia ipergarantista come si rivelò Filippo Mancuso. Sarebbe stato forse opportuno, per Berlusconi e i suoi senatori, risparmiarsi la deroga e rimanere alla finestra.

Altre due vittime del passaggio parlamentare su Bonafede sono stati, per motivi diversi e persino opposti, Matteo Renzi e Giuseppe Conte. Il primo si è esibito come un acrobata, più che come un leader, annunciando e motivando il no alle mozioni dopo averle difese dalla “strumentalità” contestata dai grillini, dal Pd e dalla sinistra dei liberi e uguali.

Perché mai allora il capo di Italia Viva ha aiutato il guardasigilli a uscire indenne dalla seduta? Per fiducia, rispetto politico e quant’altro nei riguardi del presidente del Consiglio, ha spiegato Renzi ricordandone recenti aperture al suo partito e le dimissioni sostanzialmente minacciate, con la conseguente crisi, nel caso in cui Bonafede fosse stato sfiduciato.

Da una partita contro il guardasigilli e il suo movimento, prodigo peraltro di mozioni di sfiducia individuale contro i ministri del suo ormai lontano governo, fra il 2014 e il 2016, quella di Renzi è diventata pertanto una partita personale, per ora a buon fine, col presidente del Consiglio. Del quale -avrò sbagliato con quella malizia che Giulio Andreotti si perdonava dicendo che riusciva ad “azzeccarci”- mi è sembrato di cogliere sul viso, seduto ai banchi del governo in mascherina e con le dovute distanze di sicurezza antivirale, un certo imbarazzo.

Non a caso, forse Conte al Foglooper limitare la forza di quell’abbraccio metaforico, Conte ha poi rilasciato Conte al Fogliouna lunga intervista al Foglio proponendo “un patto con le opposizioni”: quasi  un cavalcavia sulla testa di Renzi.

Un altro imbarazzo sul volto di Conte l’ho colto  alla conclusione del discorso, per conto del Pd, del senatore Franco Mirabelli, difensivo di Bonafede ma fermo nel chiedere una “discontinuità”, finalmente, nella gestione della politica della giustizia dopo il lascito del precedente governo gialloverde. Cui Mirabelli  ha rimproverato anche la fine della prescrizione all’esaurimento del primo grado di giudizio, prima ancora di una riforma del processo penale per garantirne tempi certi e davvero “ragionevoli”, come vuole la Costituzione.

A proposito di quest’ultima, non dico che il passaggio parlamentare su Bonafede, per carità, l’abbia strapazzata al punto da fare inserire tra le vittime addirittura il presidente della Repubblica. Ma dubito, francamente, che si sia avuto molto riguardo per Sergio Mattarella fuori e dentro l’aula del Senato enfatizzando una crisi di governo nel caso di sfiducia pur individuale al guardasigilli.

Una crisi si sarebbe pur aperta se davvero il presidente del Consiglio si fosse dimesso sotto la spinta e la protesta dei grillini, di cui il guardasigilli è capo della delegazione al governo. Ma sarebbe stata tutta da vedere e verificare la reazione del capo dello Stato. Che avrebbe potuto prenderne atto e aprire le rituali consultazioni, ma anche decidere il rinvio del governo dimissionario alle Camere per mettere davvero alla prova la caduta del rapporto fiduciario fra il Parlamento e il governo, al di là della persona del guardasigilli.

D’altronde lo stesso Renzi, una volta terminata la seduta del Senato, in una intervista a Repubblica ha Renzi a Repubblicadetto che pur di evitare le elezioni anticipate “in questo Parlamento la maggioranza si forma in un quarto d’ora”. E’ ciò che avvenne già nell’estate scorsa, d’iniziativa dello stesso Renzi, dopo la caduta del governo gialloverde.

 

 

 

Pubblicato sul Dubbio

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