Per alcuni laudatori del governo Conte 2, assopitisi fra le promesse di una “nuova stagione” formulate dal presidente del Consiglio, i messaggi scritti e vocali di compiacimento da oltre Oceano e le foto del tuttora presidente del Pd Paolo Gentiloni accolto festosamente a Bruxelles dalla nuova presidente della Commissione Europea, che martedì gli assegnerà gradi e funzioni, deve essere stato amaro spulciando i giornali. Sul più diffuso dei quali, il Corriere della Sera, sono indicate col titolo di testa nella sanità e nei cantieri “le prime spine” dell’esecutivo
che deve peraltro ancora ottenere la fiducia delle Camere, soprattutto del Senato. Dove i numeri sono stretti e ballerini quasi come quelli del governo precedente gialloverde, e di altri ancora che proprio a Palazzo Madama sono caduti, come il secondo ed ultimo governo di Romano Prodi nel 2008. Difficoltà vengono indicate anche sulla prima pagina di Repubblica.
Lo stesso Conte viene rappresentato diviso sul Corriere della Sera fra il disappunto procuratogli dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio – che come capo della delegazione pentastellata ha riunito alla Farnesina i colleghi di partito e di governo preparando la complessa partita delle nomine dei sottosegretari, ma soprattutto esortandoli a far capire ai colleghi del Pd che si tolgano dalla testa di comportarsi come i leghisti che li hanno preceduti – e l’incognita costituita per lui da Matteo Renzi. Sul quale debbono essergli giunte notizie, voci e quant’altro che non lo hanno per niente tranquillizzato, per cui il presidente del Consiglio “ha deciso di cercarlo” direttamente, ha riferito sempre sul Corriere Francesco Verderami. E speriamo per lui, cioè per lo stesso Conte, che dall’ex segretario del Pd, ex presidente del Consiglio e ora “semplice” ma sempre temuto e imprevedibile “senatore di Scandicci” non gli arrivi la ormai famosa e poco incoraggiante esortazione a “stare sereno”. Essa costò notoriamente Palazzo Chigi all’amico di partito Enrico Letta, facendogli passare poi anche la voglia di restare a Montecitorio come deputato.
Sulla Stampa il già guardasigilli e ora vice segretario del Pd Andrea Orlando, rimasto volontariamente fuori dal governo forse per non contendere a Dario Franceschini il ruolo di capo della delegazione, cui l’ex ministro avrebbe avuto diritto per i gradi che ha nel partito, ha voluto far sentire alta e forte la sua voce avvertendo che la riforma della Giustizia predisposta dal ministro grillino Alfonso Bonafede “non va”. Ma, in verità, non andava neppure ai leghisti, anche se probabilmente per motivi diversi. In ogni caso, è un’altra spina, per dirla con il Corriere, per niente risolta o chiarita evidentemente nel programma di governo concordato nei giorni scorsi.
Il quadro non migliora se lo si contempla sfogliando un giornale come il Fatto Quotidiano, dichiaratamente impegnatosi durante la crisi a sostenere, con titoli, commenti, consigli e quant’altro, l’accordo di governo fra grillini e Pd scritto “nel destino”, da quando Beppe Grillo in persona tentò di iscriversi alla sezione piddina di Arzachena, il Comune sardo della Costa Smeralda nel cui territorio il comico genovese possiede una casa sfortunatamente finita in queste ore sulle prime pagine dei giornali per un’inchiesta giudiziaria sul figlio e alcuni amici alle prese a luglio con una modella.
Ebbene, il giornale diretto da Marco Travaglio ha scoperto e denunciato sulla prima pagina, con tanto di fotomontaggio e titolo da scatola di tonno, che i ministri del Pd all’Economia e ai Beni culturali, Roberto Gualtieri e il già citato Dario Franceschini, stanno riesumando nei loro dicasteri e dintorni “dinosauri”, di cui uno allontanato personalmente da Conte durante il suo primo governo. Non ne faccio i nomi perché non voglio neppure involontariamente prestarmi alla caccia alle streghe, per la quale non sono francamente, e per fortuna, attrezzato.
Se sono rose fioriranno, dice un vecchio adagio popolare. Per ora si vedono e si sentono “le prime spine”: parole- ripeto- del Corriere della Sera.
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