Riporto un breve passo dal libro “Spillover” di David Quammen, Adelphi, 2014. L’autore è un giornalista scientifico che ha lavorato sul campo assieme ad epidemiologici, virologi e medici in occasione di diverse endemie, virali e batteriche, che si sono succedute dal 1994 in varie parti del mondo. Il testo si riferisce all’endemia da corona virus SARS-CoV-1, verificatasi nel 2003 in Asia ed altre parti del mondo:
“I sintomi della malattia respiratoria, indotta dal virus SARS-1, diffondendosi per via aerogena, compaiono prima che il contagio raggiunga il massimo dell’infettività, e non dopo. Questo permise la diagnosi precoce di molti casi che furono isolati. o ricoverati prima che grandi quantità di virus venissero disperse. Tale comportamento ebbe enorme importanza nell’epidemia. Gli infettati in genere stavano troppo male per andarsene in giro, vi fu un alto tasso di infezione secondaria nel personale sanitario. L’influenza ed altre malattie si comportano in modo opposto: il picco di infettività precede l’insorgere dei sintomi di qualche giorno. Solo per questo motivo potemmo congratularci per l’efficacia delle contromisure. La storia avrebbe altrimenti avuto esiti più tragici. E’ ipotizzabile che la prossima grande epidemia, il cosiddetto big-one, si conformerà al modello perverso dell’influenza e potrà spostarsi da una città all’altra sulle ali degli aerei, come un angelo della morte.”
Ora, noi tutti siamo in un “big-one” da SARS-CoV-2. Io ritengo che il sistema sanitario, di cui ho fatto parte, si è fatto trovare impreparato ad inizio anno, nonostante la conoscenza particolareggiata dell’epidemia in Cina. Adesso continua a farsi trovare impreparata. La campagna vaccinale anti influenzale è in condizioni critiche. Pure la campagna capillare di tamponi (individuare gli infettati asintomatici e sintomatici) è in condizioni critiche.
Abbiamo un esercito dotato di professionalità e strutture sanitarie. Si possono affidare ad un generale i mezzi e l’autorità di perseguire questo scopo in breve termine ? Questo non è un problema di privacy e libertà negate. Questo è un problema di salute pubblica. Ogni singolo cittadino deve avere tutelata la propria salute.
Bisogna sapere:
1) La mascherina chirurgica serve per bloccare l’emissione da bocca e naso del virus di cui potremmo essere portatori inconsapevoli. Non è una protezione significativa nei confronti del materiale emesso oppure aerosolizzato dalle fonti di contagio. Questa ulteriore protezione è necessaria per coloro che lavorano nelle strutture sanitarie. Portare tutti la mascherina chirurgica vuol dire collaborare a bloccare il contagio, quindi a vantaggio di tutti e nello stesso tempo. Voglio dire che fumare, cantare, ballare, mangiare, all’aperto e/o senza distanza e necessariamente senza mascherina, sono attività utili per diffondere il contagio. Se vogliamo una misura di protezione individuale dalla fonte di infezione, dobbiamo isolarci o essere perennemente distanziati.
2) I test per gli anticorpi contro il SARS-2 non sono affidabili perché la risposta immunitaria al virus è variabile da soggetto a soggetto e compare a settimane di distanza dal contagio e/o malattia (Infectious Diseases Society of America – https://bit.ly/33qSjK2 Clinical Infectious Diseases, online September 12, 2020). Questi test servono solo per studio diagnostico in casi clinici complessi e per valutazioni statistiche da parte degli istituti per l’igiene pubblica.
3) I tamponi sono test che cercano direttamente il materiale virale. Pur non essendo molto sensibili (Fang Y et al. Sensitivity of chest CT for COVID-19: comparison to RT-PCR. Radiology 2020; 200432. In Press.), consentono di individuare, in misura ancora significativa, le persone contagiate per isolarle/curarle.
Salvatore Damato*
*professore associato di malattie respiratorie. salva.damato@libero.it
scuole e la ministra grillina del settore, Lucia Azzolina, sostenuta da tutto intero -una volta tanto- il suo movimento, protesta reclamando riunioni, sconfessioni e quant’altro. E ancora di più si dimena quando la informano che il segretario del Pd Nicola Zingaretti non critica ma “comprende” la scelta del suo collega di partito e omologo della Campania, essendo lo stesso Zingaretti anche governatore della regione Lazio, peraltro limitrofa. Ebbene, c’è voluto un vignettista -Stefano Rolli sul Secolo XIX- per spiegare alla signora ministra inviperita che se “il virus non si prende a scuola”, come lei grida appendendosi a dati e quant’altro, “non è un buon motivo per portarcelo”.
Camera la riforma sul voto ai 18enni per il Senato. Il Pd a Conte: ora un chiarimento di maggioranza ai massimi livelli. Palazzo Chigi teme l’implosione M5S”. Che non è l’acronimo sbagliato dell’estinto Movimento Sociale Italiano ma quello vero del MoVimento 5 Stelle di Beppe Grillo fondatore, garante, “elevato” e non so cos’altro ancora, nato per essere liquidamente di protesta e refrattario a diventare solido come un partito normale, e per giunta di governo.
del Meccanismo europeo di stabilità, o fondo-salva Stati. Da cui potremmo prendere in prestito decennale più di 35 miliardi di euro a tasso vicino allo zero per potenziare il sistema sanitario e indotto messi a durissima prova da un’epidemia che sta per farci importare dalla Francia il coprifuoco, e ci obbligherà forse a chiuderci a chiave in casa a Natale: davvero, non per qualche scherzo del vignettista Sergio Staino sulla Stampa.
Travaglio nel dispositivo, diciamo così, della sua sentenza: “Il Mes, oltre a non servire a una mazza, non ha più neppure alcuna convenienza”. Questo Travaglio rischiamo di trovarcelo governatore della Banca d’Italia, cacciando a calci nel sedere quello in carica che ha recentemente sollecitato pure lui l’uso di quella linea europea di credito.
incontro conviviale al Quirinale con un rinfrancato -pure lui- presidente della Repubblica
in vista del Consiglio Europeo. Cui il presidente del Consiglio è in grado di partecipare senza l’inconveniente, diciamo così, di una sconfitta parlamentare dimostrativa della crisi latente in cui da tempo vive una maggioranza assai composita. Il cui principale partito o movimento, quello delle 5 Stelle, è diviso tra governisti e antigovernisti, sull’orlo di una scissione.
supplire alle assenze di colleghi della maggioranza impediti dal virus. E per i quali bisognerebbe decidersi a ricorrere al “voto a distanza”, cioè telematico, ha detto il senatore, peraltro costretto a votare ieri “in uno sgabuzzino” collegato al sistema elettronico per le condizioni in cui si lavora a Palazzo Madama, rispettando le distanze imposte dal rischio di contagio.
e “un ritardo pazzesco”, perché “il problema non è soltanto quello di fare la caccia al miliardo, ma avere progetti concreti e credibili”. Senza i quali -ha avvertito il senatore e professore- rischiamo di “perdere soldi o farli arrivare in ritardo” dall’Europa.
intervista al Corriere della Sera, aveva raccontato di essersi sentito indicare e raccomandare come obiettivo dal professore Marcello Pera: l’ex presidente del Senato tra i fondatori e/o ispiratori di Forza Italia, da tempo deluso dai risultati dell’azione politica di Silvio Berlusconi. Cui, pur continuando a stimarlo e volergli anche bene, e concedendogli tutte le attenuanti del caso, a capo di una coalizione composita e in un sistema istituzionale ingessato da decenni di abusi, ritardi e quant’altro, rimprovera di essersi fatto prendere anche lui la mano da pratiche non proprio o non interamente liberali.
finissimo, “assai ambigua, un po’ leninista, come ambiguo era il pensiero di Gobetti”. “La mia formula -ha detto- è partito liberale di massa”, al minuscolo, almeno come glielo ha attribuito l’intervistatore. E’ una formula uguale a “vent’anni fa”, quando “noi avevamo un’agenda per il governo dell’Italia” – ha detto Pera alludendo anche agli altri professori dei quali Berlusconi si circondò per “scendere in politica”. Così annunciò con linguaggio sportivo mentre i vecchi partiti di governo della cosiddetta prima Repubblica venivano decimati dalle Procure e il principale dell’opposizione usciva solo con qualche ammaccatura dalla tempesta giudiziaria chiamata “Mani pulite”.
ad un Berlusconi tentato ma non ancora deciso a sposare la politica, trattenuto da familiari, amici e dipendenti che temevano contraccolpi sulle sue aziende, a cominciare da quelle televisive. E ciò per via dei suoi notissimi rapporti con la preda maggiormente inseguita dalle Procure e dai loro coristi: Bettino Craxi. Di cui addirittura si favoleggiava che si fosse fatto portare una fontana di Milano, strappata al panorama del Castello Sforzesco, nella sua villa di Hammamet, in Tunisia. Erano gli anni terribili in cui sfilavano cortei a Milano e altrove inneggianti ad Antonio Di Pietro e ad altri magistrati. Ai quali si chiedeva di realizzare “il sogno” di arrestare tanti politici da doverli portare in qualche stadio, non bastando le patrie galere.
elettorali per un bel po’ sembrarono dargli anche ragione, se solo si pensa ai quasi dieci punti che il movimento del Cavaliere guadagnò nelle urne in pochi mesi nel 1994, passando dal 21 per cento dei voti nelle elezioni politiche italiane al 30,6 nelle elezioni, sempre italiane, per il rinnovo del Parlamento Europeo, tra marzo e giugno.
annunciate in un tour di riassetto
o ricollocazione, diciamo così, della Lega. E con i tempi di cui ha bisogno perché -ha spiegato ancora Pera a un Polito un po’ insofferente o scettico- non si può chiedere a Salvini una inversione a U in pochi mesi”, ridefinendo peraltro il cosiddetto sovranismo. Che -gli ha insegnato il professore- “non è autarchia o, peggio ancora, nazionalismo, non deve basarsi sul rifiuto di cedere sovranità all’Europa (anche la Costituzione lo prevede), ma deve accettare di cederla solo a istituzioni democratiche”, per cui “l’Europa di oggi va cambiata”.
pure lui annunciando un tour nelle capitali del vecchio continente, neppure
confermare la sua scommessa sulla Lega, appena votata nelle elezioni regionali nella sua Toscana, ha avvertito che “non si può chiedere a Salvini una inversione a U in pochi mesi”. Ed ha assicurato che come “allievo”, secondo
l’ironica definizione dell’intervistatore, il leader leghista “sa ascoltare, è intelligente, consapevole del problema che ha davanti il centrodestra”.
virale. Ma anche su questo l’ex ministro dell’Interno potrebbe cambiare idea se qualcuno -magari Giancarlo Giorgetti e lo stesso Pera- riuscisse a spiegargli meglio che il Mes è cambiato rispetto a quello applicato ai tempi sciagurati della crisi del debito greco.
a garantire che non
manderà la polizia a controllare le nostre feste e simili a casa, si darebbe la zappa sui piedi, con tutti i guai che i grillini gli procurano nella maggioranza. E manderebbe su tutte le furie il presidente della Repubblica, da troppo tempo in attesa di un rapporto davvero più costruttivo del governo con le opposizioni, non solo a parole.
Italia Renato Brunetta
in qualità di direttore della edizione del lunedì del Riformista: incarico che però ha lasciato subito dopo chiudendo per lamentato ingorgo di lavoro, diciamo così, una “bellissima ancorchè breve, avventura”, durata in effetti quattro numeri soltanto, “costati tanta fatica e tanta intelligenza”, ha scritto l’interessato definendo orgogliosamente “piccolo gioiello” la sua creatura.
adottate dal suo governo, recentemente contestate in una intervista al Corriere della Sera dalla presidente del Senato- non dovrebbero
oggi indugiare a lavorare insieme, con spirito costruttivo, favorendo un franco e sincero dialogo. E’ fondamentale il contributo di tutti, maggioranza e opposizione, così come è centrale il ruolo del Parlamento per disegnare le grandi riforme e i grandi cambiamenti che l’Italia non può rimandare”. Ma con o senza il permesso dei grillini ?, viene voglia di chiedere al presidente del Consiglio, che si trova a Palazzo Chigi grazie a loro e deve subirne ogni giorno, direi anzi ogni ora, i condizionamenti derivanti dalle loro divisioni, a dir poco. Il MoVimento 5 Stelle, tra governisti e antigovernisti, tra Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista e Davide Casaleggio, tutti comunque d’accordo nel rifiuto dei crediti europei per il potenziamento del servizio sanitario e indotto, è arrivato sull’orlo della scissione.
il rifiuto di un “europeismo fideistico”, preferendogli “un approccio critico”.
anche a costo di spiazzare l’alleato Salvini. Al quale Brunetta, sostituendosi un po’ a Mattarella, aveva scritto esplicitamente che in caso di crisi non si andrà alle elezioni anticipate reclamate dall’ex ministro dell’Interno ma ad un governo “del Presidente”, tecnico o simil tecnico, destinato a portare comunque al termine ordinario la legislatura.
anche dentro il suo partito- Brunetta aveva cercato di cautelarsi aprendo il suo “editoriale” con una “piena” condivisione dell’intervista ipercritica verso lo stesso Conte della presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, notoriamente forzista: un’intervista sgarbatamente liquidata dal presidente del Consiglio dicendo ai giornalisti di non averla letta.
suoi governi, il governatore
ligure Giovanni Toti ha chiesto al capo leghista di raccogliere dal Cavaliere anche la staffetta, diciamo così, del predellino. Su cui Berlusconi saltò la sera del 18 novembre 2007 nella piazza milanese di San Babila per lanciare il progetto della confluenza delle componenti più affini del centrodestra in un
solo partito: il Popolo delle Libertà. Il cui acronimo -Pdl- divenne l’alternativa al Partito Democratico -Pd- allestito nello schieramento opposto da Piero Fassino e Francesco Rutelli, d’accordo con Romano Prodi, per unificare i resti del Pci e della sinistra democristiana, più cespugli di provenienza liberale, ambientalista e radicale.
a tutte le crisi e persino scissioni in qualche vaticinate dall’”amalgama mal riuscito” lamentato in qualche modo da Massimo D’Alema. In tredici anni si sono succeduti sei fra segretari e reggenti, ma il Pd è ancora in campo pur zigzagando, fra l’altro, tra opposizione ai grillini e alleanza, prima di carattere quasi occasionale ed emergenziale, in funzione anti-sovranista, e poi di tendenza addirittura strutturale, estesa in periferia. Che, fallita alquanto miseramente a livello regionale, viene ora tentata a livello comunale, votandosi l’anno prossimo nelle maggiori città. Vi si sono impegnati direttamente il segretario del Pd Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio, l’ex capo forse rientrante del MoVimento 5 Stelle, o di quel che ne rimarrà in caso di scissione.
Di Berlusconi, insofferente al dissenso
oltre un certo, minimo livello, e refrattario ai delfini, o di Gianfranco Fini, erede impaziente sino al suicidio politico. L’ex pupillo di Giorgio Almirante, secondo la ricostruzione mai smentita di un suo incontro con un emissario di Berlusconi, arrivò a paragonarsi minacciosamente a un terrorista imbottito di esplosivo alla cintura, capace quindi di saltare in aria e far morire chiunque avesse cercato di fermarlo.
in persona, Toti ha avuto il coraggio o l’imprudenza, secondo i gusti, le speranze o le paure dei suoi veri o potenziali interlocutori, di proporre a Salvini un nuovo “predellino”, essendo il suo partito diventato il maggiore della coalizione di centrodestra. Che però – va precisato anche questo- è da qualche tempo in fase discendente, e non più ascendente, inseguito dalla destra di Giorgia Meloni.
spiazzati
da un Giuseppe Conte che, ospite del Riformista economico del lunedì diretto dal forzista Renato Brunetta, pur di coprire in qualche modo ambiguità, ritardi e quant’altro dei grillini, fra Mes e dintorni, ha scritto di preferire “all’europeismo fideistico” di altre componenti della maggioranza giallorossa di governo “un approccio critico che abbia a cuore le sorti del continente”.
governo di Giuseppe Conte nascono notoriamente dalla crisi d’identità, ma anche d’altro, che attanaglia il principale movimento della maggioranza: quello “algoritmico” delle 5 Stelle, come lo ha felicemente definito in un editoriale su Repubblica l’ex direttore Ezio Mauro.
dell’emergenza virale da parte del governo, in un intreccio di competenze nazionali e locali pasticciato dal testo riformato del titolo quinto della Costituzione. Ma cominciano quanto meno a lambirla, dopo tutti i guasti procurati ad altri aspetti della politica e dell’azione governativa, con quel persistente rifiuto di ricorrere ai crediti europei disponibili con l’acronimo del Mes per il potenziamento del servizio sanitario e derivati, messi a dura prova dalla pandemia.
Raggi al Campidoglio ha fatto tirare un sospiro di sollievo al pur silente Zingaretti, ma anche a Paolo Mieli in un
editoriale sul Corriere della Sera, per lo spazio temporale di poche ore. E’ infatti scoppiato fra i grillini, dietro e sotto le quinte, un putiferio tale che Di Maio ha dovuto precisare, sostanzialmente smentendosi, di non voler fare mancare il suo sostegno alla sindaca uscente e decisa a tentare la conferma, a dispetto di tutto e di tutti, anche dei colleghi o compagni di movimento consapevoli dei suoi limiti, o almeno della improbabilità di un suo successo.
non sospettabile Fatto
Quotidiano riferendo di una riunione promossa per il 17 ottobre da alcuni consiglieri comunali uscenti del movimento 5 Stelle “ribelli”, presidenti ed ex presidenti di commissione, contrari alla “estrema personalizzazione della contesa elettorale”, insita nella ricandidatura della Raggi, e favorevoli invece ad un “percorso allargato e diffuso”, da imboccare e portare avanti naturalmente col Pd anche o soprattutto per consolidare l’alleanza di governo a livello nazionale.
futuro, Eugenio Scalfari ci ha appena informati dalle colonne di Repubblica di avere “puntato le mie fishes sulla presidenza politica di Conte e su quella religiosa di Francesco”.
cardinalizie, finanziarie e giudiziarie. Di Conte -Giuseppe Conte, presidente del Consiglio- il veterano del giornalismo politico italiano ha appena cominciato una frequentazione diretta con un lungo incontro sui massimi sistemi, anche quello solare, prenotandone un altro in cui parlare pure del Pontefice.
personalmente, e modestamente, ricavata di una sponsorizzazione a termine, non piena, della rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale recentemente auspicata dal presidente del Consiglio. “Conte vorrebbe -ha riferito testualmente
Scalfari- che Mattarella prolungasse di almeno un anno la sua funzione, come fece a suo tempo Giorgio Napolitano”. Non sarebbe una cattiva soluzione della corsa al Quirinale già cominciata dietro le quinte col solito, largo anticipo rispetto alla scadenza dei primi mesi del 2022, quanto terminerà il mandato del presidente in carica. A Camere invariate ma destinate dopo un anno ad essere rinnovate a ranghi ridotti di un terzo dei seggi, sarebbe logico e persino onesto che alle nuove, con piena e nuova legittimazione, fosse lasciato il compito di una soluzione organica della successione al vertice dello Stato, proiettata verso il 2030.
di tanti altri che si ritengono
protagonisti, azionisti e chissà cos’altro del mercato politico e istituzionale italiano, a cominciare naturalmente dai poveri, sprovveduti elettori. Che, d’altronde, nella scelta del capo dello Stato non possono mettere bocca, come si dice, perché l’elezione non è diretta, come molti vorrebbero che finalmente e giustamente diventasse, visto il ruolo crescente dell’inquilino del Quirinale nella fluidità, a dir poco, degli equilibri politici prodotti da partiti, movimenti e schieramenti di sempre più incerto indirizzo.