Più della mascherina indossata disciplinatamente dalla presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati, più di quell’insolito spettacolo dell’aula trasformata dalle misure di sicurezza sanitaria in un anfiteatro surreale, più
degli insulti che si sono scambiati due parlamentari, uno dei quali dava all’altro dell’”untore” perché non aveva adottato la mascherina giusta, o l’aveva indossata male, della seduta del Senato per l’approvazione del decreto legge chiamato enfaticamente dal presidente del Consiglio “Cura Italia” sull’emergenza del coronavirus è destinato a rimanere nella storia parlamentare il sostanziale schiaffo dato dal governo, con la minuscola, all’assemblea di Palazzo Madama. Tale è stato di fatto il ricorso alla cosiddetta questione di fiducia su un argomento di quel genere, e nelle attuali circostanze politiche.
Non c’era nessun ostruzionismo delle opposizioni da vincere, avendo il centrodestra ridotto al minimo le sue proposte di modifica per la conversione in legge del decreto. Il governo poteva solo temere incidenti della sua maggioranza, molto più divisa anche sull’emergenza virale di quanto non sia già apparso da cronache, retroscena e quant’altro, per cui avrebbero potuto incrociarsi i suoi dissensi interni con quelli del centrodestra e prevalere nell’esito delle votazioni.
Ma soprattutto il governo ha dato l’impressione di volere obbligare il centrodestra a negare la fiducia perché non si potesse materializzare in alcun modo, neppure indiretto, quel clima di unità nazionale pubblicamente e ripetutamente auspicato, anzi chiesto dal presidente della Repubblica. Del quale pertanto si può dire che abbia ricevuto metaforicamente uno schiaffo non meno clamoroso di quello subìto, più in generale, dal Parlamento.
Ne ho viste tante nella mia non breve storia professionale di giornalista specializzato, diciamo così, nelle vicende politiche, e in circostanze anch’esse drammatiche come quella, per esempio, del terrorismo durante i 55 giorni del drammatico sequestro di Aldo Moro. Allora in un “transatlantico”, alla Camera, affollato di deputati appena raggiunti dalla notizia, e in attesa della presentazione del governo monocolore appena ricostituito da Giulio Andreotti negoziando il voto di fiducia con i comunisti, un esagitato Ugo La Malfa invocò il ripristino della pena di morte contro chi aveva rapito, fra il sangue della sua scorta sterminata, il leader democristiano di cui lui poco più di sei anni prima aveva impedito l’elezione a presidente della Repubblica solo perché sarebbe stato votato anche dai comunisti.
Le contraddizioni, evoluzioni, giravolte sono ordinarie nella politica. Eppure, col bollettino quotidiano dei morti e dei malati, non solo dei guariti, da coronavirus lo spettacolo del governo al Senato in questo passaggio dell’emergenza virale mi è parso francamente inaudito, per
quanto conforme, per carità, alle norme costituzionali e a quelle regolamentari. E tutto lascia purtroppo ritenere o temere che lo spettacolo si ripeterà alla Camera sullo stesso decreto e in entrambi i rami del Parlamento sui decreti successivi, essendo l’emergenza virale lontana dalla fine, vista la proroga dei regimi di blocco appena annunciata sino al 3 maggio, con la sarcastica reazione attribuita dal vignettista Stefano Rolli, sul Secolo XIX, a due coronavirus, dei quali uno chiede all’altro se ha fretta.
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e fatto saltare l’aggancio con l’opposizione di centrodestra pur patrocinato dal presidente della Repubblica, sia un’intesa con la Francia di Emmanuel Macron per fare cambiare registro all’Unione Europea. In tal modo egli spiazzerebbe contemporaneamente, e un po’ grillinamente, il Pd, Matteo Renzi e i sovranisti di destra sulla strada di un’uscita alla grande dalla guerra del coronavirus.
il vento di un’Europa davvero solidale. “Conte sferza l’Unione: intesa o ognuno per sé”, ha titolato Avvenire, in significativa sintonia con una intervista del presidente del Consiglio all’Osservatore Romano nell’edizione elettronica su cui ha dovuto ripiegare il giornale del Vaticano in questi giorni di crisi. “Per chi ha veramente a cuore l’Unione Europea, per chi crede in un’Europa unita, forte
e solidale, all’altezza della sua storia e della sua civiltà, questo è il momento di compiere passi risoluti, sostenendo e promuovendo tutti i mezzi per la ricostruzione e la rinascita”, ha detto Conte. Gli mancava solo il corredo della vignetta del Fatto Quotidiano in cui quell’impertinente di Vauro Senesi ha affidato in qualche modo al coronavirus, come ad una sfera di cristallo, “il futuro della Ue”.
questo non deve illudere nessuno. Alla fine la Francia ritorna sempre a casa e quando corteggia l’amante lo fa per rilanciare la coppia”. L’alternativa, d’altronde, sarebbe per l’Italia ugualmente negativa: quella di un’Europa, chiamiamola così, mediterranea a conduzione solo e spietatamente francese, in qualche modo giù sperimentata dall’Italia con la disastrosa gestione della crisi della Libia prima e dopo la caduta e la morte di Gheddafi.
che alcuni avevano pensato che li avesse perduti scambiandolo con l’amico calvo e grassoccio cui lui aveva affidato il compito di leggere un messaggio di compiacimento nel giorno in cui l’ospedale nella Fiera veniva ultimato e benedetto dall’arcivescovo di Milano davanti alle maestranze, al sindaco della città e al governatore della regione lombarda: tutti alle più o meno dovute distanze sanitarie ma ugualmente attaccati dai soliti rosiconi, soddisfatti solo dell’assenza e del disinteresse, diciamo così, degli esponenti nazionali della Protezione Civile una volta guidata dallo stesso Bertolaso. Non parliamo poi del governo.
Gerardo Solaro del Borgo, capo del Centro di Soccorso italiano del Sovrano Ordine di Malta: un’aggravante -temo- alle orecchie, agli occhi e alle abitudini cerebrali, diciamo così, degli avversari e degli instancabili pubblici accusatori ad honorem dell’ex imputato di corruzione e non ricordo di che altro, assolto nei tribunali o scampato alla condanna, come dice generalmente degli innocenti sopravvissuti ai processi il pur consigliere superiore della magistratura Piercamillo Davigo. Che è sempre compiaciuto dei paradossi che gli sfuggono nei salotti televisivi, accolto di solito come un campione e un Santo protettore vivente della legalità.
dove Davigo è metaforicamente di casa per sintonia di idee e battute, hanno liquidato con sarcasmo entrambi i fatti, o personaggi, come “salvi di fine stagione”, continuando peraltro a definire l’88.enne Contrada “pregiudicato per mafia”.
dal coronavirus quella che La Gazzetta del Mezzogiorno ha generosamente chiamato in un titolone “cascata di miliardi”. Che -400 o 200 che siano, visto che nei titoli e negli articoli dei giornali si fa una certa confusione fra una cifra e l’altra- potranno essere accordati dalle banche a tasso zero e ad alta garanzia dello Stato.
trattativa sfibrante a Palazzo Chigi. Ma sconcerta il ritardo di giorni, figlio di uno scontro di potere tra M5S e Pd sulla gestione del finanziamento alle imprese in epoca di coronavirus: 200 miliardi di euro. E allunga un’ombra sulla compattezza della maggioranza proprio mentre si intravede un’uscita lenta dalla pandemia”.
nel frattempo chiuse la ministra pentastellata del settore, ha qualcosa di francamente esagerato quel senso di sicurezza, fiducia e quant’altro che mostra il presidente del Consiglio uscendo, regolarmente scortato, dal palazzo dove lavora da quasi due anni. E dove intende rimanere -lo ha appena confermato in una intervista- sino al 2023, per rimanere “nell’orizzonte della legislatura” partorita delle urne del 2018.
sue mascherine come calzini e altri indumenti più o meno intimi. Lui è super, come la benzina delle auto che lo scorrazzano tra la sorpresa, a dir poco, dei romani costretti a scansarle ogni volta che le vedono o sentono sfrecciare davanti ai loro occhi e piedi.
si è involontariamente guadagnato Giuseppe Conte con la pur meritevole e sentita partecipazione al lutto dei familiari di un validisssimo uomo della sua scorta: Giorgio Guastamacchia. Che, gigante già di suo con quel fisico che aveva e con le arti marziali che aveva esercitato, e forse ancora esercitava nel suo tempo libero, è morto a 52 anni neppure compiuti, lasciando due figli e la moglie, per essersi contagiato del coronavirus chissà dove.
un “governissimo” davvero, da unità nazionale come quelli degasperiani successivi alla seconda guerra mondiale. Ma la ciliegina sulla torta dell’inadeguatezza dell’attuale esecutivo penso che l’abbia appena messa l’ex ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda rivelando, peraltro all’insospettabile Fatto Quotidiano, la fine fatta dalla disponibilità da lui offerta a collaborare col commissario della Protezione Civile Domenico Arcuri nel campo dirimente degli “approvvigionamenti” sanitari, mascherine comprese: quelle vere, non di carta igienica.
sarebbe stato un problema politico, e amen”, ha raccontato
Calenda. Non ditelo, per favore, al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Che con tutti i capelli che ha, rimasto com’è senza barbiere in questo periodo di domicilio coatto pure per lui, se li strapperebbe tutti per la delusione, anzi per la rabbia, pur non consona al suo mite temperamento.
davvero ai fedeli: neppure dal Papa, solitario nella desertificata nella Basilica di San Pietro. Non siamo esonerati, né dallo Stato né dalla Chiesa, dall’obbligo di restarcene in casa per risparmiarci e risparmiare contagi.
non una denuncia penale, se positivi, per epidemia colposa o addirittura l’arresto e l’ergastolo, con
processo per direttissima, nel caso in cui l’aggettivo fosse trasformato da un magistrato malintenzionato da colposo a volontario. Qui non si scherza, neppure in un Paese come il nostro, abituato persino tragicamente agli scherzi, e portato a profittare di tutte le occasioni possibili e impossibili per cantarci e ballarci sopra, magari solo su un ballatoio o un terrazzo.
di tanti altri. Non ho neppure lo straccio di una mascherina a disposizione –magari del tipo del vignettista Carol Rocco sul 7 del Corriere della Sera- anche per non avere nel condominio dove abito cinesi che altrove, a dispetto del nome che si sono fatti col coronavirus e degli insulti che ricevono un giorno sì e l’altro pure dal presidente americano in persona e dai suoi emuli italiani, hanno infilato nelle cassette della posta dei vicini, quasi per scusarsi e redimersi, non una ma buste di mascherine, e delle migliori.
della fiducia appena rinnovata a Giuseppe Conte sulla sua Repubblica di carta dallo stagionatissimo Eugenio Scalfari, anche da un sentimento di rabbia per l’insipienza che, volenti o nolenti, stanno dimostrando i signori al governo, ma anche all’opposizione, in questo passaggio drammatico della storia nazionale. O storia universale, come il reddito che i grillini hanno colto l’occasione per proporre con uno starnuto pericolosissimo in questi tempi, non essendo evidentemente bastati gli sperperi del reddito di cittadinanza voluto nel loro primo anno di esercizio del potere addirittura per conseguire la sconfitta della povertà. Che fu annunciata con sprezzo del ridicolo dal balcone di Palazzo Chigi una sera del 2018 dall’allora vice presidente del Consiglio, ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro Luigi Di Maio. Vi ricordate? Adesso per fortuna, si fa per dire, egli dispone “solo”, e spero ancora per poco, della Farnesina: una palazzone
davanti al quale, quando potevo muovermi liberamente, passavo in auto ogni giorno, o quasi, senza mai scorgervi il ministro su un balcone, o qualcosa che potesse o possa assomigliarvi in quell’architettura littoria del Ministero degli Esteri. Che, pensate un po’, avrebbe dovuto sorgere addirittura dalle parti del Colosseo, su via dei Fori Imperiali. L’avrei tenuto almeno più lontano da casa.
non a torto su Repubblica “la tortura della confusione”- quanto potranno o dovranno durare le misure che li tengono a casa, o cercano di far loro passare la voglia di uscire, titolari, ospiti e frequentatori dei palazzi della politica si chiedono quanto potrà davvero durare il secondo governo di Giuseppe Conte. Che, per quanto asserragliatosi nel bunker metaforico dell’emergenza da coronavirus, appare molto meno
sicuro di quanto non cerchi di far credere, con parole e opere, il presidente del Consiglio permettendosi anche gesti o condotte vanitose come quella, appena rimproveratagli da Libero, di non mettersi la mascherina. Il professore appulo-toscano si limita ad avvicinare ogni tanto il fazzoletto al naso, più per sentirne forse il profumo, spruzzatogli diligentemente ogni mattina, che per difendersi da quel perfido virus che sembra addirittura diffondersi nell’aria da solo, senza che nessuno lo espella con qualche colpo di tosse.
appena previsto “almeno” un rimpasto nel futuro più o meno vicino del governo: un rimpasto, come si diceva una volta, per spostare qualche ministro troppo affaticato o incidentato e assumerne altri troppo smaniosi di promozione. Ma già nel primo capoverso del suo articolo il “rimpasto” del titolo viene archiviato come una ipotesi davvero minore, o inadeguata alle circostanze.
gge di Stabilità”, o finanziaria, come si chiamava una volta. E Verderami si è fermato, bontà sua, al Pd di Nicola Zingaretti, amici e compagni e al movimento affidato alla “reggenza” di Vito Crimi dopo il passo indietro, o di lato, come pensano altri, di Luigi Di Maio. Se si fosse affacciato o avvicinato alle porte, anticamere e simili dell’Italia Viva improvvisata nella scorsa estate dall’ex segretario del Pd Matteo Renzi, vagante nei sondaggi tra prefissi telefonici, l’esploratore del Corriere della Sera avrebbe avvertito spifferi di ben altra portata.
meglio dal coronavirus, il sempre imprevedibile Silvio Berlusconi. Che, anche a costo di smentire e di buttare metaforici secchi d’acqua addosso al suo amico Renato Brunetta, trattenuto a Roma dalla irrefrenabile voglia di esternare contro la debolezza e l’inadeguatezza del governo e della sua maggioranza giallorossa, manda continuamente al “comandante” Conte messaggi di comprensione e solidarietà. Con quanto sollievo ciò venga recepito fra i grillini di ogni tendenza e colore, per non parlare dei piddini, che fanno pure rima, vi lascio immaginare.
artefici della ricostruzione e della rinascita della Capitale dopo i lutti e le rovine della seconda guerra mondiale, ho trovato Gaetano nella nostra lunga frequentazione sempre più uguale al padre. Che avevo avuto il piacere di conoscere agli inizi del mio lavoro giornalistico. Gli somigliava in tutto e per tutto, anche nella concezione sanamente patriarcale della famiglia.
quel cognome che è tutto un programma, da ministro della Sanità, o Salute, è diventato ministro della Santità per tenuta di nervi, nel marasma dell’emergenza. E anche per la sorprendente prova di competenza che ha dimostrato, peraltro al suo esordio governativo, non avendo mai fatto prima neppure il sottosegretario. Giù il cappello, come si dice in queste occasioni anche dalle sue parti, in Basilicata.
onsiderato Giuseppe Conte tra i grillini, tanto da saltare in un attimo, dopo le elezioni del 2018, dal posto di ministro della Funzione Pubblica, assegnatogli in una lista potenziale trasmessa persino al Quirinale, a quello addirittura di presidente del Consiglio; Bonafede, dicevo, sta davvero rischiando di trasformarsi da ministro della Giustizia in ministro dell’ingiustizia, doverosamente al minuscolo.