Il fantasma civile della Diciotti di nuovo sulla rotta politica di Matteo Salvini

            Simpaticamente affetti da malizia di tipo andreottiano, con la quale notoriamente si pecca ma spesso s’indovina, sulla prima pagina del manifesto hanno definito “soccorso premeditato” quello compiuto in acque di competenza libica dalla nave italiana Mare Jonio di una organizzazione non governativa. Che dopo avere imbarcato una cinquantina di migranti che rischiavano di annegare sul solito gommone fatiscente, precedendo l’intervento di una motovedetta di Tripoli, ha fatto rotta verso le più lontane coste italiane per ragioni dichiarate di maltempo, preclusive della scelta di porti più vicini sulle coste africane.

            La premeditazione del soccorso, sempre per usare la felice espressione del giornale orgogliosamente comunista sopravvissuto per fortuna a tante crisi editoriali, nasce dalla diabolica coincidenza con la prova del fuoco politico, diciamo così, che aspetta il vice presidente leghista del Consiglio e ministro dell’Interno Matteo Salvini nell’aula del Senato. Dove domani si voterà in maniera definitiva sulla proposta della competente giunta di negare l’autorizzazione al processo contro di lui chiesta dal cosiddetto tribunale dei ministri di Catania per la vicenda della scorsa estate sul pattugliatore della Guardia Costiera “Diciotti”. Dove Salvini trattenne per alcuni giorni, nel porto etneo, più di 170 migranti soccorsi in alto mare, in attesa di poterne assicurare la distribuzione fra più paesi europei, ma procurandosi per questo le accuse di sequestro aggravato di persone, abuso d’ufficio e non ricordo cos’altro ancora.

            La nave “Diciotti” era al comando di un militare -Massimo Kothmar- che non creò problemi al ministro Salvini ritardando lo sbarco sino a quando non ne fossero maturate le condizioni. E sopportando -debbo aggiungere- con grande padronanza di nervi persino l’ispezione di un “garante” del trattamento dei detenuti, come se la sua nave si fosse davvero trasformata Luca Casarini.jpgin un carcere. La nave privata “Mare Jonio”, già avvicinatasi a Lampedusa mentre scrivo, ha invece come capo missione dei soccorsi un’autorità, a suo moydo, del mondo della contestazione. Si chiama Luca Casarini, protagonista peraltro delle proteste no global al G8 svoltosi a Genova nel 2001 non proprio nel massimo dell’ordine.

            Con un “capo missione” di questo tipo è prevedibile il clima in cui è destinato a svilupparsi il braccio di ferro già annunciato dal ministro dell’Interno, affrettatosi peraltro a stringere ulteriormente le maglie  dei portiDirettiva Salvini.jpg italiani per impedire sbarchi non autorizzati. Lo ha fatto con una direttiva di otto pagine alla cui attuazione dedicherà un’attenzione persino superiore-  credo, dato lo stile politico e personale ormai noto di Salvini- a quella destinata alle manovre politiche, esterne ma anche interne alla Particolari direttiva.jpgmaggioranza di governo, in corso per non risparmiargli o comunque per complicargli la pratica del processo penale per la vicenda “Diciotti”, per quanto già negato dalla giunta presieduta dal forzista Maurizio Gasparri. E negato -aggiungo-  col voto anche dei grillini dopo una consultazione digitale dei militanti. Che si concluse  col 59 per cento a favore di Salvini e il 41 contro, ma non si sa sino a che punto disarmato nel gruppo pentastellato di Palazzo Madama. Ci potrebbe essere pur sempre un soccorso forzista potenzialmente decisivo, ma si aprirebbe nella già sofferente maggioranza gialloverde di governo un’altra crepa dagli imprevedibili sviluppi.

            Saving Human.jpgSotto questi aspetti, oltre che il titolo del manifesto sul “soccorso premeditato”, Il Messaggero.jpgo ad orologeria, se preferite, non è sbagliato neppure quello del Messaggero sulla “sfida a Salvini” costituita dalla missione capeggiata da Luca Casarini sulla nave battente bandiera italiana della “Mediterranea Saving Humans”.

 

 

 

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Il veleno radioattivo di Imane Fadil contamina la solita politica italiana

Persino al Fatto Quotidiano hanno resistito in qualche modo, pur con abbondanza di vignette, “cattiverie” di giornata, in prima pagina, sul “lettone” regalato da Putin, grande abbastanza da poter contenere ragazze anche sconosciute ad un assatanato Cavaliere; persino Richiamo Dubbio.jpgal Fatto Quotidiano, dicevo, hanno resistito alla tentazione di leggere in chiave politica, diciamo così, la misera e inquietante fine della modella marocchina Imane Fadil. Che, dopo avere dimorato per un po’ in un locale infestato di topi, è morta di avvelenamento radioattivo prima di poter testimoniare, o tornare a testimoniare contro Silvio Berlusconi, imputato di corruzione in atti giudiziari -nonostante assolto in via definitiva dall’accusa di prostituzione minorile- per la vicenda delle olgettine. Ma così, a dire il vero, la povera Imane non voleva essere chiamata, non avendo mai usufruito dell’ospitalità offerta dal Cavaliere in un omonimo albergo, o residence, alle frequentatrici delle sue feste nella villa di Arcore.

Marco Travaglio in persona, bontà sua, al netto di ogni sua urticante e abituale ironia, ha riconosciuto l’insensatezza di coinvolgere Berlusconi nella tragica fine della giovane, che lui ritiene di non avere mai conosciuto ma che amici certamente suoi, come Emilio Fede e Lele Mora, hanno dichiarato di avere visto o addirittura portato ad Arcore, o ospitata in taxi per allontanarsene ad una certa ora. A far mettere in sicurezza Berlusconi da un avversario così dichiarato come Travaglio è stata “la logica del cui prodest”. E in effetti l’ex presidente del Consiglio non aveva nessun interesse a fare uscire così drammaticamente e ambiguamente dalle sue perduranti vicende giudiziarie sulle cene ad Arcore la povera Imane, espostasi peraltro prima di morire con dichiarazioni su presunte offerte e/o minacce di misteriosi personaggi perché ritirasse il contributo dato all’impianto accusatorio della Procura di Milano contro Berlusconi.

Alla Repubblica -quella di carta che di antiberlusconismo ha vissuto a lungo, sotto diverse direzioni, anche a dispetto del suo fondatore Eugenio Scalfari quando gli scappò di dire in un salotto televisivo di preferire Berlusconi al capo del movimento delle 5 stelle Luigi Di Maio-  hanno invece adottato una lettura tutta politica dell’avvelenamento della modella marocchina. Il cui assassino non sapeva, né poteva immaginare forse di liberare una delle firme più famose e autorevoli di quel giornale, Massimo Giannini, dall’ossessione -direi, a questo punto- di un Berlusconi ancora capace di condizionare la politica italiana. E chissà se basta parlare della politica italiana, e non anche di quella europea e persino mondiale, specie ora che il Cavaliere corre per l’elezione al Parlamento Europeo, non certo allo scopo di andarvi a fare il turista.

“Morto e sepolto con la povera Fadil, verrebbe da dire”, ha scritto testualmente Massimo Giannini in un commento domenicale dedicato formalmente, nel titolo, alla “Opa di Salvini sul centrodestra”. “Il veleno che l’ha uccisa- ha rivelato Giannini scrivendo della povera Imane- uccide anche le residue speranze del Cavaliere di resistere all’Opa salviniana sul suo partito e sul suo elettorato”.

Di questa “Opa di Salvini sul centrodestra” il commentatore di Repubblica ha una visione addirittura carnivora, avendone scritto come di una “cannibalizzazione “ che ,“già cominciata col voto di un anno fa, è andata avanti in questi mesi, rafforzata dalle regionali in Abruzzo e Sardegna e fotografata dai sondaggi che danno la Lega al 34% e Forza Italia all’8 per cento”.  Ma non è finita qui. “Ora -ha scritto ancora Giannini- l’offerta pubblica di acquisto dei consensi si completa. Salvini riflette lo Zeitgeist, Berlusconi non più”.

Che cosa sia questo  benedetto o maledetto, secondo i gusti, Zeitgeist che “Salvini riflette e Berlusconi non più”, ve lo dico subito. E’ “lo spirito culturale -spiega un dizionario telematico- che informa una determinata epoca, come si riflette nella letteratura, nella filosofia, nelle arti”. Qui insomma si vola alto, altissimo, mica come il Cavaliere precipitato in fondo al pozzo dantesco dell’Inferno, senza accorgersi che nella “condizione di patente minorità etico-politica” in cui si trova dopo la morte della modella marocchina “accampare pretese col Carroccio sulle alleanze future è puro velleitarismo”. Senza accorgersi, più in particolare, che “Salvini, semplicemente, non è più gestibile”, per cui quello di Arcore è diventato “il suo Cavalier Servente”. “E questo è tutto”, ha sanzionato la voce di Repubblica esortando gli sprovveduti seguaci di Berlusconi a togliersi dalla testa di poter scavalcare Salvini a destra o al centro, parlando bene di Mussolini fino agli sciagurati errori delle leggi razziali e dell’alleanza con Hitler, o precedendo il leader leghista nella contestazione della “Via della Seta” fatta percorrere velocemente al governo da Di Maio fra la sorprese, le proteste e anche qualche ritorsione degli alleati d’oltre Atlantico. “Salvini -ha ricordato Giannini- si è già riposizionato nel ruolo fasullo di garante dell’atlantismo filo-americano: proprio lui, che ha esordito al governo come maggiordomo di Putin”. Che poi è lo stesso, non un omonimo, del lettone regalato a Berlusconi e ricordato dalla “cattiveria” del Fatto Quotidiano ispirata alla povera Imane Fadil.

Quella di Giannini, di Repubblica e di tutto l’universo antiberlusconiano per “la morte e la sepoltura” del Cavaliere con la modella marocchina, peraltro ancora in attesa di sepoltura, è tuttavia una festa anch’essa tragica, come la fine della povera Imane. L’ossimoro nasce dal fatto, denunciato dallo stesso Giannini, che “con questa destra” ormai fatta a immagine e somiglianza di Salvini – e di un Salvini che va smarcandosi sempre di più dagli attuali alleati di governo proponendo, per esempio, le ricette economiche e fiscali liquidate come berlusconiane dai pentastellati- “prima e dopo le elezioni europee dovranno fare i conti Di Maio, ridotto a gregario in una coalizione asimmetrica, e Zingaretti, eletto segretario in un Pd convalescente”. Così ha scritto appunto Giannini, che ha confessato di trovarsi nella scomoda posizione di “piangere per le nefandezze” di Salvini “senza poter rimpiangere”, chissà poi perché, “le scelleratezze” di Berlusconi. Che evidentemente non è quel morto e sepolto di qualche capoverso precedente.

Ah, se si riflettesse un po’ di più prima di farsi scambiare per un necroforo, peraltro intempestivo.

 

 

 

Pubblicato su Il Dubbio

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