I messaggi cifrati della politica sulle sorti del governo giallorosso e dintorni

            La politica, nelle cronache delle lotte dei protagonisti e attori di turno, si è sempre alimentata di messaggi cifrati, specie nei passaggi più difficili, quando si naviga più nei sommergibili che sulle navi di crociera. Non deve perciò stupirne l’abbondanza in questi giorni di crisi non solo virale, non solo economica, non solo sociale ma anche politica, appunto, quando chi guida il governo, o vi partecipa in posizioni di rilievo, rischia di perderlo e chi è interessato ad accelerare il corso degli eventi avverte il bisogno di parlare a nuora, come si dice, perché suocera intenda.

            I cacciatori di notizie, di umori e quant’altro stanno ancora cercando di capire a che cosa davvero volesse alludere il presidente del Consiglio Giuseppe Conte -nel parlare nell’intervista di domenica scorsa al Giornale della famiglia Berlusconi Draghi.jpegdei suoi rapporti “personali” con Mario Draghi- per escludere che l’ex presidente della Banca Centrale Europea possa prestarsi a “manovre” più o meno oblique che lo spingono verso Palazzo Chigi. E magari per soluzioni “tecniche” alle quali lo stesso Conte preferisce soluzioni “politiche”, pur essendo lui arrivato alla politica non in autostrada, eletto in qualche lista di partito, ma per un sentiero o sentierino apertogli dopo le elezioni del 2018 da grillini e leghisti. Nei cui riguardi il professore si sentiva tanto in obbligo da farsi affiancare dai designatori in veste di vice presidenti del Consiglio, ad uno dei quali -quello grillino- fu sorpreso una volta a chiedere alla Camera se potesse dire o no una certa cosa.

            Anche Folli su Conte Draghi.jpegl’attrezzatissimo notista politico di Repubblica Stefano Folli, già direttore del Corriere della Sera, ha trovato martedì “involuto” e troppo “criptico” quel passaggio dell’intervista di Conte al Giornale a proposito dei suoi rapporti con Draghi.

            Luigi Di Maio, che era quel vice presidente del Consiglio interpellato da Conte sulla opportunità o meno di dire una certa cosa, e che ora è “soltanto” ministro degli Esteri, non più capo del movimento grillino, e neppure capo della sua delegazione governativa, ha curiosamente avvertito proprio in questi giorni di crisi, o di manovre per una crisi, il bisogno di tessere un elogio sperticato del presidente della Repubblica. Egli si è scusato di averne proposto addirittura il cosiddetto impeachment meno di due anni fa e ne ha auspicato la Il Fatto su Di Maio e Mattarella.jpegrielezione al Quirinale fra due anni. “Toccherà a lui decidere” se lasciarsi candidare o no evidentemente dai grillini o da ciò che ne sarà allora rimasto del movimento 5 Stelle, ha detto Di Maio guadagnandosi ieri, non credo proprio a caso, un titolo a pagina 3 del Fatto Quotidiano. Che la politica non si limita a raccontarla, ma cerca anche di farla sotto la direzione fustigatrice di Marco Travaglio.

Sempre sul Fatto Quotidiano il fondatore ed ex direttore Antonio Padellaro con aria di scherzarci sopra ha a suo modo bastonato il senatore della maggioranza ed ex presidente dellaPadellaro contro Casini.jpeg Camera Pier Ferdinando Casini per avere preconizzato, o tornato a preconizzare una caduta estiva o autunnale di Conte, con tanto di “forconi” alzati contro di lui, conversando per strada con Augusto Minzolini, del Giornale. Ma, per sfortuna di Padellaro, e di Conte, considerato dal Fatto il top per l’Italia, Casini ha mandato una “precisazione” al quotidiano Casini al Giornale.jpegberlusconiano non per addolcire le sue previsioni ma solo per dire che, sorpreso a passeggiare ai Parioli “per 12 chilometri” da Minzolini, lui cammina tanto senza mai allontanarsi da casa, e violare quindi i divieti da emergenza virale, bensì solo girandole attorno nel perimetro dei duecento metri consentiti. E’ stato quindi un messaggio di sfratto a Conte neppure tanto cifrato.

 

 

 

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Le “colpe” degli anziani aggravate nel ciclone dell’emergenza da virus

Le “colpe” degli anziani erano già molte prima della emergenza virale. Se ne lamentavano il numero crescente per l’allungamento della vita e i conseguenti aumenti dei costi previdenziali e sanitari; il frequente e certamente discutibile uso a tempo sostanzialmente pieno nelle aziende dove avevano lavorato o altre, magari in nero, a scapito dei giovani; le pensioni maturate col sistema retributivo, più vantaggioso di quello contributivo, e perciò destinate ad appesantire i bilanci degli istituti erogatori, pubblici o privati, a scapito anche qui dei giovani, a rischio di trovare le casse vuote all’arrivo del loro turno, anche per via della riduzione dei contributi per effetto di un’occupazione sempre più ridotta.

Non parliamo poi degli anziani col torto ulteriore di avere fatto politica a vari livelli elettivi maturando vitalizi indigeribili per il loro stesso nome, spesso persino cumulabili fra loro per norme a suo tempo approvate tra l’indifferenza o la distrazione generale e poi tradottesi in diritti acquisiti, anch’essi impresentabili per il loro stesso nome.

I grillini hanno fatto delle campagne contro questi fenomeni, liquidati tutti come odiosi privilegi, le loro fortune brindisi anti-tagli.jpegelettorali. Ed hanno brindato in piazza quando sono riusciti, una volta al governo, a usare le forbici senza neppure ricorrere a leggi, ma a delibere di uffici parlamentari contro cui bastava ricorrere ad uffici di istanza superiore per procurarsi insulti anche nei più sofisticati o morigerati studi televisivi.

L’arrivo dell’emergenza da coronavirus ha caricato gli anziani di altre “colpe” ancora, a cominciare da quella di essere i più esposti al contagio e i più destinati alla morte, per cui il loro ricovero negli ospedali è apparso ad alcuni un altro danno per i meno anziani o i più giovani, potenziali destinatari di cure di maggiore successo. Non ancora in Italia, in verità, ma all’estero, ci sono moduli destinati ai più anziani per fare loro rinunciare preventivamente ai ricoveri e alle cure, una volta contagiati, e lasciar curare e sopravvivere i giovani, appunto.

Qualche lacrima, comprensione e persino protesta di solidarietà gli anziani sono riusciti a guadagnarseli solo quando è capitato loro di morire nelle case di riposo per negligenze, vere o presunte, del personale o, peggio ancora, per la loro imprudente apertura, volontaria o imposta che sia stata, a malati provenienti da ospedali troppo affollati. Allora, poveretti, hanno fatto pena pure loro. E la loro morte ha allertato le Procure della Repubblica con la produzione delle solite cronache giudiziarie a doppia lettura: una per i tribunali, in vista dei processi quando e si vi si arriverà, e una per le piazze, dove i processi si svolgono col solito rito sommario a scapito del malcapitato di turno, specie se ammantato di qualche funzione o carica politica. Siamo insomma a una mezza riedizione della poco esaltante stagione di “Mani pulite”, cominciata il 17 febbraio 1992 proprio nel Pio Albergo Trivulzio, noto ai milanesi come Baggina.

In vista della cosiddetta fase 2, quando si allenteranno le misure restrittive della mobilità dei cittadini, se ne sono già ipotizzate di nuove e particolari a carico degli anziani. Ai quali magari sarà imposto di stamparsi gli anni sulla fronte come con un bollo per farsi riconoscere per la loro intrinseca debolezza e perciò pericolosità di contagio, passivo ed attivo.

Questa storia dei timbri sulla fronte fu anticipata o temuta negli anni Settanta sul Giornale di Indro Montanelli dal compianto Cesare Zappulli commentando l’abitudine che stava prendendo piede di estendere ai servizi, particolarmente a quelli sanitari e scolastici, la progressività applicata al trattamento fiscale dei redditi. “Ci toccherà stamparceli in fronte, i nostri redditi, prima di presentarci in ospedale, o in farmacia, o in una scuola per iscrivere i nostri figlioli”, scrisse pressappoco Zappulli nella sua rubrica “Se fossi Averroè”, un filosofo medievale spagnolo di cui egli era devoto come al suo San Gennaro. Di un cui busto Cesarino aveva arredato la sua stanza nella redazione romana del Giornale, con una candela che soleva accendere ogni volta che vi captava da Milano il direttore occupando la scrivania davanti alla sua.

Massimo Fini, da buon anziano, ha scritto in questi giorni un articolo appellandosi all’articolo 3 della Costituzione sulla uguaglianza e pari dignità di tutti i cittadini “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Ma i costituenti si dimenticarono di aggiungere esplicitamente la condizione di anziano, considerando forse gli inconvenienti, per legge, della cosiddetta minore età, e non immaginando né il codi 19 né il Beppe Grillo capace di proporre come garante del partito più rappresentato in Parlamento la soppressione del diritto di voto sopra i 70 anni. Ah, che errore e orrore.

 

 

 

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Giuseppe Conte in mezzo al guado, tra le varie crisi che lo attanagliano

            Questa volta Giuseppe Conte nella cosiddetta informativa alle Camere sull’emergenza virale e sul Consiglio Europeo di domani -di cui si attendono le decisioni su modalità e consistenza Repubblica.jpegdegli interventi finanziari dei quali potrà disporre l’Italia mentre si profila una perdita del Pil di addirittura il 15 per cento, come ha gridato in prima pagina la Repubblica di carta- è stato molto attento a non deludere le attese del presidente della Repubblica. E neppure quelle del Pd, pur non condivise nella maggioranza da larga parte dei grillini, sulla possibilità di ricorrere al cosiddetto e temutissimo fondo salva-Stati, o meccanismo europeo di stabilità, dopo l’uso devastante fattone in Grecia, anche se adesso sono cambiate le cosiddette “condizionalità”.

            Il riguardo verso il capo dello Stato, da mesi ormai impegnato a raccomandare solidarietà e unità nazionale di fronte alle dimensioni della crisi sanitaria, economica e sociale in corso, si è tradotto in un’esplicita apertura di Conte alle opposizioni. Che ha provocato mormorii e proteste fra leghisti e fratelli d’Italia, diffidentissimi verso il presidente del Consiglio per come li aveva trattati sino al giorno prima. Invece, specie al Senato, Conte è riuscito Malan.jpega strappare persino applausi tra i forzisti berlusconiani. I quali però nella discussione seguita alle dichiarazioni del presidente del Consiglio non si sono gran che distinti dalle altre due componenti del centrodestra. Particolarmente duro con Conte è stato, per esempio, il senatore piemontese Lucio Malan. Abbastanza critica col governo è stata alla Camera la capogruppo forzista Mariastella Gelmini.

            In verità, nel partito di Berlusconi le acque sono abbastanza agitate, anche se l’ultima parola la conserva naturalmente il Cavaliere nel suo rifugio antivirale in Provenza. Il direttore del GiornaleConte Godot.jpeg di famiglia, Alessandro Sallusti, ha scritto nel suo editoriale di un Conte Godot, dalle attese Martino su Conte.jpegquindi inutili. Il giorno prima l’ormai ex parlamentare Antonio Martino, oltre che ex ministro, ma pur sempre fra i più prestigiosi fondatori di Forza Italia, aveva liquidato Conte sullo stesso Giornale come persona inaffidabile anche per “la portineria” del suo condominio. Le conclusioni mediatiche, se non Tajani su Conte.jpegpolitiche, le ha un po’ tratte il vice presidente di Forza Italia, ed ex presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani dichiarando al Corriere della Sera, testualmente: “Questo governo è debole e pieno di contraddizioni, ma oggi siamo ancora nella fase dell’emergenza e un cambio di esecutivo non è all’ordine del giorno. Quando si supererà, vedremo. Non ora”.

            Aumentano intanto le tensioni fra i grillini, sempre più divisi tra convinti sostenitori o rassegnati a Conte e insoddisfatti o furenti. Un segno tangibile di ciò che bolle in quella pentola si coglie nel sostanziale attacco del Fatto Quotidiano, tra prima pagina e interno, al ruolo Il Datto 1° pagina.jpegevidentemente decisivo svolto da Davide CasaleggioFatto all'nterno.jpeg nella conferma alla guida operativa dell’Eni di Claudio Descalzi, nonostante il veto, chiamiamolo così, posto ripetutamente dal direttore di quel giornale, seguitissimo sotto le cinque stelle: un veto motivato con le sue pendenze giudiziarie e gli affari presuntivamente condivisi con la consorte congolese Marie Madeleine Ingoba. Ora Descalzi sarà affiancato da un nuovo presidente, che è la quasi editrice dello stesso Fatto Quotidiano Lucia Calvosa, tra il comprensibile imbarazzo, credo, dei lettori in senso lato di quel giornale.

 

 

 

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Quel curioso segreto dei rapporti personali fra Conte e Draghi

         Della lunga intervista di Giuseppe Conte al  Giornale di domenica scorsa hanno fatto rumore le parti riguardanti l’apprezzamento dell’opposizione “costruttiva“ del partito di Silvio Berlusconi, diversamente dalle altre componenti del centrodestra, e le aperture ad un cambiamento della maggioranza attuale implicite nell’impegno assunto dal presidente del Consiglio di proporsi lui stesso, evidentemente al presidente della Repubblica, per “soluzioni” diverse se le difficoltà dovessero aumentare in questo momento così difficile per il Paese e il governo rivelarsi non abbastanza “forte e determinato”. Libero.jpeg“In stato confusionale”, lo ha vistosamente bollato oggi Libero. Si andrebbe insomma al Conte ter scappato di bocca come una battuta al portavoce del presidente del Consiglio ancor prima che scoppiasse l’emergenza da coronavirus.

            E’ curiosamente passata inosservata invece la parte di quell’intervista in cui Conte ha liquidato l’ipotesi di una successione Draghi, pur essendogli stata cortesemente prospettata dagli intervistatori con questa domanda: “In una fase critica come quella che stiamo vivendo, e soprattutto quella che dovremo vivere nei prossimi mesi, non pensa possa essere una Domanda Giornale.jpegbuona idea coinvolgere in qualunque forma una personalità come Mario Draghi, certamente l’italiano con più autorevolezza nel mondo” ? La discrezione del quesito non deve essere sfuggita al presidente del Consiglio, vista la decisione con la quale qualche giorno prima, per esempio, l’ipotesi di Draghi a Palazzo Chigi era stata avanzata esplicitamente dal senatore della maggioranza ed ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, per non parlare delle precedenti aperture della Lega con dichiarazioni di Matteo Salvini e di Giancarlo Giorgetti.

            “Draghi -ha risposto Conte- è persona di grande autorevolezza e di elevata professionalità. Se il riserbo dei nostri rapporti non Risposta Conte.jpegmi facesse velo, io stesso potrei rivelare un episodio che testimonia la grandissima stima che ho per lui. Ma proprio per questo non è persona che si lascia tirare per la giacchetta in polemiche che nascono in modo palesemente strumentale e sono frutto di manovre politiche estemporanee”.

            Con tutto il rispetto per il “riserbo” invocato dal presidente del Consiglio parlando dei suoi “rapporti personali” col convitato di pietra, diciamo così, di quel passaggio dell’intervista, sarebbe stato e sarebbe tuttora il caso di chiedergli qualcosa di più sulla certezza praticamente Draghi.jpegdimostrata di una indisponibilità -o qualcosa di simile- dell’ex presidente della Banca Centrale Europea alle presunte “manovre politiche estemporanee”. Così il presidente del Consiglio -ripeto- ha ritenuto di liquidare le proposte levatesi non certo da avventori di bar, peraltro ancora chiusi per l’emergenza, o frequentatori di taxi per un nuovo governo, anzi governissimo, guidato da una personalità di così indiscusso valore come Draghi.

            Comunque, anche dopo l’intervista di Conte al Giornale non un cronistucolo di passaggio ma un editorialista del Corriere della Sera come Aldo Cazzullo, intervistato dal direttore di Libero Pietro Senaldi, è tornato Aldo Cazzullo a Libero, lunedì.jpega dire, testualmente: “Noi non siamo considerati affidabili né come popolo né come leader. Forse Draghi sarebbe l’unico a poter chiedere all’Europa di fidarsi dell’Italia e a venire creduto”. Gli è andato appresso Emilio Giannelli attribuendo perfidamente nella sua vignetta sul Corriere a Conte il dubbio che sia davvero “essenziale” il suo governo.

 

 

 

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Il fantasma di Berlusconte ha provocato il prevedibile marasma politico e mediatico

            Ha provocato un marasma facilmente prevedibile il fantasma di Berlusconte, emerso dall’intervista al Conte al Giornale.jpegGiornale nella quale il presidente del Consiglio ha apprezzato l’opposizione “costruttiva” di Silvio Berlusconi ed ha annunciato che sarà lui stesso a “sollecitare per primo” una nova “soluzione” politica se l’attuale governo non si rivelasse “forte e determinato”, viste le tensioni esistenti nella maggioranza giallorossa.

            Al Fatto Quotidiano, poverini, si sono affrettati a tempestare Palazzo Chigi di telefonate e si sono accontentati, prudentementeIl Fatto.jpeg solo in seconda pagina, non in prima, della garanzia dello “staff” di Conte: “mai aperto a Forza Italia”. Antonio Gramsci avrebbe riparlato di “ottimismo della volontà”, contrapposto al “pessimismo della ragione”, per esempio, del vice presidente leghista del Senato Roberto Calderoli.

            A quest’ultimo il quotidiano  di centrodestra Libero, affrettatosi a tradurre in prima pagina l’intervista Libero.jpegdi Conte in un “Silvio, aiutami tu”, ha fatto dire nel titolo di un’altra intervista molto Titolo Libero a Calderoli.jpegmeno di quanto non abbia in realtà detto. “Manca solo che il governo arruoli Silvio come esperto”, si legge nel titolo di questa intervista. In realtà, Calderoli Parola di Calderoli.jpegnon ha neppure pronunciato simili parole, ma queste altre: “Forza Italia ha bisogno di un governo di unità nazionale che gli faccia trovare un po’ di ossigeno”, per cui Conte saprebbe di poterne disporre come interlocutrice, a dir poco, in caso Meloni alla Stampoa.jpegdi maggiori difficoltà e di crisi. E, quindi, può “lisciargli il pelo”, come a un cane, ha aggiunto Giorgia Meloni parlando di Conte alle prese con Berlusconi in una intervista che La Stampa ha richiamato in prima pagina con questo titolo: “M5S spaccato, per questo Conte corteggia Berlusconi”. Scusate le ripetizioni.

            Curiosamente, ma non troppo, il giornale più imbarazzato -persino più del Fatto Quotidiano- si è mostrato proprio quello che ha raccolto e diffuso con la massima evidenza possibile l’intervista di Conte, giustificandosene con i lettori colti di sorpresa e diffidenti, come ha ammesso Titolo Sallusti.jpeglo stesso direttore Alessandro Sallusti. Che li ha rassicurati con un editoriale intitolato “Nessun pateracchio con Conte & C.”, al termine del quale si è avventurato, diciamo così, a Sallusti sulGiornale.jpeginterpretare sentimenti umani e politici di Berlusconi scrivendo, testualmente: “Se una nuova fase politica deve essere, e noi ci auguriamo che sia, non si può che passare da un azzeramento dell’attuale assetto, sia nella formula sia negli uomini, a partire dal premier. Qualsiasi altra ipotesi è pura fantasia, sterile gioco di palazzo”.

            L’ingenuo, a dir poco, direttore del Giornale della famiglia Berlusconi si trova tuttavia smentito a distanza dalla vice presidente forzista, cioè berlusconiana, della Camera Carfagna a Repubblica.jpegMara Carfagna. Che in una intervista a Repubblica intitolata “Siamo come dopo il 1945, serve un esecutivo di unità nazionale”, ha prudentemente Parola di Carfagna.jpegrisposto così al quesito sull’eventuale guida di un simile governo: “E’ una domanda prematura. Nessuno di noi si vuole sostituire al presidente della Repubblica, nei confronti del quale nutriamo la massima fiducia. La situazione nel Paese è drammatica”.

            In effetti, pur non ignorando di certo il peso dei partiti e delle loro designazioni o proposte, come dimostrano anche passaggi governativi come quelli di Giuseppe Pella ai tempi di Luigi Einaudi, di Giuliano Amato, Carlo Azeglio Ciampi e Lamberto Dini ai tempi di Oscar Luigi Scalfaro e di Enrico Letta e Mario Monti ai tempi di Giorgio Napolitano, resta fermo l’articolo 92 della Costituzione. Che conferisce solo al presidente della Repubblica il diritto di nominare il presidente del Consiglio e, su proposta di questo, i ministri.

 

 

 

 

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Oddio, si affaccia sullo scenario politico addirittura un Berlusconte

            Ci sono due Io sulle prime pagine dei giornali di questa penultima domenica di aprile, e terzultima delle restrizioni imposteci dall’emergenza virale, in attesa della cosiddetta fase 2 su cui si stanno accapigliando tecnici e politici per definirne le modalità applicabili dal 4 maggio: non prima, come ha appena avvertito il presidente del Consiglio frenando i frettolosi governatori del Nord.

            I due Io sono quelli di Eugenio Scalfari sulla “sua” Repubblica di carta e di Giuseppe Conte Scalfari.jpegsul Giornale della famiglia Berlusconi, da cui si è lasciato intervistare per ricambiare le carinerie personali e politiche riservategli negli ultimi tempi dal Cavaliere in prudente ritiro antivirale in Provenza, ma sempre vigile su quel che resta di  Forza Italia. Di cui è arcinoto il dissenso dal cosiddetto sovranismo delle altre componenti del centrodestra e dei loro leader, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, recentemente attaccati in diretta televisiva dal presidente del Consiglio come sabotatori virtuali dei tentativi che egli sta facendo per rendere l’Europa più generosa con l’Italia in questa crisi epocale.

            L’Io di Scalfari, pur presentato come “una brutta bestia”, è tuttavia più autentico e diretto dell’altro, riguardando davvero lui in un editoriale filosofico, proiettato tutto su se stesso nei panni dell’Ulisse di Dante, messosi “per l’alto mare aperto”. L’Io di Conte è invece un derivato che gli attribuisce nel titolo il GiornaleIl Giornale.jpeg per fargli dire “non mollo” nelle pur tante difficoltà che gli stanno creando, contemporaneamente, il coronavirus e le forze della sua notoriamente variegata maggioranza giallorossaLa Stamoa.jpeg fra le preoccupazioni del Quirinale, Dove si teme una “crisi al buio”, come avverte nel titolo di prima pagina La Stampa, non certamente fra gli ultimi giornali italiani.

            Nonostante la fiducia, l’ottimismo e quant’altro coltivato non foss’altro per dovere d’ufficio sulla tenuta della sua maggioranza di fronte alla concreta prospettiva che dal Consiglio Europeo del 23 aprile non escano gli eurobond, o coronabond, ma un più accessibile e vantaggioso ricorso al fondo salva-Stati, notoriamente indigesto ai pentastellati come alla destra sovranista, Conte si è aperto anche a formule ministeriali -sempre politiche, non tecniche- diverse da quella realizzata nella scorsa estate. In particolare, egli ha detto, Conte al Giornale.jpegconsentendo appunto al Giornale di scrivere di “governo diverso” nella presentazione dell’intervista: “Se questo governo non fosse forte e determinato, sarei il primo a sollecitare una nuova soluzione per non compromettere la realizzazione del bene comune, tanto più in questa difficilissima sfida” al coronavirus, all’Europa o, più in generale, alla “sfiga”, come direbbero a Roma.

            Se si uniscono questa disponibilità e l’apprezzamento per la posizione “costruttiva” di Forza Italia viene fuori la sagoma di un fantasma: “Berlusconte”, direbbe la buonanima di Giampaolo Pansa, autore del “Dalemoni” degli anni Novanta del secolo scorso. Vi lascio immaginare con quali e quanti trambusti nella redazione quasi stellata del Fatto Quotidiano, fermi al reggente grillino Vito Crimi che dice “Conte non si tocca”, non certo pensando anche ad un governo a partecipazione forzista.

             Crimi tuttavia deve anche qualche spiegazione al giornale di Marco Travaglio, che si chiede abbastanza Fatto su Descalzi.jpegnervosamente perché mai “per i vertici dei 5Stelle Descalzi non sia “mai stato davvero in bilico” al vertice operativo dell’Eni, nonostante le sue pendenze giudiziarie,  destinato addirittura ad essere ora affiancato decorativamente come presidente da una quasi editrice del Fatto Quotidiano: una specie di contrappasso.

 

 

 

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L’aspetto politicamente positivo dell’ospedale Covid alla Fiera di Milano

            Sull’ospedale realizzato nella Fiera di Milano con la collaborazione di Guido Bertolaso in questa emergenza virale si è sviluppata una campagna dai toni denigratori ad opera soprattutto del Fatto Quotidiano. Nella polemica interviene con la sua opinione Salvatore Damato, professore associato di malattie respiratorie e con un lunghissima esperienza ospedaliera sulle spalle:

              L’ospedale Covid allestito nei padiglioni della Fiera di Milano è stato istituito per trasformare l’epidemia in opportunità per la cura di oggi e di domani. Non è un ospedale nuovo, ma è parte del Policlinico di milano, che lo gestisce col suo personale e le sue apparecchiature. Può chiuderlo ed aprirlo secondo le necessità. Può assumere e muovere il suo personale a secondo delle necessità. Obama ne sarebbe fiero. Sotto questo aspetto è veramente un ospedale “politico”, ma nel senso questa volta davvero buono della parola.

Salvatore.jpeg

salva.damato@libero.it

Clamorosa sfida grillina a Mattarella sulla crisi strisciante della maggioranza

            Non dico intimidito, perché non era questo il proposito del Quirinale, ma neppure fermato o frenato dalle preoccupazioni e dai moniti levatisi dal presidente della Repubblica  attraverso il Corriere della Sera contro la “crisi strisciante” che sta logorando la maggioranza, il reggente del Movimento 5 Stelle Vito Crimi è tornato a diffidare il presidente del Consiglio dalla tentazione di usare il cosiddetto fondo salva-Stati, o meccanismo europeo di stabilità, noto ormai col suo acronimo Mes, per finanziare almeno in parte gli interventi contro l’epidemia. Lo strumento sarebbe talmente “inadeguato” che “non c’è bisogno neppure di dire no”, ha sostenuto Crimi senza neppure attendere di sapere ciò che Giuseppe Conte potrà portare a casa dal Consiglio Europeo del 23 aprile. Al quale il presidente del Consiglio ha deciso, fra le rumorose proteste delle opposizioni, di partecipare con le mani completamente libere, senza farsi dettare la linea con un voto dal Parlamento, cui pure riferirà preventivamente martedì.

            Pur reggente, ripeto, cioè provvisorio alla guida del maggiore partito della coalizione giallorossa di governo, Crimi si muove su questa linea estremamente rigida sapendo di avere le spalle coperte dai big del movimento: dal predecessore e tuttora ministro degli Esteri Luigi Di Maio, dilungatosi su questa posizione l’altra sera in un lungo collegamento Blog Grillo.jpegtelevisivo con Barbara Palombelli, sulla rete 4 di Mediaset, al presidente della Camera Roberto Fico, espostosi davanti alle telecamere contro il Mes, e allo stesso Beppe Grillo. Che da “garante”, “elevato” e quant’altro sul suo blog personale ha ottimisticamente previsto “il futuro buono che verrà”, evidentemente pensando anche al Consiglio Europeo con la stessa visione dei problemi sul tappeto espressa dai vertici del movimento pentastellato.

            Che poi i deputati grillini nel Parlamento Europeo non siano riusciti a votare tutti alla stessa maniera in vista del Consiglio di giovedì, dividendosi fra contrari e astenuti su un documento propedeutico al vertice, importa poco. A Strasburgo la confusione, probabilmente favorita anche dalle modalità “a distanza”, è massima anche fra le componenti del centrodestra, visto che contro gli eurobond, o coronabond, considerati in Italia uno strumento preferibile al Mes, hanno votato insieme a sorpresa i leghisti di Matteo Salvini e i forzisti di Silvio Berlusconi, diversamente dai fratelli di Giorgia Meloni.

            Per tornare in Italia e alla “crisi strisciante” nella maggioranza, anche se non si volesse sposare il titolo La Verità.jpegdella Verità di Corriere.jpegMaurizio Belpietro- “Giallorossi sull’orlo della crisi sul Mes e mezzo M5s strizza l’occhio alla Lega”-  basterebbe Verderami.jpegfermarsi a quello più prudente ma non meno problematico del Corriere della Sera. Che ha intitolato “Le tensioni e quei contatti per il dopo” un retroscena di Francesco Verderami in cui è scritto, fra l’altro: “Non si sa quanto possa ancora reggere l’esecutivo. “Un mese- ipotizza Casini- forse due. Poi i gravi problemi economici ci imporranno di correre ai ripari o non si salverà nessuno, di maggioranza e di opposizione”. Le parole dell’ex presidente della Camera coincidono coi ragionamenti di autorevoli esponenti del Pd, secondo i quali il tema non è se cambierà il governo ma quando cambierà”.

            Il senatore Pier Ferdinando Casini è notoriamente un politico fra i più felicemente sopravvissuti a quella che il compianto Giampaolo Pansa chiamava “la balena bianca”, cioè la Dc, con un pò troppo ottimismo attribuita come immagine sul Dubbio dell’amico Carlo Fusi  da Pino Casamassima addirittura a Giuseppe Conte, o al suo virtuale partito, fatto un po’ di Pd, un po’ di Movimento 5 Stelle e un po’ chissà di chi altro.

 

 

 

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Mattarella protesta contro la “crisi strisciante” nonostante l’emergenza

            Pur confinata per ragioni, credo, di diplomazia politica a pagina 13, senza richiamo in prima pagina, un’”analisi” del quirinalista del Corriere della Sera Marzio Breda ha fatto arrivare alta e forte La linea Mattarella.jpegagli addetti ai lavori l’insofferenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella per gli sviluppi della situazione politica, nell’intreccio perverso che si è creato tra l’emergenza virale, il modo in cui fronteggiarla riducendo al minimo i danni economici e sociali e i rapporti con l’Unione Europea alla vigilia del vertice di giovedì prossimo. Che sarà peraltro preceduto anche dalla consueta consultazione fra i presidenti della Repubblica e del Consiglio.

            Tramite le parole di Breda il capo dello Stato ha voluto smarcarsi sia dal tentativo di Matteo Salvini di coinvolgerlo nello scontro con Giuseppe Conte sulle modalità del passaggio parlamentare prima de Consiglio Europeo del 23 aprile sia dal tentativo sommerso dello stesso Conte di coinvolgere il Quirinale  nella linea adottata per fronteggiare l’offensiva del leader leghista.

            A Salvini, in particolare, il presidente della Repubblica ha mandato a dire di avere “quasi consumato ogni riserva di pazienza” di fronte alla richiesta che gli ha fatto, sia pure indirettamente, di intervenire perché il Consiglio Breda 1 .jpegEuropeo venga preceduto da un voto parlamentare che vincoli il governo nelle trattative auguralmente conclusive sui meccanismi del cosiddetto fondo salva-Stati e su altri interventi dell’Unione a favore dei paesi alle prese con l’emergenza virale. Esiste una legge  del 2012 che in effetti stabilisce “la partecipazione” del Parlamento alla definizione della politica europea, ma non spetta al capo dello Stato stabilire in che modo questa partecipazione debba avvenire, essendo un problema di rapporti fra il governo e le Camere.

            A Conte invece Mattarella ha mandato a dire di avere classificato fra le “questioni di tattica, giocate sul filo del diritto parlamentare”, di cui peraltro il presidente della Repubblica è stato docente universitario, il tentativo di “aggirare” il rischio di una spaccatura della maggioranza sottraendosi alla votazione di un documento parlamentare sulle questioni in partita prima del Consiglio Europeo, nella speranza di affrontare meglio il passaggio alle Camere dopo il vertice, a trattative concluse, e a fatti ormai compiuti.

            Piuttosto, in questo scenario di furbizie e convenienze Mattarella ha fatto capire di avvertire un certo disagio dopo avere tanto raccomandato nelle scorse settimane un clima di unità nazionale di fronte ad una evenienza quasi bellica come quella dell’emergenza virale: un clima che imporrebbe ad una maggioranza di governo di essere ugualmente compatta ed aperta al contributo, o comunque ad un rapporto corretto e costruttivo con le opposizioni: condizioni che purtroppo non sono maturate. Anzi, con i contrasti esplosi sull’uso o no del fondo europeo salva-Stati fra il Movimento 5 Stelle e il Pd, si è creata una “crisi strisciante”, ha scritto Breda, nella quale il Quirinale non intende naturalmente farsi coinvolgere.

            Se poi questa crisi dovesse esplodere davvero, ha fatto sapere Mattarella, si tolgano dalla testa i partiti e i leader che vi fossero Breda 2 .jpeginteressati dal proporre al presidente della Repubblica soluzioni di qualsiasi tipo per arrivare ad elezioni anticipate in autunno. Draghi o non Draghi a Palazzo Chigi, Colao o non Colao, peraltro scelto autonomamente da Conte per partecipare alla gestione dell’emergenza virale e non suggerito e tanto meno imposto da Mattarella,  di “urne in autunno sul Colle non vogliono neppure sentir parlare”. 

 

 

 

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Le matrioske delle emergenze che hanno portato e lasciato Conte a Palazzo Chigi

Le matrioske hanno un volto generalmente femminile. Qualche vignettista dovrebbe decidersi a disegnarne col volto maschile: quello, per esempio, di Giuseppe Conte. Che è politicamente nato sull’onda di un’emergenza ed è via via Conte.jpegcresciuto di o con altre emergenze di varia natura, superandole sinora tutte.  Ma forse si è appena esposto al rischio di rimanerne vittima, come sperano critici ed avversari più o meno emersi o sommersi, secondo le circostanze e i gusti.

L’emergenza che lo portò nella primavera del 2018 a Palazzo Chigi -su designazione dei grillini alla fine accettataMattarella.jpeg dai leghisti e dallo stesso capo dello Stato, che non nascose una certa sorpresa, avendo preferito che gli fosse proposto per Palazzo Chigi  il nome di un politico di esperienza, possibilmente eletto- fu quella politica e istituzionale di un turno elettorale che rischiava di essere ripetuto a tamburo battente, o quasi.

Di elezioni anticipate, per carità, ve ne erano state fra le cosiddette prima e seconda Repubblica: anche troppe, sbottò una volta al Quirinale Giorgio Napolitano. Ma non ve n’erano mai state di così ravvicinate come rischiavano di essere quelle dell’estate o dell’autunno del 2018, dopo il rinnovo delle Camere avvenuto col voto del 4 marzo.

Il governo gialloverde si trovò già verso la fine di quell’anno con l’emergenza di una legge finanziaria contestata dalla Commissione Europea per via di un 2,4 per cento di rapporto fra deficit di bilancio e pil, cioè prodotto interno lordo, che Conte riuscì all’ultimo momento a trasformare in un magico e digeribile 2,04 per cento. E ciò tra il malumore comune di leghisti e soprattutto grillini, che avevano già festeggiato dal balcone di Palazzo Chigi con la cifra originaria del 2,4 “la sconfitta” della povertà in Italia.

Con le elezioni europee di fine maggio 2019, a dispetto dell’anno “bellissimo” autoassegnatosi da Conte, arrivò la crisi emergenziale di identità e d’altro tipo ancora dei grillini, persisi per strada quasi metà dell’elettorato Salvini.jpegdell’anno prima e sorpassati dagli alleati leghisti. Il cui “capitano” Matteo Salvini, dopo esitazioni che gli risultarono politicamente fatali, cercò in pieno agosto di tentare il colpaccio delle elezioni anticipate, avvertite però come un’emergenza da grillini, Pd e sinistra di liberi e uguali. Che offrirono all’esitante presidente della Repubblica una soluzione alternativa allo scioglimento delle Camere. Nacque così il governo Conte 2, non bis, quale sarebbe stato una riedizione del governo gialloverde.

Ancora fresco di formazione e giuramento, il nuovo esecutivo si trovò di fronte ad una nuova emergenza politica: la scissione del Pd ad opera di Matteo Renzi, che cominciò subito a scuotere la maggioranza, pur nata dalla sua improvvisa rinuncia a mangiare pop-corn in attesa di nuove elezioni. Il toscano fece drizzare i capelli al povero segretario del Pd Nicola Zingaretti, che pure non ne ha, e ai grillini capeggiati ancora da Luigi Di Maio, nel frattempo trasferitosi alla Farnesina dai due ministeri -dello Sviluppo Economico e del Lavoro- occupati nel precedente governo. Ma pur con la feluca metaforica di ministro degli Esteri “Giggino” avrebbe poi dovuto fare un passo indietro nel suo movimento e lasciarlo alla reggenza di Vito Crimi.

Quest’ultimo, sorpreso non meno di Conte dalla sopraggiunta emergenza sanitaria, economica e sociale del coronavirus, e delle relative complicazioni nei rapporti fra Stato e regioni già pasticciati con la sventurata riforma del titolo quinto della Costituzione, improvvisata dalla sinistra Crimi.jpegnel 2001 nel tentativo peraltro fallito di guadagnarsi il favore dei leghisti e sottrarli alla tentazione di tornare all’alleanza con Silvio Berlusconi; quest’ultimo, dicevo a proposito di Crimi, si è incaponito di fronte ad un problema forse più grande di lui com’è quello dei rapporti con l’Unione Europea. In particolare, egli ha diffidato il Pd, in una intervista rilasciata all’ospitalissmo e compiaciuto Fatto Quotidiano, dal premere sul presidente del Consiglio per aderire alla nuova edizione in corso d’opera del cosiddetto fondo europeo salva-Stati, noto anche come Mes, acronimo di Meccanismo europeo di stabilità, e usarne il finanziamento per le spese sanitarie e affini dell’emergenza virale.

Il Pd, premuto esternamente a sua volta da Romano Prodi ma incoraggiato anche da Silvio Berlusconi, questa volta in dissenso ancora più aperto del solito dalle altre componenti del centrodestra, non si è fermato per niente all’altolà di Crimi. E Conte, avvertito il rischio di rimanere schiacciato nella tenaglia giallorossa, peraltro in uno scenario in cui da settimane si parla e si pensa ad un “governissimo” di unità nazionale presieduto dal prestigiosissimo ex presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi, ha cercato quanto meno di temporeggiare. Egli, in particolare, ha liquidato come “premature” le polemiche ed ha smesso di proclamare, con tono vagamente sovranista come quello che pure contesta tutti i giorni a Salvini e ai fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, che non userà il fondo salva-Stati per paura di trovarsi di fronte a condizioni tanto imprevedibili quanto pesanti.

Come andrà a finire, a questo punto, la gestione dell’ennesima emergenza apertasi nella maggioranza alla vigilia del vertice europeo della prossima settimana, lo vedremo dai fatti. Certo è che la matrioska delle emergenzeCasini.jpeg è diventata a questo punto enorme. E non mi stupisce che un parlamentare sgamato come Pier Ferdinando Casini, chiamato “Pierfurby” dagli amici, compreso me, si sia lasciato scappare un’intervista ai giornali del gruppo Monti Riffeser –Il Giorno, il Resto del Carlino e la Nazione, in ordine geografico decrescente di pubblicazione- nel cui titolo gli si fa “archiviare” il governo Conte nella prospettiva di un governo Draghi. “Servono -ha detto testualmente il senatore ed ex presidente della Camera- persone che hanno credibilità e capacità. E’ finito il tempo del dilettantismo”.

 

 

Pubblicato sul Dubbio

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