Ridotti come ormai sono alla frutta, trattati persino sul Fatto Quotidiano come stalinisti adusi alla pratica delle epurazioni, evocate in particolare dal vignettista Vauro Senesi in difesa dei pentastellati dissidenti
sotto procedimento di espulsione, i cosiddetti governisti grillini si consolano arroccandosi nella difesa della prescrizione breve introdotta dall’ex guardasigilli Alfonso Bonafede. Che dall’anno scorso smette di essere conteggiata, cioè finisce, con qualsiasi sentenza di primo grado, anche di assoluzione, per cui la pubblica accusa ricorrente avrebbe un tipo infinito a disposizione per continuare a tenere sotto processo l’imputato.
In questo arroccamento i governisti -sempre loro, ma stavolta con la condivisione a sorpresa degli antigovernisti del già citato Fatto Quotidiano
con titoletti e commenti del suo direttore in persona, Marco Travaglio- manipolano la nuova ministra della Giustizia Marta Cartabia, ex presidente della Corte Costituzionale, attribuendole la difesa e il salvataggio della riforma Bonafede, chiamiamola così.
Il salvataggio sarebbe avvenuto, in particolare, con un ordine del giorno concordato in mezz’ora fra la Cartabia e gli esperti di tutti i partiti della nuova maggioranza che, rinviando il problema alla riforma
del processo penale, farà ritirare gli emendamenti al decreto legge sulle cosiddette mille proroghe, all’esame del Parlamento per la conversione, su cui renziani e forzisti puntavano prima della crisi dell’ultimo governo Conte per modificare subito la prescrizione breve in vigore -ripeto- da più di un anno.
Peccato per i governisti, ma anche per gli antigovernisti del Fatto che hanno deciso di coprirne bugie o illusioni, che la notizia diffusa sull’iniziativa della nuova guardasigilli sia semplicemente falsa nella sua parzialità. La faccia nascosta, diciamo così, dell’accordo strappato dalla Cartabia con quell’ordine del giorno che toglie la prescrizione dal convoglio delle mille proroghe è lo sblocco della riforma del processo penale ferma in commissione alla Camera da mesi per il rallentatore, chiamiamolo così, imposto formalmente dai problemi più urgenti imposti dalla lotta alla pandemia.
Ebbene, quella riforma adesso dovrà procedere, concedendo al massimo un altro mese, da marzo ad aprile, per la presentazione degli emendamenti, perché finalmente si traduca in termini precisi e vincolanti di legge la generica “durata ragionevole dei processi” stabilita nel 1999 da una modifica all’articolo 111 della Costituzione. A quel punto l’imputato avrà davvero una garanzia perché i processi decadranno col mancato rispetto della loro durata massima. E i magistrati che ne risulteranno responsabili dovranno ragionevolmente risponderne, se qualcuno non vorrà soccorrerli come
in passato è accaduto, di fatto, con la loro responsabilità civile. Che fu sancita a larghissima maggioranza nel referendum del 1987 e poi disattesa dalla legge ordinaria di disciplina del vuoto creatosi nel codice col risultato referendario.
L’epoca degli espedienti, dei trucchi, degli imbrogli, comunque li si vogliano chiamare, potrebbe finire davvero con l’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi e di Marta Cartabia al Ministero della Giustizia. E’ almeno augurabile.
Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it
di epurazioni sotto le 5 Stelle. Ai 15 senatori ribelli, che hanno negato la fiducia al governo di Mario Draghi e sono finiti con le loro foto su qualche giornale come ricercati, si sono aggiunti i 31 deputati grillini che li hanno imitati a Montecitorio. E sono 46, se sappiamo ancora fare di conto.
5 Sedie. Che
potevi nominare un partito diverso dal suo MoVimento senza procurargli il voltastomaco. Sentite: “Povero paese dove si discute di alleanze…Noi non ci alleiamo con nessuno…..La demolizione è cominciata, li mandiamo tutti a casa…..Sono io il garante contro la scilipolitizzazione della politica…..alleanze è una parola terribile….non faremo mai alleanze, né a destra né a sinistra….è un principio inderogabile….pensare che faremo alleanze è come pensare che un panda
presidente della Camera Gianfranco Fini. Che nei mesi precedenti aveva sfidato il Cavaliere a “cacciarlo” dal partito che insieme avevano improvvisato, ma dove l’ambizioso leader della destra aveva preso l’abitudine di condurgli una lotta sordida, sino a cinguettare contro di lui con qualche magistrato in pubblici incontri. In questi giorni Scilipoti è stato visto e sentito nei corridoi del Senato felice di Draghi come Grillo.
in questo tutto nel passato è stato Alcide De Gasperi, il cui compito di “ricostruzione” dell’Italia uscita a pezzi dalla seconda guerra mondiale è stato indicato come precedente o modello della ricostruzione del Paese devastato questa volta dalla pandemia. Ma anche dalla crisi dei partiti subentrata alla caduta delle ideologie e al sopravvento della magistratura -e che magistratura, viste le testimonianze e le denunce in corso di Luca Palamara- sulla politica.
non improvvisati in qualche salotto televisivo ma spesso formatisi nella clandestinità e in prigione per il loro antifascismo. L’antipolitica con
la quale egli dovette fare i conti fu quella del commediografo Guglielmo Giannini, che col suo fronte dell’Uomo Qualunque non voleva dalla politica “rottura di scatole”, secondo un famoso slogan, e si fermò nelle elezioni politiche del 1946 al 5,3 per cento dei voti, portando 30 deputati all’Assemblea Costituente. Nelle elezioni successive del 1948 era già sceso al 3,8 per cento. In quelle ancora successive del 1953, dopo avere tentato un aggancio con Palmiro Togliatti, che pure aveva sino al giorno prima definito “verme, farabutto e falsario”, Giannini finì candidato indipendente nelle liste della Dc nella sua Napoli, mancando il seggio E così avvenne nel 1958, sempre nella sua Napoli, ma nelle liste monarchiche di Achille Lauro.
come un fungo fra il 2013 e il 2018, sino a diventare il partito di maggioranza relativa, come la Democrazia Cristiana nella cosiddetta prima Repubblica e Forza Italia di Silvio Berlusconi o il Partito Democratico di Walter Veltroni e poi di Matteo Renzi nella seconda Repubblica, o forse anche terza, secondo i conti di alcuni politologi che si sentono già sulla soglia della quarta.
della Banca Centrale Europea ha dovuto ereditare nel suo governo un certo numero di ministri che Giannini non ebbe mai. Ed ha dovuto anche prestarsi ai loro spettacoli, a cominciare dalle secchiate di vernice verde rovesciategli addosso da Grillo in persona per coprire il colore nero precedentemente applicato all’uomo delle banche usuraie, dei poteri “forti” e affamatori del popolo e altre diavolerie del genere.
Fatto Quotidiano– il capogruppo dei grillini al Senato Ettore Licheri ha definito “vigile”, “attento” e non ricordo
come altro ancora l’appoggio della sua parte politica al nuovo governo, come se quella ai due governi precedenti di Giuseppe Conte fosse stata distratta o incauta. Ma, preso dalla foga del discorso, come un avvocato -quale lui è davvero- in un tribunale per difendere il cliente o un pubblico ministero per accusare l’imputato, Licheri ad un certo punto ha buttato il cuore e la parola oltre l’ostacolo e ammonito il presidente del Consiglio che tutto il gruppo 5 Stelle gli avrebbe “rotto le scatole”, testuale.
del presidente della
Repubblica accettando di formare il governo delle emergenze sanitaria, sociale ed economica, svincolato da ogni formula politica giù sperimentata in questa stranissima legislatura. Svincolato sì da ogni formula politica -avrà pensato l’ex presidente della Banca Centrale Europea- ma non dal buon senso. E obiettivamente, non essendosi svolta nell’aula di Palazzo Madama una festa goliardica, ha poco senso accogliere e fiduciare un governo promettendogli di rompergli le scatole. O votandogli una fiducia così sofferta da piangerci sopra, come la pentastellata Cinzia Leone.
indotto il capo dimissionario del governo Aldo Moro ed altri politici di primo piano a dormire per qualche notte fuori casa temendo un colpo di Stato; un uomo come Draghi, dicevo, e un governo come quello che gli è toccato di guidare meritavano un esordio parlamentare migliore. A dispetto delle distanze formali fra i 262 sì, i soli 40 no e i 2 astenuti proclamati dalla presidente dell’assemblea, occorreva un esordio, diciamolo pure, più serio nel comportamento della forza politica che è la maggiore di quelle rappresentate in Parlamento.
Zingaretti, orgogliosamente convinto di essere il vero perno del sistema, ingiustamente penalizzato nei numeri parlamentari, ha appena costituito un “coordinamento” o “intergruppo” a garanzia non si capisce bene, a questo punto, di che cosa.
allestito un “coordinamento” o “intergruppo”. Che ha mandato in brodo di giuggiole i nostalgici di Giuseppe Conte e si è proposto come il nucleo essenziale, pilota e quant’altro dell’esecutivo di “alto profilo”, di emergenza, di unità nazionale, svincolato da ogni formula politica precedentemente sperimentata in questa legislatura e indicato non da un passante davanti al Quirinale ma dal presidente della Repubblica in persona.
Movimento 5 Stelle cronisti e retroscenisti stanno contando da giorni quanti rifiuteranno la fiducia al nuovo governo e quanto potrà mancare ad una scissione, dopo tutte le uscite più o meno solitarie già verificatesi da quelle parti. Del Pd lo stesso capogruppo al Senato Andrea Marcucci, che ha firmato il documento di annuncio del coordinamento, ha recentemente esposto l’opportunità o la necessità di un congresso per chiarirsi le idee. Egli è inoltre sospettato di giorno e di notte di connivenza con l’odiato Matteo Renzi, che dovrebbe essere, ad occhio e croce, il principale avversario dell’intergruppo: quello che “irresponsabilmente” avrebbe interrotto la “magnifica” esperienza di Conte a Palazzo Chigi. Dei liberi e uguali, infine, basterà ricordare che Nicola Fratoianni, il segretario della componente “Sinistra italiana”, ha già annunciato il voto contrario al governo Draghi.
questo curioso passaggio, a poterlo spiegare, se mai lo avesse capito almeno lui. Non sarà un “governo ombra”, come ha spiegato ottimisticamente Federico Geremicca sulla Stampa, ricordando la
partecipazione dei coordinati al governo in carica, ma poco gli mancherà. Sarà quanto meno un’occasione continua di distinzione e di divisione dal resto della maggioranza. Sarà di fatto un boicottaggio al governo rispetto alle finalità assegnategli dal capo dello Stato. O sarà, secondo la funerea immagine del Foglio, il modo per “prendere le misure a Draghi”, come si fa col morto per allestirgli la bara.
Conte abbia “una sponda”, in attesa del ritorno per trasformare in realtà il quartetto del fotomontaggio pubblicato sulla prima pagina del
giornale di Marco Travaglio, cioè il mancato Conte 3. Che cosa non farei per essere una mosca e ascoltare e vedere le reazioni di Mattarella, costretto almeno in questa fase al silenzio in pubblico, avendo appena chiuso, per quel che lo riguardava, una crisi arrivata sul suo tavolo, peraltro, con un ritardo inaudito. Che gli ha quanto meno complicato il lavoro.
ormai celebre del ministro della Salute. Che, deluso per la
mancata nomina al posto del confermato Roberto Speranza, avrebbe indotto in errore, o a qualcosa che gli assomiglia molto, il titolare del dicastero facendogli ribloccare gli impianti sciistici, col consenso del presidente del Consiglio, come misura di sicurezza sanitaria nell’emergenza pandemica, mentre stavano per riaprirsi. E provocando a Draghi e alla sua “squadra” appena insediata “il grande freddo” su cui ha titolato il manifesto, o quella rovinosa caduta di Super Mario sugli scii immaginata da Makkox
sul Foglio, per non parlare della “rissa dei migliori” con la quale il solito Fatto Quotidiano si è affrettato a sfottere il governo di “alto profilo” voluto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
così, per esempio, al suo
ancora “delfino” Arnaldo Forlani detronizzandolo personalmente dalla segreteria della Democrazia Cristiana nel 1973, dopo avere svuotato il congresso alle porte in una riunione di capicorrente del partito disinvoltamente convocata nella sua residenza istituzionale di presidente del Senato, a Palazzo Giustiniani. La Quaresima di Forlani, pur intramezzata da incarichi di governo di prestigio, compreso un breve passaggio a Palazzo Chigi come presidente del Consiglio e uno più lungo come vice presidente con Bettino Craxi, durò ben 16 anni. Forlani infatti “risorse” come segretario del partito, ormai in rotta con Fanfani, solo nel 1989.
nevi tra leghisti e Ministero della Salute, e dintorni, scherza comunque col fuoco nelle condizioni di emergenza in cui si trova il Paese. E si illude, a dir poco, di potere accorciare un’altra Quaresima: quella di Giuseppe Conte, che è alle prese anche in veste di “federatore” e non so cos’altro col problema ormai cronico dei suoi amici o referenti grillini. E’ il problema della loro identità perduta, se mai ne hanno avuta una davvero.
piacere o dispiacere, secondo i gusti e le circostanze, a chi l’osserva nella sua nuova veste di presidente del Consiglio e ha fretta di giudicarlo?
secchiate Beppe Grillo per farlo piacere agli ormai eternamente divisi e inquieti militanti, portavoce e quant’altro del MoVimento 5 Stelle. A molti dei quali il “garante” ed “elevato” fondatore non riesce a far dimenticare gli insulti da lui stesso rovesciatigli addosso negli anni scorsi, quando forse l’allora presidente della Banca Centrale Europea era secondo, nella scala del disprezzo grillino, solo a quei giornalisti di cui il comico diceva che voleva mangiarli per provare poi “il gusto di vomitarli”.
partecipazione all’ultima
edizione del meeting di Comunione e Liberazione: quella in cui Draghi scaldò il cuore dei giovani proteggendoli dalla rovina cui sarebbero stati destinati con la pratica del debito “cattivo”. Cui si era sino ad allora abbondantemente ricorsi per impiegarlo in mance ed assistenza, anziché in investimenti produttivi.
l’occasione della temporanea disoccupazione, diciamo così, di Draghi chiamandolo a far parte della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali.
all’Italia dei 209 miliardi di euro dei fondi comunitari della ripresa per toglierli dalla disponibilità di Giuseppe Conte e passarli all’ex presidente della Banca Centrale Europea. “Quei miliardi -ha scritto Fini- facevano gola” sin dal primo momento “a molti, banchieri, finanzieri, persone irreprensibili perché vestono in giacca e cravatta e pranzano all’ora di pranzo e cenano all’ora di cena”: mica quel disordinato ma “non moralmente corruttibile” Conte, abituato all’ora di cena non a mangiare ma a diffondere conferenze stampa e altri messaggi al popolo pendente dalle sue labbra.
punto come “pantografi sostanzialmente quello precedente e tenga insieme tutti, il diavolo e l’acqua santa, però con la decisiva esclusione di Conte (oltre che, per ovvi interessi berlusconiani, di Bonafede)”. Nessuna parola di comprensione o condivisione è stata spesa purtroppo per le lacrime sfuggite all’uscita da Palazzo Chigi al portavoce Rocco Casalino.
che “a pensar male si faccia peccato, ma ci si azzecchi quasi sempre”. Eppure del “divo Giulio” il pur esigente Fini ha dovuto riconoscere, testualmente, che “per competenza, conoscenza dell’Italia, sia in senso storico che amministrativo, intelligenza, arguzia e stile sta cinque spanne sopra i nani di oggi e in qualsiasi altro paese europeo sarebbe stato un grande uomo di Stato, ma in Italia ha dovuto essere una sorta di ircocervo, metà uomo di Stato e metà, forse, delinquente”.
Quotidiano, e dove sennò? – comincia a tirare la corda e fare il suo sordido lavorio per abbattere Conte”, facendo “gola quei miliardi a molti banchieri, finanzieri, persone irreprensibili perché vestono in giacca e cravatta, pranzano all’ora di pranzo e cenano all’ora di cena”. E vanno spesso a messa da buoni cattolici, come fa pure il direttore del Fatto Marco Travaglio, al quale l’irriverente collaboratore ha rimproverato di non avere mai avuto dubbi sulla sua “fede”, di non avere mai riflettuto “sulla potenza” assunta “negli ultimi decenni in Italia” da
un “cattolicesimo che non ha nulla a che vedere col cristianesimo, cioè coll’affascinante borderline di Nazareth”. “Adesso -ha concluso Fini- abbiamo uno Stato prigioniero dell’ipocrisia cattolica, dei catto-boy scout, dei catto-banchieri, l’unica vera e sola Santissima trinità”. Gli so
no subito andati dietro
sullo stesso Fatto il buon Fabrizio d’Esposito dando a Draghi del “chierico vagante” e il giornale debenedettiano Domani del “gesuita” e del “tecnico ignaziano”, da Ignazio di Loyola, naturalmente.
male si fa peccato, ma ci si azzecca quasi sempre”, Fini aveva scritto del compianto esponente del cattolicesimo italiano come dell’uomo “che per competenza, conoscenza dell’Italia, sia in senso storico che amministrativo, intelligenza, arguzia e stile sta cinque spanne sopra i nani di oggi e in qualsiasi altro Paese sarebbe stato un grande uomo di Stato, ma in Italia ha dovuto essere una sorta di ircocervo, metà uomo di Stato e metà, forse, delinquente”.
golpemania, come dicevo all’inizio, col super-odiato Silvio Berlusconi, convinto di essere stato defenestrato da Palazzo Chigi nel 2011, pure lui come Conte in questo 2021, con un colpo di Stato.
Enrico Letta, che gliela passò
frettolosamente a Matteo Renzi volendo manifestare il più chiaramente possibile il fastidio, quanto meno, procuratogli da quel canzonatorio invito alla “serenità” formulatogli nei giorni precedenti da chi stava lavorando per succedergli, è stato un po’ di conforto il ritorno alla normalità col passaggio emblematico delle consegne a Palazzo Chigi fra l’ormai ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il nuovo, Mario Draghi.
pure l’applauso di commiato dei dipendenti di Palazzo Chigi, dalle finestre delle loro stanze o corridoi, al Conte in uscita con la fidanzata Olivia, rigorosamente ed elegantemente avvolta in un cappotto nero.
dalla lontanissima e fatale isola di Sant’Elena. La solerzia gioca sempre brutti scherzi. Infatti Marco Travaglio in persona ha sognato il governo Draghi- ribattezzato Draganella non so se fargli fare rima più con la maschera goldoniana dell’astuto Brighella o con la mafiosità dei Bagarella siciliani- come quello post-napoleonico della “restaurazione” a Vienna, con tanto di indumenti e maschere d’epoca.
bianco così titolato: “Aveva un così alto profilo che nessuno riusciva
a inquadrarlo”. Ma va detto che, una volta tanto smarronando pure lui, cioè facendo prevalere il dileggio sulla satira o sullo scherzo, Emilio Giannelli sul Corriere della Sera è stato ancora più pesante e specifico sistemando nella sua vignetta il ministro veneziano in prima fila e facendolo sfottere, sempre sul tasto dell’”alto profilo”, personalmente da un Draghi a colloquio col presidente della Repubblica.
eletto quasi tre anni fa, e che ha prodotto altrettanti governi. Dall’ultimo dei quali naturalmente, al contrario dei “ribelli” grillini, ma forse anche di quelli che più realisticamente hanno preferito il potere all’opposizione, abbiamo il diritto -stavo per dire il dovere- di aspettarci qualcosa di assai diverso. E ciò a cominciare dall’esordio parlamentare per la fiducia, fra qualche giorno.
gli auguri a Draghi scusandosi per “l’impegno molto gravoso” chiestogli con l’incarico e la nomina a presidente del Consiglio. E ciò, ricordiamolo, nel pieno di tre emergenze -sanitaria, sociale ed economica- che non potevano certo essere gestite da un governo paralizzato come si era ridotto il secondo di Conte, o
da una lunga e rischiosa campagna elettorale in tempi di pandemia. “Grazie, di auguri ho bisogno”, ha risposto Draghi. “Crepi il lupo”, ha poi detto lo stesso Draghi ai fotografi che, sotto la pioggia, gli avevano gridato: “In bocca al lupo, presidente”. Per fortuna al Fatto Quotidiano non li hanno subissati di insulti per il loro presunto “lecchismo”. Né avevano più il tempo di inchiodarli a qualche corsivo.
con i brividi. Sulla stessa Repubblica, d’altronde, pur con spirito opposto allo stupore critico del Fatto Quotidiano, di equilibrio e non di dileggio, Stefano Folli ha dedotto dalla lista dei ministri mista di tecnici e politici, ma di prevalenza politici
sul piano numerico, che quello formato da Draghi “non è un governo esplosivo e rivoluzionario. Non è un governo che abbaglia. O che soddisfa -ha scritto sempre Folli- tutte le attese, davvero troppe, che si erano create” col “desiderio diffuso di assistere a un totale rivolgimento di persone e di attitudini, come se stessimo per entrare in una nuova era”. Ma qualcosa, via, è cambiato. E davvero.