Il governo gialloverde di Giuseppe Conte fa figli come la Cycas, una pianta molto bella e resistente -si consoli il presidente del Consiglio- originaria dell’Africa, dell’Asia e dell’Oceania ma diffusasi parecchio anche nei giardini italiani. Può ben diventare il simbolo del governo in carica
questa pianta, che è di genere sia maschile, con un fiore che troneggia tra le foglie come un fallo, sia femminile, al cui centro si forma una gigantesca e morbida ovaia. Erano piante costose una volta. La loro diffusione le ha un po’ deprezzate, ma rimangono -ripeto- molto belle e resistenti.
Quando diventano troppe le foglie gialle, senza allusione al colore del movimento grillino, anche se i risultati elettorali del 26 maggio non sono stati esaltanti per i pentastellati, esse si possono recidere senza compromettere, anzi migliorando la pianta, che diventa più verde, senza allusione al
colore della Lega, raddoppiata di voti e di consensi nelle urne. E che, a dire il vero, tenta ogni tanto di archiviare il suo verde di un tempo, quello di Umberto Bossi, per sostituirlo col blu, in tonalità più forte dell’azzurro ormai stinto, non a caso, della Forza Italia più volte fondata e restaurata dall’instancabile Silvio Berlusconi, espertissimo peraltro di giardinaggio. Pertanto il Cavaliere potrebbe cominciare col demolire e fare a pezzetti questo mio dilettantesco tentativo di applicare le piante alla politica, o viceversa.
Nato un anno fa, sulle soglie dell’estate, come si sa, per essere iscritto all’anagrafe come un governo bicolore, o bipartito, composto da grillini e leghisti, nell’ordine dei voti appena raccolti dagli uni e dagli altri nelle urne del 4 marzo per il rinnovo delle Camere, il governo Conte già in autunno, quando rischiò una procedura europea d’infrazione per debito eccessivo nella preparazione d
el bilancio del 2019, divenne di fatto tricolore. Il terzo partito, come fu battezzato dai giornali, era quello dei ministri tecnici, in particolare degli Esteri e dell’Economia, e infine dello stesso presidente del Consiglio, particolarmente sensibili alle preoccupazioni, ai moniti, ai suggerimenti e a quant’altro del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Che seppe guidarli bene, dietro le quinte, ma un po’ anche davanti, nelle trattative comunitarie, sino a scongiurare la bocciatura comunitaria del bilancio trasformando il deficit del 2,4 al 2,04 per cento del prodotto interno lordo, noto di più con le sue iniziali: pil. Potenza di uno zero messo al posto giusto.
E’ un po’ quello che sta tornando, o potrebbe tornare a verificarsi in questa estate, sia pure a Commissione europea ormai scaduta, ma ugualmente insorta contro i conti italiani: non si è ancora capito bene se più per farci del male davvero, con multe e penalizzazioni speculative nei mercati finanziari contro i titoli del purtroppo enorme debito pubblico nazionale, o solo per tenerci a cuccia, tagliandoci unghie e qualcosa d’altro nelle trattative sulla distribuzione delle cariche dell’Unione con l’insediamento dell’Europarlamento eletto il 26 maggio, senza lo sfondamento dei cosiddetti sovranisti. Per cui le danze continuano a volerle condurre i popolari, o democristiani, come li chiamavamo una volta, e i socialisti con l’aiuto maggiore, questa volta, di centristi alla Macron, all’ingrosso, verdi e liberali. Di grillini e leghisti, o viceversa, dati i loro novi rapporti di forza, neppure a parlarne quindi, anche se di parlare non smette in Italia Matteo Salvini: e tanto forte da farsi sentire a Bruxelles, specie ora che reclama per l’Italia la ricetta economica a stelle e strisce di Donald Trump, già abbastanza ingombrante di suo per stare quindi a descrivere gli effetti, positivi o negativi, che può procurare una sua semplice strizzatina d’occhio.
Il governo tripartito aveva almeno un vantaggio, sino a qualche giorno o settimana fa: un’accettabile unità interna degli altri due partiti, pur con le solite differenze, gelosie, concorrenze, ipocrisie e simili. Adesso invece il movimento grillino è esploso nella sua frustrazione da sconfitta elettorale, con Alessandro Di Battista che, avendo imparato il mestiere anche di falegname,
appare a torto o a ragione come l’aspirante cassamortaro -dicono nella sua sua Roma- del povero Luigi Di Maio. Che si è stancato di fingere la parte del fratello, o quasi, ed ha cominciato a lanciare segnali non dico di insofferenza, ma di guerra vera e propria, definendo Dibba, nome d’arte di Alessandro Di Battista, “destablizzatore”. E’ un po’ come ai tempi del Pci i dissidenti venivano liquidati, e a volte anche radiati, come “frazionisti”.
Ma ora scricchiola anche la Lega di “capitan” Salvini, che non riesce più a tenere uniti i suoi a sfogliare la margherita della crisi sì e crisi no, fra un annuncio e l’altro delle tante cose ancora da poter fare insieme ai grillini, nonostante tutto, sino all’esaurimento ordinario della legislatura, addirittura.
Già visibilmente insofferente da tempo, Giancarlo Giorgetti, che è l’uomo di fiducia voluto e posto da Salvini a Palazzo Chigi come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, anziché starsene calmo ad attendere la promozione promessagli a commissario europeo a non si sa ancora bene cosa, o proprio per questo, ha aggiunto all’abitudine di dire che “così non si può andare avanti”, né lontano né vicino, il coraggio di liquidare come “inverosimili” i cosiddetti minibot, destinati ai creditori della pubblica amministrazione e sostenuti un giorno sì e l’altro pure dal collega di partito e presidente di commissione parlamentare Claudio Borghi. Il quale gli ha risposto a brutto muso assicurando di godere anche della condivisione di Salvini in persona, e
risparmiandogli -debbo dire- l’argomento di ferro di cui dispone e che tutti fingono di ignorare o di avere dimenticato: il voto unanime -ripeto, unanime- con cui il Parlamento si è recentemente pronunciato a favore, con l’appoggio del rappresentante di turno del governo in aula. Ma questa è un’altra storia da infiochhettare sotto la Cycas del Conte, col premesso anche del buon Mario Draghi, insorto contro i minibot come presidente della Banca Centrale Europea prima ancora del suo amico ed estimatore Giorgetti.
Ripreso da http://www.startmag,it e policymakermag.it
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