Dal sabato leopardiano del villaggio, poeticamente contenuto nella festa, al sabato del capogiro procurato da Matteo Salvini all’informazione, ma soprattutto ai suoi alleati sparsi in più fronti, essendovene al governo e all’opposizione. Tra incontri, dibattiti, dichiarazioni, telefonate, e muovendosi fra Roma e Fregene, il vice presidente leghista del Consiglio e ministro dell’Interno ne ha dette e fatte, diciamo così, di tutti i colori, come le sue espressioni facciali felicemente scelte dal Corriere della Sera a corredo di una intervista fattagli da Marco Cremonesi.
Anche a costo, o forse proprio per guastare la festa ai forzisti riuniti a Fiuggi, e mandare di traverso il piatto di riso consumato da Silvio Berlusconi fra gli amici smaniosi di applaudirne oggi il manifesto di rilancio del partito, Salvini ha declassato ad “accordi locali”, soltanto locali, lo scenario del centrodestra ritrovato o rinnovato nei giorni scorsi fra cene e pranzi nella villa brianzola di Arcore e nella residenza romana. E, in più, ha rimpianto l’occasione, mancata per l’indisponibilità dei grillini, di portare nel governo gialloverde, anche la destra di Giorgia Meloni riconoscendo invece come scontata, naturale, giusta e quant’altro il rifiuto opposto, sempre dai grillini, a Forza Italia. Dal cui leader il capo del movimento delle 5 Stelle non volle ricevere neppure una telefonata, quando Salvini gliela prospettò.
Persino il vigile sottosegretario leghista a Palazzo Chigi Giancarlo Giorgetti, appena spesosi a fischiare i falli grillini di legalità sulla ricostruzione del ponte crollato a Genova e a ricordare a Rocco Casalino, il portavoce sempre grillino del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che non tocca a lui “cacciare nessuno”, tanto meno o tanto più i dirigenti del Ministero dell’Economia entrati nel mirino delle sue telefonate d’ordinanza ai giornalisti, è stato spiazzato da Salvini. Che ha declassato a “incauto” l’intervento di Casalino e, sposandone in pratica le proteste contro le frenate imposte dall’alta burocrazia sulla pista della legge di bilancio, ha esortato pure lui il ministro dell’Economia Giovanni Tria ad avere più “coraggio” nella spesa in deficit.
Forte –ha detto- di pareri raccolti fra economisti e “investitori” per niente, o quasi, preoccupati dell’ingente debito pubblico italiano, considerato invece da molti un disincentivo all’acquisto dei nostri titoli di Stato, Salvini ha detto che tanto più sarà “coraggiosa” la manovra economica e finanziaria allo studio di Tria, tanto più sarà possibile una crescita e la conseguente fiducia dei mercati. Che è poi la tesi -ripeto- del portavoce di Conte, e di Di Maio. Il quale dalla Cina si è fatto sentire per difendere Casalino non solo dagli attacchi delle opposizioni ma anche dal malumore di alcuni colleghi di partito e dalle critiche, a sinistra, del quotidiano il manifesto. Che ha pizzicato nella foto di copertina “Rocco e i suoi coltelli”, da usare contro i sabotatori del programma di governo -dal reddito di cittadinanza in su o in giù- all’opera nel superdicastero economico di via XX Settembre, peraltro a poca distanza, non solo fisica, del Quirinale.
E’ anche al Quirinale, appunto, che si aspetta con una certa ansia la confezione della legge di bilancio, su cui il capo dello Stato ha detto più volte di sentirsi titolato a vigilare per i suoi risvolti costituzionali. E ciò specie dopo che l’articolo 81 della legge fondamentale della Repubblica è stato modificato nel 2012 per stabilire, fra l’altro, che “il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali”. Fra i quali non è detto che il capo dello Stato consideri, come ritengono invece i grillini e i leghisti, la nomina del governo attuale, da lui stesso effettuata nella convinzione esplicitamente espressa a suo tempo di essersi attenuto al prodotto di una normale dialettica politica fra le forze rappresentate in Parlamento. Nulla di più e nulla di meno.
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da Roma via Amsterdam, i grillini dissidenti si sarebbero in qualche modo preparati alla crisi di governo, se mai dovesse arrivare davvero fra le tante prove di forza in corso nella coalizione gialloverde sulle materie più disparate, incontrando “in delegazione alcuni dirigenti del Pd”.
in carica, ha tolto il sonno a quelli del Fatto Quotidiano, come dimostra la vignetta di Vauro sulla prima pagina dedicata al “rimpatrio” di Salvini ad Arcore. Non meno sarcastico è stato Giannelli sul Corriere della Sera con quel Di Maio alla stazione ferroviaria che, appiedato, vede partire Salvini su un altro treno.
incontrovertibile lo shock provocato nella sinistra radicale e fra i grillini dal ritorno del centrodestra sulla scena politica nazionale con l’incontro fra quegli “incredibili 3”, come ha titolato su tutta la prima pagina il manifesto, quotidiano
dichiaratamente e orgogliosamente comunista. Dove si stanno ancora stropicciando gli occhi, mentre il Giornale della famiglia Berlusconi ha potuto annunciare il ritorno di Salvini “a casa”.
Anche Matteo Renzi -ricordate?- annunciò o minacciò di “tornare a casa” affrontando nel 2016 il referendum sulla riforma costituzionale, ma finendo per scatenare imprudentemente quanti davvero volevano liberarsene, fuori e dentro il suo stesso partito. E perse prima il referendum, poi la presidenza del Consiglio volendosi tenere stretta la segreteria del partito, poi ancora le elezioni alla scadenza ordinaria impostagli imprevedibilmente da Mattarella, contrario all’anticipo reclamato da chi lo aveva pur mandato al Quirinale, e infine la stessa segreteria del Nazareno.
del Consiglio Luigi Di Maio, non insensibile da buon meridionale a questa materia, deve avere avvertito dalla pur lontana Cina, dove è in missione ma le notizie italiane gli arrivano ugualmente, qualcosa di ben altro nell’irruzione di quel 18 nel suo Sud. I cui elettori grillini ribollono di paura e rabbia per le sorti ancora incerte dell’agognatissimo reddito di cittadinanza nel cantiere della legge di bilancio, per quanto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte in persona abbia appena assicurato che qualcosa ci sarà, pur non potendo precisarne consistenza e tempi, comunque graduali.
di “serietà” già reclamata pesantemente prima di partire per l’Asia il vice presidente del Consiglio ha aggiunto quella del coraggio. Che Tria dovrebbe dimostrare facendo “’più deficit” per finanziare il programma elettorale dei grillini, anche a costo di sfidare contemporaneamente i commissari europei a Bruxelles e i mercati finanziari.
il ministro dell’Economia, dovrebbero decidersi a diventare seri, diciamo così, per attenersi al linguaggio e ai parametri culturali del vice presidente del Consiglio e superministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro.
della legge di bilancio. E senza perdere di vista gli altri fronti caldi della maggioranza gialloverde: dalla ricostruzione del ponte crollato a Genova alla legittima difesa; dalla mancata riforma delle carceri, che avrebbe evitato la tragedia dei due bambini detenuti con la madre che ha ritenuto di liberare mandandoli a morte, alla gestione della Rai, ora che Matteo Salvini sembra riuscito a sbloccare, d’intesa con Silvio Berlusconi, e perciò tra sospetti e inquietudini degli alleati grillini, il nodo della presidenza strettosi al collo di Marcello Foa con la bocciatura estiva nella commissione parlamentare di vigilanza.
convertirsi alla “serietà” reclamata dal capo dei pentastellati, e intestarsi così un’altra crisi dei titoli del debito pubblico italiano nei mercati finanziari, i grillini pretendono da Mattarella la rinuncia alla pretesa di una crisi di governo. Essi si aspettano dal capo dello Stato una semplice di presa d’atto delle eventuali dimissioni del ministro dell’Economia e la disponibilità a nominarne uno più “serio”, intendendosi per tale uno più gradito a Di Maio. Che forse non reclama di assumere direttamente anche il dicastero dell’Economia solo perché il suo omologo leghista Matteo Salvini non gli permetterebbe mai di farlo, visto che il vice presidente grillino del Consiglio ha già chiesto e ottenuto i Ministeri assai consistenti dello Sviluppo Economico e del Lavoro.
Dichiaratamente reduce da incontri e colloqui avuti anche col presidente della Repubblica Sergio Mattarella, oltre che col presidente del Consiglio e i suoi due vice che lo marcano stretto, sin quasi a soffocarlo, Lewis Michael Eisenberg ha polemizzato con i giornali, italiani e stranieri, che danno una rappresentazione, diciamo così sofferta, del governo grillo-leghista. Giornali che anche dopo l’intervento dell’ambasciatore americano hanno continuato a vedere e indicare divisioni, tensioni, polemiche e quant’altro nella compagine ministeriale, rincarando anzi la dose.
socio politico di Salvini pensando agli spot e agli altri interessi delle proprie aziende, e non solo ad alcuni punti qualificanti del programma elettorale del centrodestra che il leader leghista, pur tra contraddizioni e ambiguità, continua a rispettare o perseguire anche nella sua azione di governo: per esempio, in tema di rapporti fra la politica e la magistratura.
Esso dice: “Il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei Ministri”. Le maiuscole sono tutte della norma costituzionale e confliggono decisamente con l’impietosa rappresentazione di Conte fatta da Emilio Giannelli sulla prima pagina del Corriere della Sera nella vignetta che raffigura il presidente del Consiglio come l’ombra prodotta dall’esposizione al sole dei suoi due vice presidenti.
Che hanno fatto un po’ a gara fra di loro nel racconto o nella denuncia delle “divisioni”, appunto, o “tensioni” o “scontri” nella compagine ministeriale sui più diversi temi, malamente celati dall’abitudine ormai del Consiglio dei Ministri di annunciare l’approvazione sostanzialmente fittizia di disegni e persino decreti legge “salvo intese”. Cui ha dedicato sul Corriere della Sera un commento Antonio Polito.
denunciare, magari a sua insaputa, esortando i colleghi di partito a “non rincorrere” la Lega. I cui rapporti con la magistratura, cui Bonafede è comprensibilmente interessato come ministro della Giustizia, peggiorano a dispetto delle correzioni, precisazioni, frenate e quant’altro effettuate o attribuite di volta in volta a Salvini.