Non si è ben capito se più per convinzione, dopo tante telefonate senza risposta da una parte o dall’altra, o per cortesia almeno verso il capo dello Stato, intervenuto personalmente per informazione unanime a favore dell’evento, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha finalmente aperto, o riaperto, Palazzo Chigi ai rappresentanti del centrodestra, smaniosi di riferirgli personalmente e direttamente proteste, dubbi, rilievi e quant’altro sull’ultimo decreto emesso per
combattere l’epidemia da Coronavirus. “Certo, anche sul Colle, dove sono state condivise le misure prese finora, alcuni tentennamenti di troppo e qualche scelta comunicativa di Palazzo Chigi non devono essere piaciute granché”, ha scritto o avvertito il quirinalista del Corriere della Sera Marzio Breda.
Perché non ci fossero dubbi sull’incontro, avvenuto naturalmente alle debite distanze, misurate -presumo- alla perfezione, con tanto di metro in meno da parte degli addetti non so se alle pulizie o alla sicurezza, è stata scattata anche qualche foto. In cui ho visto purtroppo penalizzato -almeno da quella capitatami sott’occhio- il povero Maurizio Lupi, invitato per la sigla minore del centrodestra insieme col capo della Lega Matteo Salvini, al centro del tavolo, la sorella dei Fratelli d’Italia Giorgia Meloni alla sua destra -e dove sennò- e il vice presidente di Forza Italia Antonio Tajani, già presidente del Parlamento Europeo, a sinistra.
Un’altra cosa non si è ben capita al termine dell’incontro sponsorizzato -ripeto- dal presidente della Repubblica su richiesta esplicita dell’opposizione di centrodestra: se sia stato un fallimento o una riapertura di dialogo, confronto e com’altro lo si voglia chiamare. Le dichiarazioni rilasciate in pubblico e in privato dai rappresentanti del centrodestra con tanto di mascherine protettive hanno lasciato aperta la porta ad entrambe le letture. Se ne vedranno gli sviluppi sul piano parlamentare, visto che il presidente del Consiglio si è deciso a riferire alle Camere, dove peraltro almeno i decreti legge -non quelli dello stesso presidente del Consiglio- debbono essere esaminati e approvati, anzi convertiti in leggi, per obbligo costituzionale inderogabile.
Pur nell’incertezza del bilancio dell’incontro, si è comunque rilevata o confermata, a dispetto delle smentite e precisazioni che arrivano ogni volta che se ne parla, una certa differenza di tono e, direi, persino di comportamento tra Salvini e soprattutto Tajani. Il quale, d’altronde, ha pubblicamente annunciato di volersi impegnare a “spiegare” al capo della coalizione di centrodestra l’utilità di usare, di fronte alle urgenze della guerra virale, lo strumento del MES, tanto inviso all’alleato. Non si tratta naturalmente
della marca di un aperitivo prodotto a Bruxelles ma del famoso Meccanismo di Sviluppo Europeo da tempo in attesa di firma, contrastato anche all’interno della maggioranza dai grillini per obblighi derivanti dal loro programma elettorale, sbandierato ogni giorno dal senatore non più grillino Gianluigi Paragone, espulso dal Movimento prima della guerra del Coronavirus fra le inutili proteste di solidarietà di Alessandro Di Battista, Dibba per gli amici come lui.
Ripreso da http://www.policymakermag.it
alla battuta ironica. Lo rilevo dal suo blog personale, che viene regolarmente aggiornato e che nella sua 103.ma settimana non ha per niente ignorato l’epidemia con la quale sta facendo i conti anche il governo e la relativa maggioranza a trazione pentastellata. E’ una trazione derivanti dalla consistenza parlamentare del Movimento omonimo e dalla quasi discendenza o appartenenza -chiamatela come volete- del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Che senza la forte e convinta designazione di Grillo non sarebbe arrivato a Palazzo Chigi quasi due anni fa e non sarebbe stato confermato nella scorsa estate, pur a maggioranza diversa o capovolta, con la sinistra al posto della destra leghista, non più “costola della sinistra” immaginata e decantata nel 1995 -ricordate?- da Massimo D’Alema. Che a sinistra allora dettava legge, o quasi.
sopra con una vignetta di Davide Charlie Leccon -se non ne ho letto male il nome- in cui il conduttore di un telegiornale gioca tra pandemia e pandemonio, Beppe Grillo tratta seriamente l’argomento affidandolo all’articolo di un professore -Fabio Massimo Parenti- che si divide fra l’Università cinese degli affari internazionali, a Beijling, e l’Istituto Internazionale Lorenzo dei Medici, a Firenze.
dell’articolo del professore Parenti, con tanto di immagine esplicativa. Ne sarà rimasto contento -immagino- al pari di Grillo, suo frequentatore quando viene a Roma- l’ambasciatore di Pechino in Italia, appena intervistato dal Messaggero.
Matteo Salvini da Travaglio, l’alleanza con un Silvio Berlusconi
riuscito a convincerlo a tagliarsi la barba e infine -dannatamente- quel goffo tentativo in diretta televisiva di infilarsi dal verso sbagliato la mascherina. Ora egli è anche il governatore comicamente “mascherato”, che pur di non assumersi le proprie responsabilità nell’adozione delle misure da emergenza del coronavirus – preferendo avvalersi solo del potere di assumere come consigliere per l’ospedale in allestimento nei padiglioni della vecchia Fiera di Milano Guido Bertolaso, altra bestia nera del caravanserraglio del Fatto Quotidiano– le scarica su Conte.
mostrato di avere gradito o condiviso gran che le decisioni del presidente del Consiglio. Di cui probabilmente -insisto, probabilmente- non debbono essere piaciute a Travaglio le circostanze politiche in cui, all’interno della maggioranza, sono maturate le scelte.
raccontato testualmente, senza essere stati smentiti sino al momento in cui ne scrivo: “Se Di Maio si è battuto per restrizioni il più possibile rigorose, Bonafede ha scelto la linea della cautela. Il capo della delegazione era per mandare avanti la Lombardia, raccontano nel Movimento 5 Stelle”. Conte invece ha preferito seguire l’ex capo della delegazione grillina al governo, piuttosto che il nuovo.