Le sfide di Giuseppe Conte a Vittorio Colao e persino alla superstizione

             Siamo ormai a una doppia sfida di Giuseppe Conte: una a Vittorio Colao, di cui – stando al titolo del manifesto e a molte altre cronache politiche- egli ha mandato “a picco” osservazioni e proposte per il rilancio o la rinascita dell’Italia, dopo avere tanto puntato sull’ex Il Fattoamministratore di Vodafone scomodandolo a Londra, e l’altra alla sorte fissando per venerdì l’apertura dei cosiddetti, e ormai controversi, Stati Generali dell’Economia. Che dureranno 10 giorni, ha libro Reedannunciato enfaticamente su tutta la prima pagina Il Fatto Quotidiano: dieci quanti furono quelli che “sconvolsero il mondo” nell’entusiastico racconto della rivoluzione sovietica fatto dal giornalista e testimome americano John Reed.

            Faccio fatica a immaginare Conte, il “progressista umanista” che si è scoperto passando dal suo primo al secondo governo cambiando alleati, come un nuovo Lenin:  ben al di là del “liberalsocialista” di cui scrive ogni volta che ne ha l’occasione il buon Eugenio Scalfari. Ma debbo riconoscergli almeno il pregio di fregarsene del vecchio proverbio che sconsiglia di sposarsi o di partire “di venere e di marte”. Il venerdì non gli fa evidentemente paura. Non è insomma superstizioso, pur essendo devotissimo dell’ormai Santo Padre Pio. Che un po’ superstizioso lo era, come confidava ai fedeli che riceveva nel convento di San Giovanni Rotondo. Fra i quali mi capitò di trovarmi molto giovane.

             Del piano di Colao, che pure sino a qualche settimana fa sembrava che dovesse essere una specie di arma segreta del presidente del Consiglio per affrontare i marosi d’autunno, è ormai rimasto ben poco dopo la stroncatura del Fatto di Marco Travaglio come di un documento infarcito di “lobbismo”, con tutte quelle Mariana Mazzucatoidee di condoni, semplificazioni, conferme di concessioni autostradali e via inorridendo. Fra i giornali, solo Il Foglio Il Fogliodel fondatore Giuliano Ferrara e del direttore Claudio Gerasa continua a scriverne bene, come di un “nuovo fattore C”, spiegando che “lo scandalo” attribuitogli, specie dopo la mancata firma della consigliera di Conte Mariana Mazzucato, “non ha a che fare con i contenuti ma con un problema ben più importante: la capacità della Follipolitica di guardarsi allo specchio e sentirsi all’altezza di una rivoluzione di cui mai come oggi l’Italia avrebbe urgente bisogno”. “Il cortocircuito tecnici-politici”, ha un po’ e meno vistosamente parafrasato Stefano Folli su Repubblica. Sul piano politico, poi, il piano Colao è incorso nell’inconveniente, coi tempi che corrono, di riscuotere il plauso di Matteo Salvini.

              Che cosa resti o possa restare sul tappeto di questi Stati Generali dell’Economia così pomposamente e frettolosamente annunciati ma così cambiati e diluiti lungo la strada, soprattutto per i dubbi, i timori e quant’altro insorti nel Partito Democratico, è difficile dire. Certo, per La Stampail presidente del Consiglio appaiono poco incoraggianti sia “l’assedio” riproposto in un titolo dalla Stampa con la sensazione che “Tra Pd e 5 Stelle spira l’ipotesi di un Guerini premier” sia Giorgetti al Mattinoquel Giancarlo Giorgetti, vice di Salvini, che ha detto al Messaggero, al Mattino e al Gazzettino : “Se cade Conte non credo nelle elezioni”. Che è un po’ la variante dei “dieci minuti” recentemente previsti da Matteo Renzi per trovare un’altra maggioranza, in caso di crisi, allo scopo di evitare lo scioglimento anticipato delle Camere minacciato dal presidente della Repubblica.

 

 

 

 

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