Matteo Salvini cerca di fare il finto tonto con Sergio Mattarella

              Fra tutte le reazioni al messaggio televisivo di Capodanno del presidente della Repubblica -trasmesso a reti unificate e ascoltato da più di dieci milioni e mezzo di “concittadine e concittadini”, come ha preferito rivolgersi agli italiani Sergio Mattarella- la più sorprendente e clamorosa è stata quella del vice presidente leghista del Consiglio e ministro dell’Interno Matteo Salvini. Che – “contento”- vi si è riconosciuto per avere il capo dello Stato “cominciato il suo intervento parlando di sicurezza”. Più esattamente, direi, della “domanda di sicurezza”. Che ha indubbiamente fruttato molti voti al partito di Salvini, prima consentendogli il 4 marzo scorso il sorpasso elettorale sul partito di Silvio Berlusconi all’interno del centrodestra e poi di allearsi al governo con i grillini e lasciare il pur consenziente cavaliere di Arcore all’opposizione con i suoi, ora addobbati per strada con gilet azzurri, per non confonderli con i gilet gialli di Francia.

                Non vorrei che, inebriato dalla priorità indubbiamente data da Mattarella al tema della sicurezza nel messaggio di Capodanno, Salvini si fosse distratto, o avesse addirittura spento il televisore, perdendosi tutto il resto del discorso o ragionamento del presidente della Repubblica. Che, per Il Fatto.jpgquanto un po’ troppo sbrigativo, almeno per i miei gusti, nel passaggio in cui avrebbe poi parlato della “compressione” subita dal Parlamento col troppo affrettato esame del bilancio imposto dal governo con la complicità dei presidenti delle assemblee di Palazzo Madama e di Montecitorio, sulla sicurezza si è a lungo soffermato per coniugarla con altri valori, o esigenze, che francamente mi sembrano lontani dall’azione, direi anzi dalle sensibilità dell’attuale ministro dell’Interno: solidarietà, accoglienza, rispetto di tutti e altro ancora.

               Per Salvini invece, come lui stesso ha voluto precisare commentando proprio il discorso di Mattarella, almeno nel tratto -ripeto-  che ha ascoltato e gli è piaciuto, o che ha comunque preferito anche a costo di apparire un  finto tonto, la sicurezza sta nel coniugare il volere col potere. Il ministro dell’Interno è convinto di esserci riuscito al Viminale nel momento in cui, secondo lui, “l’Italia ha riconquistato i suoi confini” per mare e per terra, ma soprattutto per mare -debbo ritenere- perché da lì provengono gli immigrati più numerosi, che appaiono al  leader leghista come i nuovi saraceni sulle coste italiane.

              Vorrei essere una mosca, fuori stagione, per penetrare nelle stanze di Mattarella ed ascoltarne le reazioni, a sua volta, alla lettura che Salvini ha voluto fare pubblicamente del suo messaggio per poter continuare a muoversi nel governo -credo- come ha fatto da giugno, anche ora che il suo omologo grillino, cioè il vice presidente del Consiglio Luigi Di Maio, ha potuto riabbracciare Dibba sulla neve.jpgl’amico e concorrente Alessandro Di Battista sulle nevi non a buon mercato del Trentino. Dove la coppia a cinque stelle ha  cominciato ad aggiornare il programma d’azione del  movimento  mettendo in cantiere la riduzione dei compensi dei parlamentari, alcuni dei quali peraltro appena espulsi dal partito perché dissidenti. Ma questo non c’è nel famoso contratto di governo con i leghisti, ha prontamente commentato a distanza Salvini. Che preferisce altre priorità, diciamo così: per esempio, quella di salvare più aspiranti possibili alla pensione anticipata quando si dovrà, a breve,  disciplinare nel dettaglio la spesa messa per questo in bilancio. Così come i grillini dovranno cercare di salvare più aspiranti possibili al reddito di cittadinanza quando se ne dovrà disciplinare l’erogazione, e gli interessati potranno finalmente farsi i conti in tasca. Vasto programma, diceva il compianto generale Charles de Gaulle dei progetti dei suoi critici o avversari.

 

 

 

 

 

 

Quel fuggevole richiamo sul Colle alla “compressione” subita dal Parlamento

Forse la colpa non è di Sergio Mattarella ma di quanti si aspettavano troppo da lui sottovalutando le difficoltà istituzionali nelle quali si è trovato o sopravvalutando, come si preferisce,Richiamo Dubbio.jpg lo spazio di manovra che ha in certe circostanze il presidente della Repubblica. Tuttavia mi è rimasto un po’, anzi un bel po’ di amaro in bocca ascoltandone il messaggio televisivo a reti unificate per gli auguri di buon anno “alle concittadine e ai concittadini”, come egli ha voluto dire con una formula quasi da rivoluzionario: lui, poi, che rivoluzionario non può certamente essere considerato per formazione culturale e stile di vita, anche se la sorte gli ha dato l’occasione di partecipare, pur con le funzioni di garanzia della sua carica, ad un passaggio non proprio ordinario della politica italiana.

Quella in corso dal voto elettorale del 4 marzo scorso è una fase politica forse ancora più straordinaria, per la novità delle forze in campo e per il contesto internazionale, di quella che pure segnò la fine della cosiddetta prima Repubblica, un quarto di secolo fa, tra arresti, persino bombe, suicidi, incriminazioni, dimissioni e ritiri all’estero di esponenti del cosiddetto establishment politico e finanziario del Paese.

Non a caso il presidente del Consiglio Giuseppe Conte nella conferenza stampa di fine anno, pure lui non avendo di certo la formazione culturale e lo stile di vita di un rivoluzionario, ha rinnovato il proposito di “rivoltare il Paese come un guanto”. E meno male che lo ha preferito al  rozzo “calzino”, sempre da rivoltare come se fosse l’Italia, evocato da qualcuno dei magistrati impegnati fra il 1992 e il 1994 nelle inchieste sul finanziamento illegale della politica e sulla corruzione che l’accompagnava spesso. O sempre, come ritenevano i maggiori giacobini di turno.

Ebbene, Mattarella non ha di ceto ignorato nel suo messaggio di Capodanno la vicenda a dir poco convulsa dell’approvazione del bilancio, e relativa manovra finanziaria, in Parlamento. Anzi, parlandone ha usato un termine quasi tratto dal duro intervento dell’esponente forse più radicale, in senso storico, del Parlamento: la senatrice Emma Bonino, intervenuta contro il bilancio e le procedure d’esame, fra le proteste di molti attori della maggioranza e un’impaziente richiamo del presidente di turno della seduta, il leghista Roberto Calderoli. Che, cronometro al polso, chiedeva praticamente all’oratrice di smetterla per avere esaurito il  poco tempo a  sua disposizione.

La Bonino, imitata poi dal senatore a vita Mario Monti, parlò in quell’intervento del  “rullo compressore” azionato dal governo, e tollerato dai presidenti delle Camere, per chiudere in pochissimi giorni il percorso di un bilancio pur rifatto praticamente daccapo all’ultimo momento con un maxi-emendamento. Che in parte era conforme alle trattative intervenute fra lo stesso governo e la Commissione Europea per evitare la procedura d’infrazione messa in cantiere a Bruxelles di fronte alla sfida di un deficit del 2,4 per cento rispetto al prodotto interno lordo. Ma in parte derivava anche dagli sviluppi persino drammatici dei rapporti dialettici e di forza fra i due partiti della coalizione ministeriale, e addirittura all’interno di ciascuno di essi.

Ebbene, proprio di “compressione dell’esame parlamentare” ha parlato nel suo messaggio televisivo il presidente della Repubblica. Che tuttavia, pur di evitare il ricorso al cosiddetto esercizio provvisorio, ritenendolo evidentemente più grave e destabilizzante di quanto considerato da altri -costituzionalisti ed economisti- pronunciatisi sulla materia, ha promulgato il provvedimento non appena pervenutogli per la firma al Quirinale: più scorrendolo, forse, che analizzandolo per il suo volume.

Così la vicenda della “compressione”, sviluppatasi fra salti di commissione, contingentamenti estremi del dibattito, e ricorsi al voto di fiducia, è stata bella che archiviata. E ciò potrebbe anche influire sull’accoglienza che sarà a breve riservata dalla Corte Costituzionale all’inedito ricorso presentato dal gruppo del Pd al Senato per la violazione lamentata dell’articolo 72 della Costituzione. Che, rendendo obbligatoria per il bilancio “la procedura normale” d’esame parlamentare, costituita dal passaggio per la commissione competente e per l’approvazione in aula “articolo per articolo”, sarebbe stato violato  questa volta più clamorosamente di altre, o del solito.

Comunque, se Mattarella può avere sorpreso, a torto o a ragione, quanti si aspettavano da lui una meno fuggevole o più penetrante risposta a quanti gli si erano in qualsiasi modo rivolti durante l’esame parlamentare del bilancio per contestarne modalità e anche contenuto, egli ha lanciato al governo e alla maggioranza quello che potrebbe essere considerato un monito. In particolare, peraltro in sintonia con la “vigilanza” annunciata da qualche commissario a Bruxelles e non gradita da Matteo Salvini, tornato a minacciare per ritorsione il voto contrario dell’Italia al bilancio dell’Unione, Mattarella ha detto che proprio le forzature verificatesi nell’esame parlamentare della legge ex finanziaria del 2019 “richiedono adesso un’attenta verifica dei contenuti del provvedimento”.

L’allusione del presidente della Repubblica è innanzitutto alle misure di urgenza in cantiere nei ministeri competenti per la disciplina e l’erogazione pratica del cosiddetto reddito di cittadinanza, caro ai grillini, e della pensione anticipata rispetto alle scadenze della legge Fornero tanto contestata dai leghisti.

Par di capire che Mattarella abbia poca voglia di assistere inerte sia alla elaborazione di queste misure sia al loro percorso parlamentare. Che sarebbe quanto meno curioso se comportasse una nuova “compressione” col ricorso smodato, per esempio, al voto di fiducia per evitare non  solo o non tanto un’opposizione ostruzionistica quanto combinazioni fra settori della maggioranza e settori delle opposizioni finalizzate sia a rispettare i vincoli di bilancio, ristretti dagli accordi europei, sia a penalizzare ora l’uno ora l’altro dei partiti di governo.

 

 

 

Pubblicato su Il Dubbio

Gli imbarazzati auguri di Mattarella agli italiani per il nuovo anno

              Per quanti sforzi abbia fatto per nasconderlo, l’imbarazzo del presidente della Repubblica si è avvertito nel messaggio televisivo di auguri di buon anno alle “concittadine” e ai “concittadini” italiani. Ai quali, per esempio, il capo dello Stato non ha potuto proporre o solo abbozzare un consuntivo dell’anno che stava finendo, tanto deve essergli apparsa ingrata l’impresa, limitandosi perciò, e dichiaratamente, a “qualche considerazione”. La più importante e significativa delle quali mi è apparsa quella sulla “domanda di sicurezza” così baldanzosamente cavalcata dal pur innominato vice presidente leghista del Consiglio e ministro dell’Interno Matteo Salvini.

            Quest’ultimo, fra tutti i membri del governo e leader politici, si è  sicuramente rivelato il più ostico nel rapporto col presidente della Repubblica, pur avendo evitato di partecipare, durante il passaggio più controverso e drammatico della crisi della primavera scorsa, al tentativo del grillino Luigi Di Maio di mettere sotto accusa  per tradimento della Costituzione il capo dello Stato.

            Mattarella, come si ricorderà, aveva appena rifiutato la nomina di Paolo Savona a ministro dell’Economia e provocato la rinuncia di Giuseppe Conte all’incarico di presidente del Consiglio. Che fu poi ripreso per i capelli con un curioso e inedito rimpastino di governo prima ancora della sua nascita, tradottosi nello spostamento di Savona, nella lista di Conte, al Ministero per gli affari europei e nel ricorso all’’esordiente Giovanni Tria per il superdicastero unificato di quelli che una volta erano il Tesoro, le Finanze e il Bilancio.

              Solo a Salvini, peraltro neppure sfiorato da un incarico di presidente del Consiglio dopo le elezioni del 4 marzo 2018, pur avendo lui conseguito nelle urne il sorpasso del partito di Silvio Berlusconi e quindi   la leadership della coalizione di centrodestra, votata ben più del Movimento delleSalvini.jpg cinque stelle, il capo dello Stato ha riservato l’obiettivo handicap politico della pubblicazione di un suo provvedimento qualificante, come quello sulla sicurezza in tema di immigrazione e altro, con una lettera di accompagnamento a dir poco preoccupata. In cui si sottolineava la necessità, evidentemente non garantita compiutamente dal testo della legge, di rispettare tutte le garanzie costituzionali.

              Sempre a Salvini il capo dello Stato ha riservato un intervento a gamba più o meno tesa sul governo per rimuovere il primo dei blocchi estivi dei soccorsi e degli sbarchi degli immigrati. E poi inflitto una specie di anticamera quando il leader leghista cercò di coinvolgerlo nello scontro esploso fra la Lega e i magistrati di Genova per una cinquantina di milioni di euro contestati di finanziamento pubblico.

               Ebbene, nel suo messaggio di Capodanno il capo dello Stato ha voluto ricordare a Salvini -ripeto, pur senza nominarlo- che la “domanda di sicurezza” gestita con tanta forza mediatica e politica dal Viminale e dal suo titolare va intesa ben oltre i confini e le competenze di quel dicastero. Sicurezza è anche garantire il lavoro, il rispetto di tutti  e la solidarietà, evitando per esempio “la tassa sulla bontà” introdotta nella legge di bilancio con l’aumento dell’Ires sugli enti e sulle associazioni di volontariato, operanti peraltro anche nel campo dell’immigrazione: un aumento da cui il governo, sommerso dalle proteste, ha promesso di retrocedere in un secondo momento per non ritardarne intanto, e curiosamente, l’applicazione.

              Veniamo così al testo sofferto della legge di bilancio approvata con procedure inedite, pur nel contesto di precedenti discutibili, che sono stati quindi battuti clamorosamente. Ebbene, anche se il disagio del Quirinale trapelato nei giorni e nelle settimane precedenti  ha alla fine prodotto il classico topolino, con una promulgazione del bilancio fulminante rispetto al già brevissimo percorso del famoso maxi-emendamento di riscrittura del documento originario già votato una volta a Montecitorio, Mattarella ha parlato di una “grande compressione” dell’esame parlamentare, aggravata forse dalla “mancanza di un opportuno confronto con i corpi sociali”, cioè con i sindacati.  Dev’essere apparsa, questa ammissione del capo dello Stato, più che una denuncia una salomonica chiusura del caso, almeno a quanti -e non solo fra le opposizioni parlamentari- si aspettavano parole e toni diversi dal presidente della Repubblica.

              Mattarella potrà tuttavia rifarsi di questa prestazione forse inferiore alle attese garantendo almeno quella che lui stesso ha chiamato, all’unisono peraltro con certi moniti già giunti da Bruxelles, “un’attenta verifica del provvedimento” di bilancio. Che dovrà tradursi a breve in altri provvedimenti di applicazione, per esempio, delle controverse e costose conquiste vantate dai due partiti di governo: rispettivamente, il cosiddetto reddito di cittadinanza e l’anticipo dell’età pensionabile fissata dal governo Monti con la legge Fornero.

               Sarebbe davvero troppo se Mattarella dovesse rimanere alla finestra nel caso in cui i percorsi parlamentari di questi provvedimenti dovessero essere analoghi, per forzature, ricorsi alla fiducia e quant’altro, a quello tollerato col bilancio per il superiore interesse invocato, a torto o a ragione, di evitare il cosiddetto esercizio provvisorio.

               Comunque, per quanto si possa essere rimasti delusi dalla sostanziale archiviazione della “grande compressione” del Parlamento, il messaggio augurale di Mattarella agli italiani Grillo .jpgsvetta rispetto a quello che ha voluto contrapporgli, a dorso nudo e volto quasi mascherato, Beppe Grillo nell’esercizio non si sa se più di fondatore, garante, elevato e quant’altro del suo movimento ora al governo, o di comico. Che si muove, parla e pensa  in funzione  -come ha detto-  più dei secoli che degli anni riservati a noi modesti  mortali: anni che, essendo ciascuno una centesima parte dell’unità di tempo preferita da Grillo, possono essere trattati come una pallina al tennis Di Maio e Di Battista.jpgo un pallone al calcio. Se la saranno goduta, ad ascoltare il lunare amico e selezionatore, nel loro improvvisato rifugio di fine anno  in Trentino, i ritrovati Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, contemporaneamente antagonisti e partecipi dell’avventura pentastellata  in Italia.

 

 

 

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