Mattarella protesta contro la “crisi strisciante” nonostante l’emergenza

            Pur confinata per ragioni, credo, di diplomazia politica a pagina 13, senza richiamo in prima pagina, un’”analisi” del quirinalista del Corriere della Sera Marzio Breda ha fatto arrivare alta e forte La linea Mattarella.jpegagli addetti ai lavori l’insofferenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella per gli sviluppi della situazione politica, nell’intreccio perverso che si è creato tra l’emergenza virale, il modo in cui fronteggiarla riducendo al minimo i danni economici e sociali e i rapporti con l’Unione Europea alla vigilia del vertice di giovedì prossimo. Che sarà peraltro preceduto anche dalla consueta consultazione fra i presidenti della Repubblica e del Consiglio.

            Tramite le parole di Breda il capo dello Stato ha voluto smarcarsi sia dal tentativo di Matteo Salvini di coinvolgerlo nello scontro con Giuseppe Conte sulle modalità del passaggio parlamentare prima de Consiglio Europeo del 23 aprile sia dal tentativo sommerso dello stesso Conte di coinvolgere il Quirinale  nella linea adottata per fronteggiare l’offensiva del leader leghista.

            A Salvini, in particolare, il presidente della Repubblica ha mandato a dire di avere “quasi consumato ogni riserva di pazienza” di fronte alla richiesta che gli ha fatto, sia pure indirettamente, di intervenire perché il Consiglio Breda 1 .jpegEuropeo venga preceduto da un voto parlamentare che vincoli il governo nelle trattative auguralmente conclusive sui meccanismi del cosiddetto fondo salva-Stati e su altri interventi dell’Unione a favore dei paesi alle prese con l’emergenza virale. Esiste una legge  del 2012 che in effetti stabilisce “la partecipazione” del Parlamento alla definizione della politica europea, ma non spetta al capo dello Stato stabilire in che modo questa partecipazione debba avvenire, essendo un problema di rapporti fra il governo e le Camere.

            A Conte invece Mattarella ha mandato a dire di avere classificato fra le “questioni di tattica, giocate sul filo del diritto parlamentare”, di cui peraltro il presidente della Repubblica è stato docente universitario, il tentativo di “aggirare” il rischio di una spaccatura della maggioranza sottraendosi alla votazione di un documento parlamentare sulle questioni in partita prima del Consiglio Europeo, nella speranza di affrontare meglio il passaggio alle Camere dopo il vertice, a trattative concluse, e a fatti ormai compiuti.

            Piuttosto, in questo scenario di furbizie e convenienze Mattarella ha fatto capire di avvertire un certo disagio dopo avere tanto raccomandato nelle scorse settimane un clima di unità nazionale di fronte ad una evenienza quasi bellica come quella dell’emergenza virale: un clima che imporrebbe ad una maggioranza di governo di essere ugualmente compatta ed aperta al contributo, o comunque ad un rapporto corretto e costruttivo con le opposizioni: condizioni che purtroppo non sono maturate. Anzi, con i contrasti esplosi sull’uso o no del fondo europeo salva-Stati fra il Movimento 5 Stelle e il Pd, si è creata una “crisi strisciante”, ha scritto Breda, nella quale il Quirinale non intende naturalmente farsi coinvolgere.

            Se poi questa crisi dovesse esplodere davvero, ha fatto sapere Mattarella, si tolgano dalla testa i partiti e i leader che vi fossero Breda 2 .jpeginteressati dal proporre al presidente della Repubblica soluzioni di qualsiasi tipo per arrivare ad elezioni anticipate in autunno. Draghi o non Draghi a Palazzo Chigi, Colao o non Colao, peraltro scelto autonomamente da Conte per partecipare alla gestione dell’emergenza virale e non suggerito e tanto meno imposto da Mattarella,  di “urne in autunno sul Colle non vogliono neppure sentir parlare”. 

 

 

 

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Le matrioske delle emergenze che hanno portato e lasciato Conte a Palazzo Chigi

Le matrioske hanno un volto generalmente femminile. Qualche vignettista dovrebbe decidersi a disegnarne col volto maschile: quello, per esempio, di Giuseppe Conte. Che è politicamente nato sull’onda di un’emergenza ed è via via Conte.jpegcresciuto di o con altre emergenze di varia natura, superandole sinora tutte.  Ma forse si è appena esposto al rischio di rimanerne vittima, come sperano critici ed avversari più o meno emersi o sommersi, secondo le circostanze e i gusti.

L’emergenza che lo portò nella primavera del 2018 a Palazzo Chigi -su designazione dei grillini alla fine accettataMattarella.jpeg dai leghisti e dallo stesso capo dello Stato, che non nascose una certa sorpresa, avendo preferito che gli fosse proposto per Palazzo Chigi  il nome di un politico di esperienza, possibilmente eletto- fu quella politica e istituzionale di un turno elettorale che rischiava di essere ripetuto a tamburo battente, o quasi.

Di elezioni anticipate, per carità, ve ne erano state fra le cosiddette prima e seconda Repubblica: anche troppe, sbottò una volta al Quirinale Giorgio Napolitano. Ma non ve n’erano mai state di così ravvicinate come rischiavano di essere quelle dell’estate o dell’autunno del 2018, dopo il rinnovo delle Camere avvenuto col voto del 4 marzo.

Il governo gialloverde si trovò già verso la fine di quell’anno con l’emergenza di una legge finanziaria contestata dalla Commissione Europea per via di un 2,4 per cento di rapporto fra deficit di bilancio e pil, cioè prodotto interno lordo, che Conte riuscì all’ultimo momento a trasformare in un magico e digeribile 2,04 per cento. E ciò tra il malumore comune di leghisti e soprattutto grillini, che avevano già festeggiato dal balcone di Palazzo Chigi con la cifra originaria del 2,4 “la sconfitta” della povertà in Italia.

Con le elezioni europee di fine maggio 2019, a dispetto dell’anno “bellissimo” autoassegnatosi da Conte, arrivò la crisi emergenziale di identità e d’altro tipo ancora dei grillini, persisi per strada quasi metà dell’elettorato Salvini.jpegdell’anno prima e sorpassati dagli alleati leghisti. Il cui “capitano” Matteo Salvini, dopo esitazioni che gli risultarono politicamente fatali, cercò in pieno agosto di tentare il colpaccio delle elezioni anticipate, avvertite però come un’emergenza da grillini, Pd e sinistra di liberi e uguali. Che offrirono all’esitante presidente della Repubblica una soluzione alternativa allo scioglimento delle Camere. Nacque così il governo Conte 2, non bis, quale sarebbe stato una riedizione del governo gialloverde.

Ancora fresco di formazione e giuramento, il nuovo esecutivo si trovò di fronte ad una nuova emergenza politica: la scissione del Pd ad opera di Matteo Renzi, che cominciò subito a scuotere la maggioranza, pur nata dalla sua improvvisa rinuncia a mangiare pop-corn in attesa di nuove elezioni. Il toscano fece drizzare i capelli al povero segretario del Pd Nicola Zingaretti, che pure non ne ha, e ai grillini capeggiati ancora da Luigi Di Maio, nel frattempo trasferitosi alla Farnesina dai due ministeri -dello Sviluppo Economico e del Lavoro- occupati nel precedente governo. Ma pur con la feluca metaforica di ministro degli Esteri “Giggino” avrebbe poi dovuto fare un passo indietro nel suo movimento e lasciarlo alla reggenza di Vito Crimi.

Quest’ultimo, sorpreso non meno di Conte dalla sopraggiunta emergenza sanitaria, economica e sociale del coronavirus, e delle relative complicazioni nei rapporti fra Stato e regioni già pasticciati con la sventurata riforma del titolo quinto della Costituzione, improvvisata dalla sinistra Crimi.jpegnel 2001 nel tentativo peraltro fallito di guadagnarsi il favore dei leghisti e sottrarli alla tentazione di tornare all’alleanza con Silvio Berlusconi; quest’ultimo, dicevo a proposito di Crimi, si è incaponito di fronte ad un problema forse più grande di lui com’è quello dei rapporti con l’Unione Europea. In particolare, egli ha diffidato il Pd, in una intervista rilasciata all’ospitalissmo e compiaciuto Fatto Quotidiano, dal premere sul presidente del Consiglio per aderire alla nuova edizione in corso d’opera del cosiddetto fondo europeo salva-Stati, noto anche come Mes, acronimo di Meccanismo europeo di stabilità, e usarne il finanziamento per le spese sanitarie e affini dell’emergenza virale.

Il Pd, premuto esternamente a sua volta da Romano Prodi ma incoraggiato anche da Silvio Berlusconi, questa volta in dissenso ancora più aperto del solito dalle altre componenti del centrodestra, non si è fermato per niente all’altolà di Crimi. E Conte, avvertito il rischio di rimanere schiacciato nella tenaglia giallorossa, peraltro in uno scenario in cui da settimane si parla e si pensa ad un “governissimo” di unità nazionale presieduto dal prestigiosissimo ex presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi, ha cercato quanto meno di temporeggiare. Egli, in particolare, ha liquidato come “premature” le polemiche ed ha smesso di proclamare, con tono vagamente sovranista come quello che pure contesta tutti i giorni a Salvini e ai fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, che non userà il fondo salva-Stati per paura di trovarsi di fronte a condizioni tanto imprevedibili quanto pesanti.

Come andrà a finire, a questo punto, la gestione dell’ennesima emergenza apertasi nella maggioranza alla vigilia del vertice europeo della prossima settimana, lo vedremo dai fatti. Certo è che la matrioska delle emergenzeCasini.jpeg è diventata a questo punto enorme. E non mi stupisce che un parlamentare sgamato come Pier Ferdinando Casini, chiamato “Pierfurby” dagli amici, compreso me, si sia lasciato scappare un’intervista ai giornali del gruppo Monti Riffeser –Il Giorno, il Resto del Carlino e la Nazione, in ordine geografico decrescente di pubblicazione- nel cui titolo gli si fa “archiviare” il governo Conte nella prospettiva di un governo Draghi. “Servono -ha detto testualmente il senatore ed ex presidente della Camera- persone che hanno credibilità e capacità. E’ finito il tempo del dilettantismo”.

 

 

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