Scalfari riscrive la storia della Repubblica dando morto Berlinguer già nel 1978

            Beh, si rimane francamente trasecolati a leggere la lunga intervista del fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari al direttore Maurizio Molinari, catalogata peraltro come “cultura” e non politica, visto forse il deprezzamento o discredito della seconda in questo passaggio a dir poco confuso e tormentato del Paese, dove gli equilibri fra i partiti e gli schieramenti, e all’interno di essi, sembrano dei birilli.

            Scalfari -con la complicità silenziosa dell’intervistatore, interessato ad accreditare una certa continuità della sua direzione rispetto alla linea e persino agli umori del fondatore, non foss’altro per smentire quanti invece sottolineano e a volte lamentano differenze imposte da una nuova linea dettata dall’altrettanto nuova proprietà Elkann-Agnelli-  ha riproposto il riformismo e il liberalsocialismo come riferimenti costanti della sua lunga attività giornalistica. Ed è tornato a inserire il compianto Enrico Berlinguer, che soleva frequentare a casa, sua o del portavoce Antonio Tatò, tra i riformisti più convinti e apprezzabili, erede quasi di Carlo Rosselli e forse anche di Filippo Turati, pur non menzionato quest’ultimo. Così come non è stato mai menzionato nell’intervista l’inviso Bettino Craxi, che pure ebbe proprio sul riformismo uno scontro durissimo con Berlinguer, conclusosi storicamente e politicamente, secondo esponenti del vecchio Pci come Piero Fassino in un libro autobiografico, a vantaggio del leader socialista. Che vide prima e contro un certo conservatorismo berlingueriano la necessità, fra l’altro, di una riforma istituzionale.

            Ma la memoria, diciamo così, ha tirato un altro brutto, anzi bruttissimo scherzo a Scalfari. Che è tornato, fra l’altro, ad attribuire al povero Moro, parlando di un incontro avuto con lui “poco prima” del giorno del suo tragico sequestro ad opera delle brigate rosse, il progetto di una vera e propria alleanza col Pci “per due legislature”, e non di una tregua di breve durata, espressasi con l’astensione e poi il voto di fiducia vera e propria dei comunisti a un governo interamente democristiano presieduto da Giulio Andreotti. Peccato, per Scalfari, che proprio in quei giorni Moro da presidente della Dc aveva chiuso una lunga trattativa col Pci sbarrandogli la porta del governo socchiusa invece da Andreotti e dall’allora segretario democristiano Benigno Zaccagnini con l’ipotesi di nomina a ministri di due indipendenti di sinistra eletti nelle liste comuniste.

            Moro non solo chiuse quella porta ma si oppose anche all’estromissione dal governo di due democristiani contro cui il Pci aveva posto il veto: Carlo Donat-Cattin e Antonio Bisaglia. La loro conferma provocò una tale irritazione fra i comunisti da mettere in discussione il voto di fiducia appena concordato. Solo il sequestro di Moro, la mattina del 16 marzo 1978, arrestò la rivolta nel Pci ed evitò la riapertura della crisi.

            In quei giorni, secondo i ricordi di Scalfari, addirittura Enrico Berlinguer sarebbe già morto, con sei anni di anticipo. Almeno questa, forse, l’intervistatore poteva risparmiargliela al fondatore interrompendolo, o intervenendo dopo. Invece ha preferito lasciargliela lì. Tanto, specie in questi tempi tutto fa cultura, e non solo politica. 

 

 

Ripreso da http://www.startmag.it

Renzi aggancia la corda della crisi al messaggio di Mattarella come a un chiodo

            Immagino la smorfia di Sergio Mattarella leggendo l’astuto commento di Matteo Renzi al suo messaggio di Capodanno. Che l’ex presidente del Consiglio ha interpretato e usato come un chiodo al quale agganciare sulla parete della crisi la corda con la quale sta cercando di arrivare alla vetta. Che, secondo anticipazioni virgolettate attribuitegli sulla Stampa il 31 dicembre e non smentite, è costituita da questa alternativa: “O un governo retto da uno del Pd o arriva Mario Draghi”.

             Un’altra variante, che Renzi considera tuttavia la più conveniente per lui perché gli consentirebbe dall’opposizione di crescere finalmente nella parte rimanente della legislatura, potrebbe essere quella sognata masochisticamente da Conte sostituendo Italia Viva nella maggioranza con un po’ di transfughi del centrodestra ed ex grillini: una soluzione appesa in Senato a numeri ancora più modesti e pericolanti di adesso.

            Ma veniamo al commento di Renzi al messaggio presidenziale di Capodanno, che avrebbe “rappresentato totalmente lo spirito di un Paese ferito ma pronto a ripartire”. “Il richiamo di Mattarella alla scienza e all’Europa mostra con chiarezza- ha detto Renzi- i due pilastri che permetteranno di uscire dal tunnel della pandemia: i vaccini e l’aiuto economico comunitario”. Che l’ex presidente del Consiglio teme venga invece “sperperato” dal governo, come ha detto nell’aula del Senato pur approvando il bilancio, con una politica troppo assistenzialistica, di mance e sussidi, imposta a Conte dai grillini insieme al rifiuto di usare i 36 miliardi di credito del cosiddetto Mes per il potenziamento del servizio sanitario. Di fronte alla convergenza, secondo Renzi, fra le contestazioni sulle quali egli sta facendo maturare la crisi e le necessità indicate nel suo messaggio da Mattarella “Italia Viva ringrazia il presidente della Repubblica”.

            La conclusione logica di questa lettura del messaggio del capo dello Stato proiettata sulla crisi si trova in un passaggio dell’intervista concessa da Renzi nei giorni scorsi al giornale spagnolo El Pais. Alla cui domanda sul rischio di elezioni anticipate, avvalorato da indiscrezioni giornalistiche sulle intenzioni del Colle, Renzi rispose: “Il Quirinale in Italia non parla. Quelle sono fonti attribuite a chi vuole che dica una certa cosa. Ma in Italia il sistema prevede che il presidente della Repubblica debba verificare se in Parlamento ci sono i numeri per formare un altro governo. E se si trovano, è fatta. Altrimenti si vota”.

            Questa affidata da Renzi al giornale spagnolo, parlando delle prerogative del capo dello Stato, è la stessa logica applicata proprio da Mattarella nel 2017 contro le elezioni anticipate chiestegli da Renzi, reduce dalla sconfitta nel referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Cui erano seguite le sue dimissioni da presidente del Consiglio e la successione del collega di partito Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi.

            In quell’occasione Mattarella non ebbe bisogno di cercare un altro governo, essendosi a lui convertito Gentiloni, a sorpresa di Renzi ancora segretario del Pd.  Se non si vuole pensare persino a una vendetta, considerando che nel 2015 era stato Renzi a selezionare Mattarella per il Quirinale, si può ben dire che in politica accade di vedere posizioni intrecciarsi e capovolgersi. Adesso è Renzi a contrastare il voto anticipato e Mattarella disposto -secondo alcuni- a concederlo sperando così di rafforzare la posizione assai in pericolo di Conte.  

 

 

 

 

 

Ripreso da http://www.startmag.it http://www.policymakermag.it

Blog su WordPress.com.

Su ↑