Certo, sarebbe di una gravità inaudita se fosse vero il sostanziale boicottaggio al governo appena nato che Fabrizio Roncone ha attribuito sulla prima pagina del Corriere della Sera a Walter Ricciardi, consulente
ormai celebre del ministro della Salute. Che, deluso per la
mancata nomina al posto del confermato Roberto Speranza, avrebbe indotto in errore, o a qualcosa che gli assomiglia molto, il titolare del dicastero facendogli ribloccare gli impianti sciistici, col consenso del presidente del Consiglio, come misura di sicurezza sanitaria nell’emergenza pandemica, mentre stavano per riaprirsi. E provocando a Draghi e alla sua “squadra” appena insediata “il grande freddo” su cui ha titolato il manifesto, o quella rovinosa caduta di Super Mario sugli scii immaginata da Makkox
sul Foglio, per non parlare della “rissa dei migliori” con la quale il solito Fatto Quotidiano si è affrettato a sfottere il governo di “alto profilo” voluto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Per carità di Patria, con la maiuscola, e non solo dell’ex presidente della Banca Centrale Europea appena approdato a Palazzo Chigi dopo due anni e mezzo di governi di Giuseppe Conte, voglio sperare che una volta tanto Roncone abbia raccolto e rilanciato un refolo fasullo nei palazzi romani del potere: palazzi anche delle chiacchiere, delle maldicenze, degli sgambetti e di una specie di Carnevale continuo, anche se quello vero, da calendario, è ormai agli sgoccioli davvero. E proprio per un capriccio di calendario a Draghi sta per capitare di presentarsi al Parlamento per la fiducia nel giorno di mercoledì delle ceneri, dopo l’odierno martedì grasso.
Sarà Quaresima anche per il governo appena insediato quella che sta per cominciare, e di cui non basta consolarsi dicendo evangelicamente, come faceva la buonanima di Amintore Fanfani con gli amici che metteva in castigo o con gli avversari che piegava, che “dopo arriverà la Resurrezione”? Disse
così, per esempio, al suo
ancora “delfino” Arnaldo Forlani detronizzandolo personalmente dalla segreteria della Democrazia Cristiana nel 1973, dopo avere svuotato il congresso alle porte in una riunione di capicorrente del partito disinvoltamente convocata nella sua residenza istituzionale di presidente del Senato, a Palazzo Giustiniani. La Quaresima di Forlani, pur intramezzata da incarichi di governo di prestigio, compreso un breve passaggio a Palazzo Chigi come presidente del Consiglio e uno più lungo come vice presidente con Bettino Craxi, durò ben 16 anni. Forlani infatti “risorse” come segretario del partito, ormai in rotta con Fanfani, solo nel 1989.
Chi scommette sulla Quaresima di Draghi, nel senso che gliela augura piena di difficoltà insormontabili e rovinose, e gioca al lotto i numeri che possono rappresentare le polemiche scoppiate sull’affare delle
nevi tra leghisti e Ministero della Salute, e dintorni, scherza comunque col fuoco nelle condizioni di emergenza in cui si trova il Paese. E si illude, a dir poco, di potere accorciare un’altra Quaresima: quella di Giuseppe Conte, che è alle prese anche in veste di “federatore” e non so cos’altro col problema ormai cronico dei suoi amici o referenti grillini. E’ il problema della loro identità perduta, se mai ne hanno avuta una davvero.
piacere o dispiacere, secondo i gusti e le circostanze, a chi l’osserva nella sua nuova veste di presidente del Consiglio e ha fretta di giudicarlo?
secchiate Beppe Grillo per farlo piacere agli ormai eternamente divisi e inquieti militanti, portavoce e quant’altro del MoVimento 5 Stelle. A molti dei quali il “garante” ed “elevato” fondatore non riesce a far dimenticare gli insulti da lui stesso rovesciatigli addosso negli anni scorsi, quando forse l’allora presidente della Banca Centrale Europea era secondo, nella scala del disprezzo grillino, solo a quei giornalisti di cui il comico diceva che voleva mangiarli per provare poi “il gusto di vomitarli”.
partecipazione all’ultima
edizione del meeting di Comunione e Liberazione: quella in cui Draghi scaldò il cuore dei giovani proteggendoli dalla rovina cui sarebbero stati destinati con la pratica del debito “cattivo”. Cui si era sino ad allora abbondantemente ricorsi per impiegarlo in mance ed assistenza, anziché in investimenti produttivi.
l’occasione della temporanea disoccupazione, diciamo così, di Draghi chiamandolo a far parte della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali.
all’Italia dei 209 miliardi di euro dei fondi comunitari della ripresa per toglierli dalla disponibilità di Giuseppe Conte e passarli all’ex presidente della Banca Centrale Europea. “Quei miliardi -ha scritto Fini- facevano gola” sin dal primo momento “a molti, banchieri, finanzieri, persone irreprensibili perché vestono in giacca e cravatta e pranzano all’ora di pranzo e cenano all’ora di cena”: mica quel disordinato ma “non moralmente corruttibile” Conte, abituato all’ora di cena non a mangiare ma a diffondere conferenze stampa e altri messaggi al popolo pendente dalle sue labbra.
punto come “pantografi sostanzialmente quello precedente e tenga insieme tutti, il diavolo e l’acqua santa, però con la decisiva esclusione di Conte (oltre che, per ovvi interessi berlusconiani, di Bonafede)”. Nessuna parola di comprensione o condivisione è stata spesa purtroppo per le lacrime sfuggite all’uscita da Palazzo Chigi al portavoce Rocco Casalino.
che “a pensar male si faccia peccato, ma ci si azzecchi quasi sempre”. Eppure del “divo Giulio” il pur esigente Fini ha dovuto riconoscere, testualmente, che “per competenza, conoscenza dell’Italia, sia in senso storico che amministrativo, intelligenza, arguzia e stile sta cinque spanne sopra i nani di oggi e in qualsiasi altro paese europeo sarebbe stato un grande uomo di Stato, ma in Italia ha dovuto essere una sorta di ircocervo, metà uomo di Stato e metà, forse, delinquente”.