Il virus non è morto e neppure indebolito, ma possiamo conviverci con le dovute cautele

Il professore associato di malattie respiratorie Salvatore Damato fa il punto del Covid 19 al 31 maggio in Italia elaborando i dati lab24.ilsole24ore.com/coronavirus.

Dal 1° marzo la percentuale dei contagiati  con tampone ancora positivo è scesa da 88% al 18%. Con il mese di giugno si conclude praticamente una prima fase, di poco più di tre mesi,  dell’andamento dell’epidemia.

Vale la pena fotografare la situazione riferendo i dati per 100.000 abitanti. A livello nazionale il numero dei contagi (prevalenza statica) è di 386.  La regione più rappresentata è la Valle d’Aosta con 942 contagiati, seguita dalla Lombardia con 884, il Piemonte con 703 ed il Trentino Alto Adige con 655. Le regioni meno rappresentate sono la Basilicata con 71 contagiati e la Calabria con 59. A livello provinciale, troviamo Cremona con 1799 contagiati, seguita da Piacenza con 1563. Le provincie meno rappresentate sono in Sicilia: Trapani con 33 contagiati e Ragusa  con 30.

L’apparente contradizione tra i dati delle regioni sopra individuate è determinata dalla situazione della esecuzione dei  tamponi diagnostici. In Italia come Nazione ne sono stati effettuati 6464 ogni 100.000 abitanti. In Lombardia sono stati 7538, in Valle d’Aosta 12162 ed in Trentino Alto Adige 14468.

Non ho trovato disponibile il dato relativo ai tamponi eseguiti più volte nello stesso soggetto. In termini temporali, in Italia, nel corso dei tre mesi sono stati eseguiti 43000 tamponi al giorno, contro i 70000 della Germania. Questo implica che il numero dei contagiati reali in Italia è enormemente superiore a quello riportato nelle statistiche. La prevalenza dei contagiati  in Italia  è troppo bassa per rendere statisticamente affidabili i risultati dei test sierologici per gli anticorpi, che hanno una intrinseca imperfetta sensibilità (falsi-negativi) e specificità (falsi-positivi).

In merito alla decisione di aprire i confini tra regioni e nazioni europee, vale la pena rifarsi al pragmatismo degli amici tedeschi. Si penalizza l’apertura per i  territori che hanno un significativo incremento giornaliero dei nuovi casi: il numero è 50 nuovi casi in sette giorni per 100.000 abitanti (incidenza). L’Italia, il 31 maggio, ne contava 5,71 (calcolato su media mobile di 7 giorni. La Lombardia (con la massima incidenza in Italia) ne contava  19,31; la provincia di Varese (con la massima incidenza in Lombardia)  19,71.

Raccomandazioni-  Ho illustrato in un precedente intervento le opzioni terapeutiche rese disponibili  e in uso per curare gli infetti sintomatici in ambiente anche ospedaliero, comunque in isolamento. La diagnosi precoce è fondamentale.  Il virus non è morto e neanche indebolito. Esso sa e può uccidere.  E’ necessario eseguire i tamponi in svariati milioni di cittadini sospetti o sintomatici, oppure selezionati con il criterio della casualità, rappresentatività  e volontarietà.

Bisogna continuare a salvaguardare le vie aeree con le distanze fisiche e le mascherine per ridurre la possibilità di contagiarsi e proteggere i concittadini dalla nostra inconsapevole possibilità di infettare. Abbiamo il dovere di collaborare tutti alla ripresa economica e sociale della nostra comunità. Il contributo più significativo consiste nel rendere sempre più difficile la permanenza e la diffusione del virus nei nostri territori.

Lo so, servirebbero anche molte altre cose. Ringrazio mio fratello Francesco per avermi ospitato nel suo blog e mi congedo dai lettori, facendo gli auguri a tutti noi per i difficili mesi che ci aspettano. Grazie.

Grafici 

Grafici- I risultati dei nostri sacrifici nell’ultimo trimestre. A sinistra, l’andamento giornaliero con valori assoluti. A destra, l’andamento dei dati giornalieri espressi come media mobile di sette giorni.

Salvatore

salva.damato@libero.it

 

 

L’imprevisto passaggio di Luca Palamara dalle forbici al rasoio…

             Di Luca Palamara nel salotto televisivo di Massimo Giletti, in orario non protetto per la buona abitudine dei genitori di mandare in tempo a letto i bambini, mi sono rimaste impresse due cose resistendo più volte al sonno per l’ora non po’ troppo avanzata anche per la mia ormai tarda età. Una è la barba che si è tagliata il magistrato sotto indagine a Perugia, l’altra l’uso ch’egli fa del rasoio anche fuori dal bagno, ora che ha sostituito le forbici, per parlare di chi lo tiene sotto tiro, fra la Procura di Perugia, il Consiglio Superiore del Palazzo dei Marescialli e i  giornali.

            Senza barba l’uomo è diventato più vicino alla sua effettiva età -51 anni compiuti- di quanto apparisse prima, quando forse quella massa compatta di nerume contribuiva ad aumentare anche Palamara ieriil peso che si era procurato fra Palamara oggile toghe, ma pure all’esterno, da domino delle loro carriere. La porta del suo ufficio, prima di presidente dell’associazione nazionale dei magistrati e poi di consigliere superiore nel Palazzo dei Marescialli, era diventata per sua stessa ammissione il terminale di una fila di aspiranti, o questuanti. Che vedevano in lui più il dominus -ripeto- che il “mediatore” fra correnti e quant’altro, com’egli stesso ha voluto modestamente rappresentarsi in televisione

            Di solito il ricorso alla barba o la sua rimozione, quando la si è tenuta a lungo, denota stanchezza o fastidio, e voglia di cambiare davvero pagina nella propria vita. Lo dico anche per esperienza personale, avendo fatto ricorso alla barba dopo una troppo faticosa esperienza professionale, che mi aveva procurato più amarezze che soddisfazioni, come se avessi fatto con troppo ritardo il servizio militare che mi ero risparmiato all’età giusta per un’esenzione da occhiali: gli stessi che, sempre in gioventù, mi avevano precluso un’assunzione alla Rai -pensate un po’- guadagnatami con tanto di concorso. Poi quella barba me la tagliai sentendomi peggio di prima.

            Non so se, a parti rovesciate, farà così anche Palamara. Di cui non so neppure se riuscirà a rimanere in magistratura, o dovrà cambiare mestiere. So però che il rasoio al quale è tornato l’ha usato -nel salotto di Giletti, che non è l’arena, come dice il titolo della trasmissione, ma molto vi assomiglia-  è passato un po’ pesante sul volto dei magistrati che, indagandolo per corruzione, prima gli hanno infilato nel telefonino quel maledetto “trojan”, trasformandolo in una specie di ordigno nucleare, o in una spia in servizio permanente effettivo, e poi ne hanno diffuso il materiale col ventilatore di ciò che una volta, parlando della politica, il mio caro amico Rino Formica definì impietosamente “sangue e merda”.

            Di fronte allo spettacolo prodotto dalla diffusione di questo materiale, altamente  nocivo anche per noi giornalisti, spesso risultati più spalle che cronisti o osservatori dei magistrati in carriera, anzi in carrierismo, Palamara ha promesso a Giletti, ai telespettatori e ai suoi ancora colleghi in toga, ma forse anche ai politici affrettatisi a farne il solito uso improprio, oltre che proprio, che non si farà trasformare in “capo espiatorio”. Ma così Palamara si è forse assegnato il compito più difficile davvero della sua vita: un compito da far tremare le vene ai polsi. Vasto programma, avrebbe detto la buonanima del generale Charles De Gaulle.

 

 

 

Ripreso da http://www.startmag.it http://www.policymakermag.it

Matteo Renzi gioca adesso a scacchi, non a carte, con la politica

             Credo che ci sia ben poco da leggere della “Mossa del cavallo” di Matteo Renzi in arrivo nelle librerie, viste le tante anticipazioni affidate ai giornali dell’ultima domenica di maggio. Che le hanno pubblicate anche con evidenza: qualcuno con malanimo, come La Verità di Maurizio Belpietro. Che ne ha affidato a Daniele Capezzone una stroncatura.. radicale Libro di Renzicome il passato del recensore.

             A Belpietro è rimasto forse indigesto il ruolo a torto o a ragione attribuito a Renzi nel suo brusco allontanamento dalla direzione di Libero, un altro quotidiano dell’area di centrodestra, in occasione dell’allora incipiente campagna referendaria del 2016  sulla riforma costituzionale. Ai cui contenuti Belpietro era contrario, diversamente dall’editore Antonio Angelucci ben disposto, nonostante la contrarietà annunciata dal suo partito, Forza Italia. Che pure all’avvio, quanto meno, di quella riforma aveva contribuito con il cosiddetto “patto del Nazareno”, naufragato nel 2015 per l’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale, non concordata dall’allora presidente del Consiglio con Silvio Berlusconi, tifoso invece di Giuliano Amato.

              Sembra preistoria politica, nonostante siano trascorsi solo 5 anni, mica i 26 dalla nascita della cosiddetta seconda Repubblica dopo il crollo della prima con l’esplosivo metaforico delle indagini giudiziarie sul finanziamento illegale e generalizzato di partiti, correnti, leader, leaderini e aspiranti, spesso -ma non sempre, come ritenuto dalle Procure- con la coda della corruzione.

              Renzi dalle anticipazioni del suo libro mi sembra ossessionato dai sondaggi, convinto che essi non siano “il vaccino” di cui ha bisogno “il populismo”, oltre al coronavirus che ci ha spinto verso una recessione spaventosa. “I sondaggi ti dicono quanto sei simpatico, i dati Istat quanto sei capace”, ha scritto l’ex segretario del Pd e ora leader di Italia Viva accingendosi -temo- ad attribuire all’attuale governo, pur partecipandovi con una “delegazione”, come si dice in gergo tecnico, anche quella parte di responsabilità che non ha nell’arrivo dello tsumani economico da tutti previsto. E anche dei “forconi” evocati, sempre nella maggioranza, da quel centrista e democristiano per definizione che è l’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini. Il quale è tornato al Senato due anni fa non a caso come ospite, nella sua Bologna, delle liste del Pd ancora guidato da Renzi.

              Capisco bene l’insofferenza, quanto meno, del senatore di Scandicci, come lo stesso Renzi preferisce ogni tanto chiamarsi con falsa modestia, per i sondaggi. Che non sono molto generosi con la sua Italia Viva, appena valutata da Nando Pagnoncelli sul Corriere della Sera attorno al 3 per cento delle “intenzioni di voto”, contro il 4,8 assegnatole nell’autunno scorso, quando il nuovo partito nacque portandosi appresso un bel po’ di deputati e senatori del Pd: sufficienti, questi ultimi, a risultare decisivi a Palazzo Madama per la tenuta della maggioranza giallorossa voluta proprio da Renzi per impedire le elezioni anticipate e l’allora scontata vittoria dell’”altro Matteo”, come un po’ tutti ormai chiamiamo Salvini. E quelli di Pagnoncelli sono i sondaggi migliori per Renzi, perché ce ne sono altri -nei quali Marco Travaglio intinge i biscotti facendo colazione alla scrivania di direttore del Fatto Quotidiano- che fanno vagare Renzi fra l’1 e il 2 per cento.

             Chi di sondaggi ferisce di sondaggi perisce, viene voglia di dire pensando a quando e quanto piacevano a Renzi nella postazione di Palazzo Chigi. Il vento allora sembrò soffiare forte per un pò sulle sue vele, sino a far volare le carte alle quali egli giocava, invece degli scacchi.

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