Più ancora di quella foto che ritrae a Genova uno di spalle all’altro i due vice presidenti del Consiglio
Luigi Di Maio e Matteo Salvini alla celebrazione del primo anniversario della tragedia del crollo del ponte Morandi, incapaci di scambiarsi il segno della pace anche quando sono stati invitati a farlo con tutti gli altri fedeli dal cardinale che officiava la messa,
emblematico degli effetti della crisi di governo, in corso senza neppure essere stata formalmente aperta, è quanto è accaduto, fra terra e mare, attorno alla nave Open Arms. Dove 147 migranti sono rimasti bloccati per più di 13 giorni dal divieto di approdo e di sbarco emesso dal Viminale.
Prima una decisione della magistratura amministrativa, il Tar del Lazio, poi una breve lettera di sostanziale diffida del presidente del Consiglio al “Gentile ministro dell’Interno” e infine l’impiego
di due navi della Marina Militare, ordinato dalla ministra grillina della Difesa Elisabetta Trenta per consentire l’accesso della nave del volontariato battente bandiera spagnola alle
coste italiane, hanno letteralmente rovesciato la linea seguita per 14 mesi dal titolare leghista del Ministero dell’Interno. Il cui ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar che ha sospeso il suo divieto di sbarco altro non è, francamente, che una inutile ostentazione di forza o di potere in un quadro politico già profondamente cambiato. Altrettanto si può dire della reazione polemica di Salvini alla missiva di Conte.
Le distanze fra leghisti e grillini, o viceversa, già notevoli quando il governo uscente sembrava in salute, proiettato addirittura verso la scadenza ordinaria della legislatura, nel 2023, aumentano ogni giorno, anzi ogni ora di più, con la contestazione crescente anche dei più importanti provvedimenti adottati dopo la nascita della maggioranza gialloverde. Ora Salvini incalza gli ormai ex alleati anche sui risultati del tanto declamato reddito di cittadinanza, elargito con un altissimo tasso di arbitrarietà o abusivismo secondo i primi accertamenti eseguiti su una limitata campionatura.
Ma dopo un iniziale ottimismo, con quella nuova maggioranza ribaltonista espressasi al Senato sulla calendarizzazione della crisi, e una gara addirittura allo scavalcamento all’interno del Pd nelle aperture ai grillini, fra le posizioni di Matteo Renzi e quelle del segretario del partito Nicola Zingaretti, aumentano anche le diffidenze, le preoccupazioni, le tensioni e quant’altro fra e all’interno dei due partiti il cui accordo è necessario per evitare le elezioni anticipate in autunno. Che sono state e rimangono l’obiettivo della crisi voluta da Salvini dopo tante esitazioni ora contestategli anche dall’amico e collega di partito Giancarlo Giorgetti, sottosegretario uscente alla Presidenza del Consiglio e candidato mancato al posto di commissario italiano a Bruxelles, nel nuovo esecutivo dell’Unione Europea presieduto dalla tedesca Ursula von der Leyen.
I nodi della crisi si sono ormai talmente aggrovigliati, prima ancora -ripeto- della sua apertura formale, che tutti, ma proprio tutti, si affidano -o mostrano di affidarsi- alle capacità demiurgiche del presidente della Repubblica, sino a caricarlo di troppi pesi e di troppe aspettative, superiori alle sue pur incisive prerogative costituzionali.
E’ augurabile pertanto che dalla confusione cresciuta a dismisura non finisca per uscire danneggiata anche la più
visibile e apprezzata -in tutti i sondaggi- figura istituzionale di garanzia che è appunto quella del capo dello Stato. Che ha bisogno come non mai, più di tutti i suoi predecessori, degli auguri di Buon Ferragosto, ora che l’omonimo generale, autore di tante vittorie su crisi incombenti o già aperte ma chiuse con soluzioni di tregua, ha dovuto ripiegare.
Ripreso da http://www.policymakermag.it
congelamento delle procedure di verifica referendaria e delle necessarie modifiche ai collegi, è stata subito avvertita dal presidente della Repubblica, fermo
nel suo rifugio estivo alla Maddalena, in Sardegna, come “un azzardo assoluto, una mossa istituzionalmente scorretta, oltre che sgrammaticata dal punto di vita degli equilibri fra poteri”. Così ha scritto, informato come al solito, il quirinalista del Corriere della Sera Marzio Breda in un articolo titolato sullo “stupore” appunto del capo dello Stato.
in questa prospettiva, la partita pro o contro Salvini diventa un po’ più complessa delle apparenze, che hanno consentito di dare per sconfitto il leader della Lega, nonostante il suo partito sia diventato il 26 maggio quello più votato dagli italiani, e di sfotterlo immergendolo -come ha fatto nella vignetta di prima pagina il Fatto Quotidiano- in uno dei suoi bicchieri estivi di mojto, da spiaggia o da comizio, alternato a qualche rosario, crocifisso e ringraziamento alla Beata Vergine.
però dal segretario Nicola Zingaretti -e non più
da Matteo Renzi, tornato ad essere trattato da Grillo come un “avvoltoio”, o “il guastatore” definito dal manifesto– e della sinistra più radicale di Loredana De Petris. Del cui gruppo parlamentare a Palazzo Madama fa parte, fra gli altri, l’ex presidente del Senato Pietro Grasso.
di un Renzi considerato troppo ingombrante, divisa dal modo in cui sottrarsi alle elezioni anticipate: se con un governo o governicchio di massimo un anno, sia pure con l’enfatico nome di “istituzionale”, come vorrebbe l’ex segretario del Pd, o di un governo più lungo e ambizioso, che porti la legislatura alla scadenza ordinaria del 2023, e sia capace di esprimere l’anno prima il successore, o la conferma, di Sergio Mattarella al Quirinale. E’ proprio la problematicità e improbabilità di una simile soluzione che ha forse consentito a Zingaretti di unirsi a questa squadra con un riposizionamento funzionale solo al desiderio, all’interesse, all’obiettivo di ridurre lo spazio conquistato da Renzi nei giorni scorsi sui giornali. E che ha già aggravato la crisi e la confusione fra i grillini, dove si ha poca voglia, e molta paura, di passare dai condizionamenti di Salvini a quelli dell’”ebetino”, come Grillo chiamava Renzi ai tempi di Palazzo Chigi e del referendum sulla riforma costituzionale bocciata nel 2006.
contro le elezioni anticipate, ha fatto sapere dal suo ritiro alla Maddalena, in Sardegna, con una nota del quirinalista del Corriere della Sera Marzio Breda, che al capo dello Stato non tocca cercare o stimolare una nuova maggioranza, ma solo verificarne l’esistenza, ed anche accertarne la serietà, cioè la reale coesione e consistenza, e capacità di azione e stabilità.
quello lanciato da Salvini con una lunga intervista, guarda caso, al Giornale della famiglia Berlusconi. Che, allarmato dalla tendenza alla “solitudine” e all’autosufficienza emersa da alcuni comizi del ministro dell’Interno, gli aveva sollecitato di chiarire lo schieramento col quale intende andare alle urne. Ebbene, anche per evitare che a sua volta, per reazione, il Cavaliere si lasci tentare da manovre altrui per sabotare le elezioni reclamate dalla Lega, Salvini ha annunciato la decisione di incontrare Berlusconi, e Giorgia Meloni, per rinverdire e allargare il centrodestra. Che lo stesso Berlusconi peraltro sarebbe disposto ad alleggerire di una propria candidatura al Parlamento, bastandogli ed avanzandogli il seggio conquistato il 26 maggio a Strasburgo.
pronunciate dal “capitano” del Carroccio nell’intervista al direttore del Giornale sono di una chiarezza estrema, e di una franchezza brutale nei riguardi di Renzi, accusato di voler salvare con Grillo non il Paese ma semplicemente il suo “culo”, per il rischio che corre, con le elezioni anticipate, di vedere decimata nelle nuove Camere la sua corrente, o area, e persino di non essere personalmente confermato senatore nella sua Firenze.
nascostogli dai vari Di Maio e Casaleggio. “So per certo -ha detto il ministro uscente dell’Interno- che molti deputati e senatori grillini sono assolutamente contrari all’ipotesi di un’alleanza con Renzi e al momento giusto lo dimostreranno”.
che sarebbero naturalmente i leghisti di Matteo Salvini dopo avere assunto l’iniziativa della crisi di governo, l’ex segretario del Pd ed ex presidente del Consiglio Matteo Renzi ha lanciato la proposta di un esecutivo “istituzionale” per evitare, appunto, il ricorso al voto in ottobre.
proposto ai suoi tempi una revisione costituzionale di ben più vasta portata ed efficacia, con competenze differenziate fra i due rami del Parlamento, e il diritto di fiduciare e sfiduciare il governo riconosciuto solo alla Camera. Ma egli riconosce che i pentastellati, avendo
vinto le elezioni politiche l’anno scorso e disponendo nelle attuali aule parlamentari dei gruppi più consistenti, hanno ora il diritto di reclamare, con l’approvazione definitiva della loro riforma, votata peraltro anche dai leghisti nei passaggi già avvenuti fra Camera e Senato, il rispetto della volontà popolare espressa nelle urne del 4 marzo del 2018. Dove il Pd proprio di Renzi subì una cocente sconfitta.
rappresenta Salvini come chi “l’ha fatta grossa” con la presunta autorete della crisi, visto che le elezioni anticipate non sarebbero per niente scontate.
d’Italia, alla quale Salvini un’alleanza forse sarebbe disposto a offrirla anche prima del voto- dovrebbero prestarsi gratuitamente a togliere le castagne dal fuoco” di elezioni in pericolo al vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno uscente. Che intanto, oltre a dover forse rivedere gli scomodi e sofferti rapporti col Cavaliere, è tentato adesso anche dall’idea di rinunciare spontaneamente al Viminale per l’ingombro che la sua presenza, come protagonista della campagna elettorale, potrebbe costituire agli occhi e alla mente del presidente della Repubblica. E’ infatti a Mattarella che spetta l’ultima parola sul ricorso anticipato delle urne: se e su come, non solo quando, arrivarvi.
leghista, che già si guadagna di suo nei comizi le peggiori polemiche, chiedendo per esempio agli elettori “pieni poteri” per governare da solo alla sua maniera, abbia scelto apposta questi giorni per mettere sulla graticola Giuseppe Conte e far cadere rovinosamente nelle urne anticipate d’autunno, come già in quelle europee del 26 maggio, le stelle grilline.
con un’affluenza alle urne del 92,19 per cento, impensabile nei giorni e anni nostri, portò da sola la Dc al 48,51 per cento dei voti. E ciò nonostante, peraltro, pur disponendo di 305 deputati e 131 senatori, grazie ai quali avrebbe potuto tentare la formazione di esecutivi monocolori democristiani, egli preferì fare governi di coalizione con i liberali, i repubblicani e i socialdemocratici.
in questo da quel titolo –“Salvini: Dimettiti- Conte: No, sfiduciami”- sparato in prima pagina dal Fatto Quotidiano. Che tuttavia, pur dando a Salvini del “coniglio”, non bastandogli evidentemente il “cazzaro verde” autorizzatogli
in un processo dal tribunale di Milano, ha dedicato a Conte nella stessa prima pagina una vignetta a dir poco sfottente. In cui gli viene contestata la frequenza delle rivendicazioni “a tutto il personale medico e paramedico” d’Italia e del mondo della sua qualifica di “premier”.
alla crisi, di fronte alla quale Luigi Di Maio nella sua qualità di capo ancora del movimento delle 5 stelle si è giustamente stropicciato gli occhi, consapevole che il suo è il partito che rischia
di più nelle urne dopo il capitombolo elettorale del 26 maggio. Esso rischia di più nonostante l’accusa che lo stesso Di Maio ha deciso di muovere ai leghisti di avere cercato e voluto la crisi solo per bloccare all’ultima curva elettorale la riforma per il popolare e decisivo dimezzamento, secondo lui, del numero dei parlamentari. A tutela di questa riforma il vice presidente grillino ormai uscente del Consiglio chiede o immagina il soccorso di chissà quale nuova maggioranza a sostegno di un governo che eviti le elezioni anticipate. Sogni di mezza estate, verrebbe voglia di dire.