Evidentemente il troppo stroppia davvero, anche quando ci si mette il Papa. Che fino a quando ha pregato e benedetto Roma sotto la pioggia, da una Piazza San Pietro svuotata dalla paura e dalle misure di sicurezza contro il coronavirus, è finito giustamente su tutte le prime pagine dei giornali del mondo. Quando invece
Francesco si è rassegnato, concesso e quant’altro al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ricevendolo nella biblioteca del Palazzo Apostolico, è finito solo sulla prima pagina di Libero, ma solo per essere in qualche modo sfottuto col suo ospite, entrambi indisciplinati senza il metro di distanza prescritto o raccomandato in funzione anti-virus. E meno male che il Vaticano è un altro Stato, dove nessun vigile o poliziotto ha potuto metterci becco e tentare di elevare agli eccellenti una contravvenzione.
Per quanto montata dai telegiornali italiani, privati e pubblici, come l’evento della giornata, la ciliegina sulla torta delle curve in discesa del contagio virale, anche se con troppe bare ancora da accatastare negli ospedali per essere poi caricate sui camion militari e destinate alla tumulazione o cremazione chissà dove, l’augusta udienza concessa da Pontefice a Conte è stata letteralmente snobbata -ripeto- dalle prime pagine di quasi tutti i giornali. Persino su Avvenire, il quotidiano
dei vescovi italiani, bisognava cercare non la foto ma la notizia col classico lanternino nell’occhiello -come si dice in gergo tecnico- del titolo principale sulla “strada giusta ma dura” delle chiusure e dei vuoti disposti allo scopo di affamare il mostriciattolo che si aggira per aggredire i nostri polmoni.
La foto del giorno, rispetto alla quale tutto il resto “è rumore”, come ha gridato l’amico più stretto del pur devoto, a suo modo, Silvio Berlusconi sul Giornale di famiglia, è stata quella della benedizione dell’arcivescovo ambrosiano Mario Delpini all’ospedale di 250 letti, anche se contro i quasi 500 annunciati in un primo momento, realizzato in soli 14 giorni nella vecchia Fiera di Milano con la consulenza prestata gratuitamente al governatore leghista della Lombardia da Guido Bertolaso. O Bertolesi, come lo ha irriso Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano raccontandone i malanni fisici precedenti anche al contagio da coronavirus che ha costretto l’ex capo della Protezione Civile al ricovero, togliendo un letto del nosocomio San Raffaele a chissà chi, forse più bisognoso e meritevole di lui. Cui doveva bastare e avanzare il rifugio trovato in Sudafrica dopo le ingiuste disavventure giudiziarie patite in Italia prima di uscirne assolto.
“Miracolo a Milano” hanno titolato sul nuovo ospedale ambrosiano, con lo stile e quasi gli stessi caratteri del manifesto, i giornali del gruppo Monti Riffeser. Che da qualche tempo contengono anche la storica testata, milanese anch’essa, del Giorno. E’ stato un miracolo, in effetti, in un Paese
e persino in una regione come la Lombardia, dove l’ordinaria amministrazione è fatta solo di norme contraddittorie e paralizzanti, di ordinanze più di morte che di vita, di burocrazia asfissiante e di magistratura invasiva. Delle cui carte si è appena vendicato un incendio bruciandole purtroppo solo in parte, e risparmiandone abbastanza -hanno assicurato i solerti cronisti giudiziari- per fare soffrire ancora ingiustamente chissà quante persone con processi che ora potranno durare ancora più di prima, visto il perfido aiuto prestato da quel dannato coronavirus alla prescrizione di rito grillino introdotto come una supposta, tra le inutili proteste e preoccupazioni persino del Consiglio Superiore della Magistratura, nella cosiddetta legge spazzacorrotti. La promessa riforma del processo penale per garantirne davvero la ragionevole durata garantita dalla Costituzione è stata anch’essa contagiata dal virus dilagante.
il soccorso paradossalmente miracoloso che gli sarebbe stato prestato dall’esplosione dell’emergenza virale. Il presidente del Consiglio faticava in effetti nella composita maggioranza giallorossa a portare avanti la verifica programmata alla fine dell’anno scorso per mettere a punto addirittura “l’agenda 2023”: quella che avrebbe dovuto portarlo alla fine ordinaria della legislatura uscita dalle urne del 2018, scavalcando la scadenza istituzionale dell’elezione del successore di Sergio Mattarella al Quirinale, nel 2022.
o senza il governo o governissimo di vera unità nazionale immaginato, auspicato o temuto, secondo i gusti e i casi, sembra obbiettivamente avere più autorevolezza e carte da giocare, rispetto a Conte, sia per trattare e accordarsi sia per rompere
con la cancelliera tedesca Angela Merkel, e dintorni maschili e femminili, per la doppia prospettiva aperta dall’emergenza virale. Che è da una parte una Unione Europea non solo di nome o facciata, come adesso, ma anche di fatto, e dall’altra lo smontaggio o la demolizione di quel che ne resta, vista l’inadeguatezza dimostrata dai successori dei più generosi e avveduti fondatori, usciti personalmente dalla carneficina della seconda guerra con le piaghe sulla loro carne, per cui avvertirono il bisogno vitale di cambiare pagina.
dei giornali e dintorni di amici carissimi e validissimi come Massimo Bucchi. Che ha saputo descrivere ai lettori di Repubblica come meglio non si poteva “l’Europsia” con quei due polmoni -chiamiamoli del Nord e del Sud, dei falchi e delle colombe, dei virtuosi del Baltico e dei meridionali straccioni- minacciati entrambi dal contagio ma uno dei quali soltanto meritevole di soccorso e prevenzione.
spendendosi in un editoriale a favore del governo Conte contro “la benzina” e “il fuoco” di critici e avversari, peraltro incuranti del 71 per cento di gradimento recentemente assegnato al presidente del Consiglio dai sondaggi dell’istituto Demos, o del più modesto ma sempre rilevante 56 per cento di Ipsos. Che ha messo in concorrenza per la maglia nera della classifica il reggente pentastellato Vito Crimi, al 21 per cento, e il loquacissimo Matteo Renzi, al 13 per cento, pur sempre tre volte più dei voti potenziali del suo nuovo movimento.
della Campania Vincenzo De Luca, e infine le
conferme di un ordine pubblico in pericolo giuntegli dal Viminale diretto non da un politico a caccia di voti, come poteva essere sospettato ai suoi tempi recenti il “capitano” leghista Matteo Salvini, ma da una donna di Prefettura arrivata al vertice della sua carriera come Luciana Lamorgese.
Angela Merkel per decidere se usare la guerra del coronavirus per costruire davvero l’Europa nello spirito solidale e davvero comunitario concepito dai suoi predecessori o per affondarla con quel nome un po’ troppo ottimista datole chiamandola Unione.
della Commissione di Bruxelles Ursula Von der Leyen, poi ridimensionata, e in risposta alle poche domande di giornalisti questa volta ammesse in teleconferenza- di non voler “passare alla storia” per uno che si è piegato al vento stavolta del Nord d’Europa, non d’Italia. Ma fra il dire e il fare, si sa, di solito c’è di mezzo il mare.
una certa delusione per le comunicazioni del capo del governo sull’emergenza virale e per il dibattito che n’è seguito in Parlamento, se ha ritenuto opportuno tornare
sull’argomento con un suo inatteso messaggio televisivo. Che è peraltro arrivato immediatamente dopo il toccante appuntamento di preghiera del Papa con la piazza deserta di San Pietro e la benedizione con indulgenza plenaria.
D’altronde, che sul problema cruciale del rapporto col centrodestra in periodo di emergenza le cose non fossero state per niente chiarite nel dibattito prima a Montecitorio e poi a Palazzo Madama, lo aveva denunciato il senatore Pier Ferdinando Casini parlandone al Corriere della Sera. Cui aveva aveva detto, con allusioni a grillini, piddini e quant’altri, se non a Conte in persona, che “è fuori dal mondo” chi si ritiene autosufficiente con la maggioranza giallorossa realizzatasi nella scorsa estate.
Il quale, pur avendo “apprezzato la puntualità” della “descrizione dei provvedimenti del governo”, aveva osservato: “Avrei avuto piacere anche di poter cogliere una visione di prospettiva”. E aggiunto: “come ha fatto Draghi” nel suo intervento sul Financial Times, a molti apparso propedeutico, volente o nolente, alla formazione di una maggioranza e di un esecutivo, prima o poi, di quella vera e propria unità nazionale più volte evocata
dal presidente della Repubblica da quando è esplosa l’emergenza virale. Altro che “la blindatura di Conte” vista nelle parole televisive e intenzioni di Mattarella dal giornale di Marco Travaglio.
Palazzo Chigi il prestigio internazionale e le competenze, il più esplicito è stato il già ricordato senatore della maggioranza, ed ex presidente della Camera, Casini nell’intervista al Corriere della Sera. Eccone le parole: “Sarà il presidente della Repubblica a decidere il percorso. Certo, io penso che le persone che hanno più credibilità difficilmente possano rifiutare la chiamata della patria”, chissà perché al minuscolo nel testo del Corriere.
o dalle manovre politiche che lo candidano alla guida di un governo di unità nazionale in Italia per la gestione dell’emergenza virale, se questa dovesse aggravarsi anziché ridursi. O, nel caso di un fortunato superamento dell’epidemia, per la gestione dell’emergenza recessiva che le sopravviverà, quando bisognerà riparare i danni e ricostruire
economicamente, socialmente e persino istituzionalmente l’Italia. I cui limiti costituzionali, legislativi e burocratici sono impietosamente emersi in queste settimane, dopo tante riforme inutilmente attese o improvvidamente affondate, come quella del 2016 targata Renzi, che avrebbe potuto quanto meno definire meglio i rapporti fra competenze, poteri e quant’altro dello Stato e delle regioni.
alla fine del suo lavoro a Francoforte, sia interessato o disponibile all’avventura di Palazzo Chigi. Ma va detto, con onestà, che l’ex presidente della Banca Centrale
Europea, anche per il tipo di giornale scelto per il suo intervento, potrebbe avere voluto solo spendere il suo peso o prestigio per spingere a livello internazionale verso una ulteriore e decisiva integrazione del vecchio continente, mancando la quale in questa emergenza virale che non riguarda solo l’Italia, anche se per ora l’ha investita di più, rischiano di saltare davvero l’euro e l’Unione, già
indebolita dall’uscita
della Gran Bretagna. I contrasti appena confermati in videoconferenza fra i capi di governo, che hanno fatto titolare a Repubblica “La brutta Europea” e al manifesto “Una crepa nel muro”, sullo sfondo della porta berlinese di Brandeburgo, fanno venire i brividi.
su “Chiamate Draghi”- fa sognare gli oppositori o critici di Conte, come è emerso anche dai richiami appena fatti a lui nell’aula del Senato da Pier Ferdinando Casini e dai due Mattei -Salvini e Renzi- nella discussione sull’emergenza virale. Tremano invece i grillini, il cui ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha profittato della prima intervista a portata di telefono o microfono per liquidare come irrealistico e improponibile un governo diverso da quello attuale anche nello scenario economico e sociale terremotato dall’emergenza sanitaria. E il Pd di Nicola Zingaretti, Goffredo Bettini, Dario Franceschini e compagni o amici? A capirlo e saperlo davvero….
a Montecitorio dal capogruppo del Pd Graziano Delrio. Al Senato invece l’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini ha proposto, anzi riproposto, il ricorso ad una commissione parlamentare speciale e trimestrale per l’esame ma anche per la preparazione, rispettivamente, dei vecchi e nuovi decreti legge. Gli strumenti insomma non mancherebbero di certo. E le opposizioni si sono dette tutte disponibili a partecipare, pur senza “obbedire”, come ha avvertito la capogruppo di Forza Italia Anna Maria Bernini, o rinunciare al loro ruolo di critica, come ha riconosciuto giusto il capogruppo del Pd Andrea Marcucci parlando al Senato.
ha
ripetuto Renzi in persona al Senato, il ricorso ad una commissione parlamentare d’inchiesta, quando si sarà usciti dall’emergenza, per accertare cause e responsabilità di errori. Ma per adesso il partito dell’ex segretario del Pd sosterrà il governo con
presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati ha richiamato Perilli dicendogli di rivolgersi a lei, e solo a lei, come da regolamento. Ma l’importante per l’oratore grillino era avere rivendicato di fatto la trazione grillina del governo, per quanto grande sia notoriamente la crisi d’identità e d’altro ancora del Movimento 5 Stelle, fermo intanto come un paracarro, al pari della destra post-missina e della Lega, contro il ricorso al cosiddetto fondo europeo salva-Stati.
adottati e cercando di
anticipare quelli che seguiranno, non ha trovato il modo e il momento di coinvolgere le opposizioni. Eppure il Capo dello Stato si era speso perché, proprio in vista delle comunicazioni al Parlamento, e non solo delle prossime misure del governo, il presidente del Consiglio incontrasse a Palazzo Chigi una delegazione del centrodestra desiderosa di dialogo.
questo tipo, paragonabile ad una guerra, la sua pur martoriata maggioranza giallorossa. Se n’è mostrato compiaciuto il grillino Davide Crippa, che rappresentando il gruppo parlamentare più consistente è intervenuto per primo nella discussione. Egli tuttavia ha levato alla fine un monito al presidente del Consiglio: a non spingersi sulla strada europea, alla ricerca di aiuti, sino ad accettare il cosiddetto fondo salva-Stati.
che il governo deve delle “scuse” per i ritardi e le contraddizioni verificatesi, spingendosi a prospettare una commissione d’inchiesta parlamentare su ritardi e inconvenienti a vari livelli. Più che con Conte, l’ex ministra si è trovata d’accordo con le critiche del leghista che l’aveva preceduta, Guido Guidesi, parlamentare peraltro della cosiddetta zona rossa della Lombardia, apprezzato da Delrio.
neppure un centimetro di spazio in prima pagina. E neppure La Stampa, Il Secolo XIX, Libero, Il Mattino, Avvenire, Il Tempo, il Gazzettino, il manifesto, Il Riformista del mio carissimo amico Piero Sansonetti, Il Foglio, La Nazione e -temo- tutti gli altri giornali del gruppo Monti Riffeser, nonchè La Gazzetta del Mezzogiorno, forse distratta dalla notizia del dissequestro dei beni del suo editore Mario Ciancio Sanfilippo. Che è stato disposto finalmente e fortunatamente dalla Corte d’Appello di Catania dopo una rumorosa e dannosa misura preventiva di mafia
pagina, più o meno in vista, “il caso”- ripeto- di Guido Bertolaso la Repubblica, nel riepilogo dei fatti più significativi dal fronte dell’emergenza, Il Giornale, la Verità, Il Messaggero. Il Quotidiano del Sud e Il Dubbio.
per metterlo, diciamo così, tra gli indifferenti. Di Bertolaso o del suo caso al Fatto Quotidiano si sono occupati per due volte in prima pagina. Me ha scritto personalmente il direttore nell’editoriale, pur di attacco al solo Vittorio Feltri per il suo esasperato salvinismo, aprendolo con queste testuali parole, ironiche ma una volta tanto rispettose: “La Lombardia era perfettamente in grado di tirar su un ospedalino da 300 posti alla Fiera di Milano senza scomodare Bertolaso dal Sudafrica. Ma ora che Mister Wolf, più che creare posti letto, ne ha occupato uno, gli auguro sinceramente di guarire presto: sulla salute non si scherza”.
così: “Guido Bertolaso positivo al Coronavirus. Ora si cerca la massaggiatrice zero”. Che è un modo -ritenuto evidentemente spiritoso da quelle parti- di evocare e riproporre vicende giudiziarie dalle quali l’ex capo della Protezione Civile è tuttavia uscito assolto. Per completezza d’informazione aggiungo che al “positivo” e “isolato” Bertolaso -isolato prima di essere ricoverato in ospedale – è dedicato un articolo di cronaca quasi asettica a pagina 4.
combattere l’epidemia da Coronavirus. “Certo, anche sul Colle, dove sono state condivise le misure prese finora, alcuni tentennamenti di troppo e qualche scelta comunicativa di Palazzo Chigi non devono essere piaciute granché”, ha scritto o avvertito il quirinalista del Corriere della Sera Marzio Breda.
della marca di un aperitivo prodotto a Bruxelles ma del famoso Meccanismo di Sviluppo Europeo da tempo in attesa di firma, contrastato anche all’interno della maggioranza dai grillini per obblighi derivanti dal loro programma elettorale, sbandierato ogni giorno dal senatore non più grillino Gianluigi Paragone, espulso dal Movimento prima della guerra del Coronavirus fra le inutili proteste di solidarietà di Alessandro Di Battista, Dibba per gli amici come lui.