La gara del tavolo più lungo fra i due vice presidenti del Consiglio

             Luigi Di Maio, notoriamente vice presidente del Consiglio, superministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro, nonchè capo del movimento delle cinque stelle a vigilanza “elevata” del fondatore Beppe Grillo, non ha retto alla foto dell’incontro avuto al Viminale dall’altro vice presidente del Consiglio, ministro dell’Interno e capo davvero della Lega, Matteo Salvini, con una rappresentanza del mondo imprenditoriale. Che è in apprensione, a dir poco, per le sorti delle aziende e, più in generale, dell’economia italiana dopo sei mesi di esecutivo gialloverde.

             Senza voler rompere col suo collega di governo, che da una crisi avrebbe tutto da guadagnare elettoralmente, specie se non provocata da lui ma dagli impazienti e divisi grillini, e bastandogli evidentemente il gusto di sfruculiarlo, Di Maio ha improvvisato una gara molto particolare: a chi, dei due, ha il tavolo più lungo.

              Se sono state poco più o poco meno di dieci le sigle imprenditoriali rappresentate dagli ospiti di Salvini, usciti soddisfatti dall’incontro ma con la riserva di verificare poi le buone parole del padrone di casa con i “fatti”, Di Maio ha rivelato che sono tre volte tanto -una trentina- le sigle da lui convocate nella sede del ben più competente e “fattivo” -da fatti, appunto- Ministero dello Sviluppo Economico. Che ha peraltro una sigla anch’esso per gli specialisti della materia: Mise. Il suo insomma sarà un tavolo ben più lungo di quello di Salvini: o più largo, se sarà tondo e non rettangolare, o quasi.

             Questa gara, che a chiamarla muscolare si rischierebbe anche di essere fraintesi per il doppio senso cui si presta l’immagine del muscolo, ha lasciato indifferente il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Che ha preferito raccogliere attorno al tavolo di Palazzo Chigi le sigle dei sindacati dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. I cui rappresentanti hanno naturalmente gradito, ma senza spingersi molto in avanti nei contenuti e nelle previsioni perché -ha spiegato la segretaria generale e uscente della Cgil, Susanna Camusso- il capo del governo si è speso più in “parole” che altro, cioè in fatti. E ciò anche perché i fatti più urgenti che attendono il capo del governo sono i tagli alle spese in bilancio reclamati dai commissari europei per bloccare o rallentare il conto alla rovescia verso la costosa procedura comunitaria d’infrazione per debito eccessivo.

             Fatti per fatti, è da segnalare l’apprensione con la quale le vicende del governo sono seguite e commentate dal Fatto Quotidiano diretto dal solerte e diffidente Marco Travaglio. Che, anche per dimostrare forse la sua indipendenza sempre contestata da chi lo considera troppo vicino ai grillini, non si è lasciato IlFatto.jpgincantare dal tavolo di Di Maio più lungo di quello di Salvini, che Travaglio chiama abitualmente “cazzaro verde”.  Egli ha rimproverato al vice presidente pentastellato del Consiglio e amici al governo, con tanto di titolo in prima pagina,  l’ingenuità, la dabbenaggine, l’imprudenza, insomma l’errore di avere “abboccato” con dichiarazioni di interesse o di apertura all’”esca avvelenata” del referendum prospettato da Salvini per sbloccare le decisioni sulla realizzazzione o sulla rinuncia alla linea di alta velocità ferroviaria per le merci sul percorso Lione-Torino: la famosa Tav.

           E’ sorprendente, a dir poco, la liquidazione di un referendum come “esca avvelenata” da parte dei fanatici, e non solo sostenitori, della democrazia “diretta”, tradizionale o digitale che sia. Davvero sorprendente.

 

 

 

 

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Lo scorpione che potrebbe pungere il sovranismo di Matteo Salvini

Il “sovranismo psichico” diagnosticato dal Censis di Giuseppe De Rita, nel suo conquantaduesimo rapporto, a un’Italia “incattivita” è in qualche modo un ossimoro, per quanto felice, come dimostra il successo mediatico che ha ottenuto.

E’ un ossimoro perché quell’aggettivo –psichico- riporta in qualche modo ad una dimensione individuale il sovranismo, che ha invece in sé una dimensione collettiva, di una comunità nazionale cioè che si chiude nei propri confini, o ne riduce il più possibile l’apertura, temendo di perdere identità, sicurezza e ricchezza, per quanto spesso, quest’ultima, sia spesso più percepita che reale. E’ il sovranismo a dimensione collettiva che cavalca con crescente successo elettorale la Lega di Matteo Salvini, a scapito delle altre componenti del centrodestra, cui essa continua ad appartenere nominalmente, e non solo a livello locale, ma da qualche tempo anche a scapito dei temporanei alleati di governo.

Penso naturalmente ai grillini, dei quali il sovranismo, a dire la verità, non è la matrice principale ma è pur sempre una componente, coltivata con maggiore evidenza o disinvoltura prima di andare al governo e di mettere in sordina, o di dimenticare, e persino smentire, la stagione euroscettica in cui i pentastellati sognavano o reclamavano un referendum per uscire dalla gabbia quale veniva generalmente avvertita l’Europa dei trattati di Maastricht. E ancora più quella gestita anche da noi italiani quando a presiedere la Commissione di Bruxelles fu Romano Prodi. Che vi fu spinto da Massimo D’Alema anche o soprattutto a titolo riparatorio, dopo averlo sostituito a Palazzo Chigi nell’autunno del 1998.

Ridotto alla dimensione individuale della psiche, il sovranismo cessa di essere tale e diventa un’altra cosa, almeno sul piano logico. Esso diventa anarchia, o qualcosa di assai simile. E’ l’individuo che sente di dovere e poter disporre di sé in un’autosufficienza che può anche incontrarsi e addirittura fondersi con quella di altri e generare un fenomeno sociale ancora più perverso del sovranismo e, peggio ancora, del nazionalismo.

So che i leghisti, almeno quando li sento parlare, e ne leggo dichiarazioni o interviste sulla loro evoluzione politica, continuano a venerare nel loro Pantheon la buonanima di Gianfranco Miglio. Nel cui orto ogni tanto lo raggiungeva Umberto Bossi sentendo la moglie del professore che contava in tedesco le sue galline. Ma non riesco francamente a immaginare, neppure nei momenti di maggiore tensione, preoccupazione, allarme e quant’altro provocato dal fenomeno dell’immigrazione clandestina, un Miglio sovranista, e tanto meno anarchico. Glielo avrebbe impedito quanto meno la moglie, se il professore fosse stato abbandonato dalla sua cultura e formazione federalista: ma di un federalismo che superava i confini nazionali.

Se il sovranismo è diventato psichico, come hanno avvertito i sensori del Censis, comincio a chiedermi quanto potrà durare ancora la speranza di Salvini di cavalcarlo indenne, senza rimetterci le penne politiche: lui, poi, che di recente si è un po’ allargato nella concezione delle sue funzioni di governo, sino a definirsi in una intervista televisiva “ministro della Sicurezza”, credo con la maiuscola,  non bastandogli evidentemente di essere il ministro dell’Interno.

La sicurezza è la chiave che permette al leader leghista di sostituirsi a volte al ministro degli Esteri nei contatti internazionali finalizzati a contenere l’immigrazione, e persino al ministro della Difesa nella definizione delle intese utili a garantire i confini.

Gratta gratta, la sicurezza si scorge anche in quel “mandato” che Salvini ha chiesto al “popolo” accorso nell’omonima piazza romana di trattare con l’Unione Europea a nome e per conto -ha detto- di “60 milioni di italiani”. Forse egli pensava alla riforma della stessa Unione, visto che per il negoziato sui conti italiani bocciati dalla Commissione lui stesso e l’altro vice presidente del Consiglio, il grillino Luigi Di Maio, hanno concordato e conferito al presidente del Consiglio quella che Giuseppe Conte ha definito con competenza forense “una procura”.

Se dietro o sotto la richiesta così pressante di ordine e sicurezza, che Salvini cerca di raccogliere e rappresentare indossando maglie e felpe della Polizia anche quando salta sui palchi dei comizi, cova una spinta anarchica all’autosufficienza individuale, che alcuni a torto o a ragione hanno intravisto anche nella imminente riforma della disciplina della legittima difesa, il ministro dell’Interno potrà prima o dopo trovarsi in difficoltà.  L’arroccamento nella difesa del proprio benessere, quando c’è, o nel risentimento per le proprie condizioni di indigenza preclude alla solidarietà e incattivisce.

Il sovranismo psichico è un po’ il mostro che , volente o nolente, consapevolmente o a sua insaputa, Salvini rischia di coltivare. E potrebbe moltiplicarne le contraddizioni col ruolo di ministro dell’Interno. Può accadere come nella favola dello scorpione. Che per attraversare il fiume salta sulla rana ministeriale e poi la punge, affogando con essa, perché non può sfuggire al suo istinto.

 

 

Pubblicato su Il Dubbio

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