So bene, per carità, da vecchio del mestiere, che un giornale è l’appuntamento con l’errore: quotidiano se esce ogni giorno, settimanale se ha questa scadenza, mensile, trimestrale e via declinando. Ma francamente -lo dico con grande rammarico per averci lavorato per dieci anni dalla fondazione e per essere tornato per un po’ a collaborarvi dopo la direzione del Giorno– penso che abbiano impiegato un po’ troppo
ad accorgersi al Giornale della famiglia Berlusconi dello sfregio alla statua e alla memoria del pur fondatore Indro Montanelli. E per dargli il dovuto rilievo sulla prima pagina
di oggi, lunedì, con sette articoli distribuiti in più parti, a cominciare dall’editoriale del direttore Alessandro Sallusti, “immeritatamente seduto” -ha doverosamente riconosciuto- “alla scrivania” di Montanelli.
A quest’ultimo io sospetto, per la solita malizia che consentiva spesso alla buonanima di Giulio Andreotti di “azzeccarci”, che qualcuno ai piani cosiddetti alti della proprietà non abbia perdonato ancora la rottura del 1994 con l’allora Cavaliere decisosi a “scendere in politica”, come in un campo di calcio, candidandosi addirittura alla guida del primo governo di quella che sarebbe stata chiamata “Seconda Repubblica” in modo assai improprio. Essa infatti si risolse in una brutta appendice della prima pur travolta dal poco commendevole e generalizzato finanziamento illegale della politica. Cui d’altronde aveva contribuito anche Berlusconi avendoci trovato la sua utilità di pur bravo, anzi bravissimo imprenditore.
L’imbrattamento della statua di Montanelli “razzista e stupratore” nei giardini di Milano che lui soleva percorrere spesso a piedi, e dove nel 1977 gli fu teso anche un agguato terroristico dello stesso colore della vernice adoperata per imbrattarne il monumento, è avvenuta secondo la cronaca dello stesso Giornale alle 20,20 di sabato: un’ora più che sufficiente a qualsiasi quotidiano degno di questo nome e fattura non di cambiare, ma anche di rivoluzionare la prima pagina.
Pazienza, è andata così. Ma non me la sento francamente di dire meglio tardi che mai, perché il mai sarebbe stato davvero da sputo in faccia, da vergogna imperdonabile. Non mi trattiene minimamente dallo scrivere queste cose il fatto che io abbia a suo tempo lasciato Il Giornale -non licenziato insieme con Enzo Bettiza, come ha scritto in un libro un presunto erede di Montanelli, ora illuminato dalle cinque stelle di Beppe Grillo- per dissenso politico da quello che è ugualmente rimasto il mio maestro: un dissenso nella valutazione di Bettino Craxi, che aveva restituito al Psi l’autonomia e l’anticomunismo negatogli dal predecessore Francesco De Martino.
Per fortuna, come è documentato anche da una foto dei giornali del gruppo Monti Riffeser, è già cominciata “la gara a Milano a ripulire la statua” imbrattata e colpevolmente rimasta senza sorveglianza nonostante fosse entrata dichiaratamente nel mirino dei suoi nemici.
A imbrattare i monumenti potranno inoffensivamente contiuare, a Milano e altrove, i piccioni simpaticamente dialoganti e disegnati dal vignettista Nico Pillinini sulla prima pagina della Gazzetta del Mezzogiorno. Cui profitto dell’occasione, nello stato di crisi in cui si trova, per augurare sinceramente di salvarsi da una chiusura che la sua lunga storia di giornale delle Puglie e della Basilicata non meriterebbe.