In un altro momento certe notizie relative al processo in corso a Palermo dal 27 maggio di quattro anni fa sulla presunta trattativa fra lo Stato e la mafia, nella lontana stagione delle stragi del 1992-93 avrebbero fatto un rumore enorme. Non sarebbero cadute nel sostanziale vuoto di questa volta.
Le notizie, in particolare, sono queste: la trascrizione, disposta a Palermo nello scorso mese di giugno e appena terminata, delle registrazioni delle conversazioni intercettate nel carcere di Ascoli Piceno tra l’ergastolano di mafia Giuseppe Graviano e il compagno d’aria Umberto Adinolfi, ergastolano di camorra, e il loro invio, da parte del pubblico ministero Nino Di Matteo, anche alle Procure di Firenze e di Caltanisetta. Che dovrebbero pertanto valutare se è il caso di riaprire le indagini sulle stragi di mafia di venticinque anni fa di loro competenza.
Di quelle stragi, a sentire Graviano, dovrebbe essere sospettato come mandante, un Silvio Berlusconi smanioso di entrare in politica e di riempire il vuoto lasciato dai politici spazzati via o miracolosamente sopravvissuti all’uragano giudiziario di Tangentopoli.
Non è la prima volta che magistrati d’accusa e giornalisti al seguito hanno cercato di tirare in mezzo Berlusconi in quelle stragi, non bastando né avanzando i sospetti e il processo in corso -ripeto- da quattro anni sulla trattativa che pezzi dello Stato, quanto meno, e vertici di mafia avrebbero condotto per fermare la mattanza accompagnatasi agli sconvolgimenti delle inchieste sul finanziamento illegale della politica. Sarebbe stata una trattativa che, a sentire o a raccogliere quei sospetti, avrebbe dovuto essere estesa addirittura all’allora presidente della Fininvest, se veramente le stragi avessero dovuto servire non solo a intimidire i governi in carica ma pure a spianare la strada al suo movimento politico.
Tutte le volte che la fantasia degli inquirenti togati e mediatici ha provato a costruire un simile scenario è tutto finito in archiviazione. Ma Graviano, benedett’uomo, ha riacceso speranze, dubbi e quant’altro, secondo i gusti, dicendo testualmente al co-detenuto Adinolfi: “Berlusca –cioè Berlusconi, come noi giornalisti siamo soliti chiamarlo da tempo con una confidenza che il boss mafioso si vanta di avere acquisito ben prima- mi ha chiesto questa cortesia…per questo è stata l’urgenza. Lui voleva scendere in politica, però in quel periodo c’erano i vecchi. E lui mi ha detto: ci vorrebbe una bella cosa”. Cioè, un bel po’ di attentati, perché una cosa – a proposito di cose- è partecipare alle elezioni politiche con uno slogan e un movimento da sport come Forza Italia, altra è poter vincere più speditamente in quello che Giuseppe Sottile ha sarcasticamente chiamato sul Foglio qualche giorno fa “un deserto di sangue e di paure”, notando peraltro la inquietante coincidenza fra queste rappresentazioni della presunta origine criminosa dell’impegno politico di Berlusconi e il suo ritorno da protagonista sullo scenario in vista delle elezioni dell’anno prossimo.
Stavolta però, come dicevo all’inizio, per quanto ascolto, almeno fisico, possano avere trovato gli eventuali dubbi di De Matteo nella commissione parlamentare antimafia che ha voluto recentemente ascoltarlo, non è eplosa né una bomba né un petardo mediatico. Neppure il giornale di Marco Travaglio, abitualmente sensibilissimo a certi temi e a certi protagonisti del mondo giudiziario, ha ritenuto di spendersi per riaccendere il fuoco dell’antiberlusconismo.
E’ la seconda rondine che ho visto e sentito volare nel giornalismo solitamente fiancheggiatore del giustizialismo. E’ la seconda dopo quella della mancata mobilitazione contro le indagini sulle indagini targate Consip. Che venticinque anni fa, ai tempi di Mani pulite e dei cortei che incitavano la Procura di Milano a far sognare i manifestanti di giorno e di notte, più ancora di quanto i magistrati non avessero già fatto facendo riprendere gli arresti dalle solerti telecamere, sarebbero state semplicemente inimmaginabili.
Tanto tempo non è forse trascorso invano. Meglio tardi che mai.
Pubblicato su Il Dubbio
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